Lunedì, 21 Ottobre 2013 17:08

La crisi morde ancora e mancano concreti segnali di ripresa, si salvano Modena e Ravenna

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La crisi morde ancora e mancano concreti segnali di ripresa, si salvano Modena e Ravenna by ayuntamiento.es
Bologna, 21 ottobre 2013
 
L'Osservatorio TrendER sulla congiuntura evidenzia un quadro fortemente negativo -

Giù fatturato e investimenti. Solo l'export segna una decisa ripresa ma insufficiente a compensare la caduta della domanda interna. Male tutti i settori. Anche l'aumento della tassazione generata dalle manovre di risanamento ha prodotto effetti depressivi sul sistema economico. Improntate al pessimismo le aspettative degli imprenditori anche se dopo il voto di fiducia al Governo puntano sulla stabilità come chiave di volta.
La ripresa non è un motore. Per farla ripartire non basta girare la chiave. Ed infatti l'economia regionale non riparte. La conferma viene dall'ultima rilevazione di TrendER, l'Osservatorio di CNA e BCC che in collaborazione con Istat ha indagato 5.040 micro e piccole imprese con meno di 20 addetti, sulla congiuntura dell'Emilia Romagna nel primo semestre 2013. Prosegue il quadro negativo, con dati preoccupanti che presentano un ulteriore indebolimento rispetto al 2012. Il Fatturato totale tocca il livello più basso dal 2008, registrando un -6,7% rispetto allo stesso semestre del 2012. L'incertezza per le prospettive, le difficoltà finanziarie e la perdita dei margini di redditività contribuiscono a far si che nei primi sei mesi dell'anno, si registri un crollo dell'ammontare delle risorse destinate agli Investimenti col -35,5%, il valore più basso sinora registrato da TrendER e mostra come gli investimenti siano ridotti a meno di un terzo dell'ammontare registrato nel 2008. Unico dato positivo si segnala per il Fatturato estero con il +58,9%, la cui incidenza sul totale rimane, tuttavia, ancora troppo bassa per compensare la diminuzione del Fatturato interno (-7,6%) e del Fatturato conto terzi (-7,5%). La rilevazione di TrendER registra una crescita delle spese per retribuzioni (+3,4%) ed un deciso calo delle spese per consumi (-12%). "Mentre la dinamica delle spese da retribuzioni sembra indicare una pausa del processo di sistematico ridimensionamento di tale voce – commenta l'economista Ilario Favaretto - la decisa caduta dei consumi indica che il nuovo ridimensionamento del fatturato coincide con una ancora più decisa diminuzione dei livelli di attività produttiva e di erogazione dei servizi. Le prossime rilevazioni ci diranno se tale ridimensionamento è transitorio, oppure, come c'è da temere, sia fattore legato a scelte di riduzione strutturale della capacità produttiva. Il che vorrebbe dire: non tornare più ai livelli precedenti la crisi."
Di certo assistiamo ad una nuova accelerazione della crisi anziché ad una sua regressione. Accelerazione che non è dovuta solo al crollo del fatturato nelle costruzioni (-10,6%) ma anche al decisivo ridimensionamento del giro d'affari nel manifatturiero e nei servizi (rispettivamente -4,7% e -5,2%). Nel manifatturiero, l'unico settore che sembra riuscito a limitare i danni è la meccanica dove il fatturato si riduce rispetto allo stesso semestre del 2012, "solo" dell'1,8%. L'alimentare, che per due anni è sembrato costituire l'unica eccezione positiva alla condizione generalizzata di crisi del comparto, registra invece nel primo semestre 2013 un forte calo del fatturato (-14,9%), preceduto, per intensità, da quello del legno-mobile (-18%) i cui livelli di fatturato sono il segnale probabile di una decisa riduzione della capacità produttiva. Analoghe valutazioni per il sistema moda (-7,9%) i cui livelli di attività sono, ormai da troppo tempo, inferiori a quelli ante crisi.
Nei servizi si registra la decisa accelerazione negativa di quelli a persone e famiglie il cui fatturato perde l'11%. Le autoriparazioni registrano il più basso livello di fatturato (77,2), con i trasporti che presentano l'evoluzione meno negativa (calo del 3,2).
Sul piano territoriale, TrendER registra dinamiche del fatturato positive solo per due aree provinciali: Modena (+4,9%) e Ravenna (+0,8%). Dinamica negativa dunque per sette province e per due di esse in modo particolare: Ferrara, dove la caduta del fatturato è del 19,2% e, soprattutto Rimini, dove si registra un -27,9%. Le province di Bologna e Forlì-Cesena, registrano una diminuzione compresa tra il 3 e il 4%; Reggio Emilia segue con un calo piuttosto deciso (-10,4%) ma leggermente inferiore a quello complessivo della regione che è del -10,6%. Piacenza e Parma (rispettivamente -5,3% e -7,3%) segnano una decisa inversione di tendenza del semestre precedente.
 
LA CRISI HA "BRUCIATO" IN EMILIA ROMAGNA 13,5 PUNTI DI PIL E 18 ANNI DI CRESCITA ECONOMICA
Il sistema emiliano romagnolo dunque perde competitività. Ad attestarlo non c'è solo la congiuntura negativa. Dall'inizio della crisi (autunno 2008) ad oggi l'Emilia Romagna ha perso 13,5 punti di Pil. Infatti le previsioni stilate prima dello scoppio della crisi delineavano una crescita del 6,1% tra 2008 e 2013, mentre i dati quantificano al contrario una caduta del Pil regionale del 7,4% rispetto al 2008.
Un'altra interessante chiave di lettura fornita dall'analisi effettuata dal Centro Studi Sintesi per CNA, è quella relativa al Pil reale pro capite che, nel 2013, è pari a 27.795 euro. Occorre tuttavia risalire al 1995 per riscontrare un valore del Pil pro capite reale (28.143 euro) analogo a quello del 2013 e al 1994 per trovare un valore inferiore (26.995 euro). In altre parole, la crisi ha bruciato 18 anni di crescita economica. Il settore che più ha sofferto è l'edilizia: nel periodo 2008-2013, il valore aggiunto delle costruzioni in Emilia Romagna si è ridotto di quasi un terzo (-31,3%). Netto calo (-12%) anche per l'industria, mentre il settore dei servizi ha fatto registrare una perdita più limitata (-2,9%). Il prezzo pagato alla recessione è il progressivo deterioramento del livello di competitività del sistema regionale. L'Emilia Romagna, come attestato dalla Commissione Europea, tra il 2010 e il 2013, ha perso ben 28 posizioni nella classifica di competitività delle regioni europee, scivolando dalla 124esima posizione nel 2010, alla 152esima del 2013.
La perdita di competitività del sistema economico regionale è stata causata anche dal rilevante sforzo imposto al nostro territorio dalle manovre finanziarie varate tra l'estate 2010 e la fine dello scorso anno. Nel 2012 il complesso delle manovre finanziarie gravanti sulle Amministrazioni locali della regione era pari allo 0,85 del Pil. Tale incidenza è destinata a salire all'1,1% del Pil nel 2013 e a confermarsi nel 2014, al netto dei contenuti della Legge di Stabilità.
Nel complesso lo sforzo finanziario per l'Emilia Romagna nel 2013 è pari a 1,5 miliardi, ben 438 milioni in più rispetto a quanto richiesto l'anno precedente. Per il 2014, il quadro dovrebbe stabilizzarsi, anche se permangono ancora molte criticità su punti importanti come la distribuzione definitiva del Fondo di solidarietà comunale e la questione dell'assetto finale dell'IMU. In termini pro capite, le manovre degli ultimi anni valgono per quanto concerne le Amministrazioni locali dell'Emilia Romagna, 240 euro nel 2012, 339 euro nel 2013 e 343 euro nel 2014.
I provvedimenti del Governo per risanare i conti pubblici hanno comportato l'aumento della tassazione che a sua volta ha generato effetti depressivi sull'economia. "Sulla base di un apposito modello econometrico – spiega Alberto Cestari di Centro Studi Sintesi – si è stimato che le manovre di austerità, attuate dall'estate 2011 ad oggi, abbiano comportato una perdita di Pil per l'Emilia Romagna pari a 3.552 milioni nel 2013 (-2,6% rispetto allo scenario antecedente la crisi dello spread) e a 4.186 milioni nel 2014 (-2,9%). Le manovre hanno avuto impatti negativi anche sui consumi regionali (-1,6% nel 2013 e – 1,9% nel 2014) specialmente sul sistema casa (-445 milioni nel 2013) che da solo assorbirà il 34% dei minori consumi. Anche i redditi delle famiglie hanno subito una pesante penalizzazione: il costo annuo per le famiglie emiliano romagnole di tutte le manovre approvate è valutabile in 380 euro, manovre che hanno eroso soprattutto il reddito disponibile dei nuclei familiari meno abbienti."
Riformare la spesa pubblica per rilanciare lo sviluppo. E' questa la richiesta di CNA a fronte di dati e cifre. "Nell'attuale scenario di recessione economica – sottolinea il Segretario regionale Gabriele Morelli - il debito pubblico continua a crescere: quest'anno il rapporto debito/Pil sfiorerà il 133%. Appare evidente che la riduzione del debito pubblico prevista dal Fiscal compact non potrà avvenire unicamente mediante la creazione di avanzi di bilancio (più tasse e tagli di spesa), giacchè gli effetti su famiglie e imprese sarebbero pesantissimi. Servono interventi straordinari sul versante delle dismissioni; occorre razionalizzare il sistema istituzionale centrale e locale, nonché promuovere una maggiore efficienza della Pubblica Amministrazione."
 
IMPRENDITORI ANCORA PESSIMISTI SULLA CRISI. MA DOPO IL VOTO DI FIDUCIA AL GOVERNO IN NOME DELLA STABILITA' DANNO CREDITO A LETTA
In 15 giorni lo stato d'animo degli imprenditori rispetto alle prospettive dei prossimi mesi è cambiato. Se a metà settembre mostravano grande scetticismo sulla durata del Governo, dopo la fiducia ampia data dal Parlamento, la stabilità appare possibile. Ed è proprio la stabilità, la chiave di volta. Un Governo che può "durare" dicono gli imprenditori può "fare".
E' quanto emerge dal sondaggio condotto dall'Istituto Freni su di un panel di piccoli e medi imprenditori associati a CNA.
Le indicazioni degli intervistati, interpellati prima e dopo il voto di fiducia, sono chiare.
Prima del voto, le attese di vita da parte degli imprenditori per il Governo ("come valuta la probabile durata del Governo Letta?") erano ridotte al minimo: per il 26% degli interpellati: poche settimane o qualche mese ancora; per il 43% meno di un anno; meno di due anni per il 29%; buona parte della legislatura per il 3%; tutta la legislatura, solo il 2%.
Dopo il voto di fiducia, le aspettative si sono completamente modificate. Nessuno ha risposto: poche settimane o qualche mese; il 21% ha indicato: meno di un anno; il 50% più di un anno/almeno 2 anni; il 22% buona parte della legislatura (3-4 anni) ed il 7% l'intera legislatura. E' stata la prospettiva di un Governo più forte, quindi stabile, a modificare le aspettative di durata dell'Esecutivo. Sul piano territoriale, le prospettive di durata del Governo sono dai 3 ai 4 anni per il 50% degli imprenditori modenesi, per il 43% di quelli bolognesi, per il 25% dei ferraresi e per il 27% dei forlivesi; almeno 2 anni per il 45% degli imprenditori reggiani; il 30% per quelli modenesi ed il 21% per quelli bolognesi.
La nota più rilevante riguarda la percentuale di coloro che ritengono che il Governo possa durare per l'intera legislatura: mentre prima del voto di fiducia solo il 2% si era espresso in questo senso, dopo il voto la percentuale regionale passa al 7% con delle punte del 13% a Ravenna, del 10% a Reggio Emilia e Parma e dell'8% a Ferrara.
Questa prospettiva non modifica il giudizio sui risultati sinora conseguiti dal Governo delle larghe intese, che nella percezione degli imprenditori appaiono deboli. Ma la soddisfazione da parte di quasi 2 imprenditori su 3 per l'esito del voto di fiducia rispetto allo spettro di nuove elezioni, traduce il sentiment che si sia arrivati ad un punto di svolta nell'azione di Governo. Il punto chiave è la stabilità politica che dà credibilità al sistema Italia e consente al Governo di non avere sulla testa la spada di Damocle dell'emergenza continua. Altrettanto decisamente gli imprenditori dicono: "Ora il Governo non ha più alibi".
 
(Fonte: ufficio stampa CNA Regionale)
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