La quarta espulsione su sette uscite del Parma ha rinfocolato le ceneri del vittimismo di gran parte dei tifosi gialloblù che, sobillati da qualche interessato influencer, ravvedono nei provvedimenti comminati, una sorta di persecuzione nei confronti della squadra Crociata, che sarebbe vessata da decisioni contro, in casistiche analoghe su altri campi. O peggio ancora, lo stesso arbitro non punirebbe con la medesima severità altri calciatori, magari strisciati, in presenza di quella stessa tipologia di reato costata ai ducali il cartellino rosso.
E così, sui social e sulle chat di WhatsApp si moltiplicano i meme con, riportati, ad arte, fotogrammi di azioni fallose diversamente valutate dai giudici di gara, rei di applicare diversi pesi e misure nei propri verdetti diretti o corretti dal Var, come nel caso di Woyo Coulibaly ieri al Renato Dall’Ara.
Non è mia intenzione, in questo specifico caso, del resto come nei precedenti, permettermi di valutare la bontà o meno dello specifico operato del collegio arbitrale – esercizio che tanto piace nel condominio Calimero del pensiero unico, dove amano offrire alibi – anche perché, ormai, giusta o sbagliata che sia, questa è stata presa e non può certo essere variata coi piagnistei, anche se, da cronista, fa piacere appuntare il parere dello specialista della DS Mauro Bergonzi…
…che, con vigore, ha sostenuto che fosse corretta la prima decisione a caldo del Sig. Marco Di Bello della Sezione A.I.A. di Brindisi (cartellino giallo) e non la revisione tecnologica del VAR (Sig. Silvio Mazzoleni) ed AVAR (Sig. Lorenzo Maggioni) che ha suggerito il rosso, così come il giudizio del salotto di Rete 7 Bologna, guidato dalla intramontabile Sabrina Orlandi, che, all’unisono ha ritenuto esagerata l’espulsione, ammettendo che, al di là del piede a martello del difensore francese sullo svizzero Dan Ndoye, a parti invertite li avrebbe fatti imbufalire.
Se si potesse fare zapping su e giù per lo Stivale con tutte le tv locali, si scoprirebbero tanti condomini del dagli all’arbitro, perché, a causa della pochezza delle giacchette multicolor – se crediamo alla malafede, smettiamo di seguire questa disciplina – qualsiasi supporter di qualsiasi squadra avrebbe da dire per presunti torti (senza mai ammettere i favori, beninteso) perpetrati ai propri danni. Mal comune, mezzo gaudio? Non voglio dire questo, ma, obiettivamente, non mi pare di ravvisare gli estremi di una persecuzione ai danni del Parma, così come dipinta da esponenti di altre correnti di pensiero differenti dalla mia che, grazie a questo populismo, raccolgono facili consensi di folla.
Tutto ciò, a parere dello scrivente, è altamente diseducativo e non funzionale per la stessa squadra: se sono quattro i cartellini rossi subiti, non è perché i vari direttori degli incontri, in concorso tra loro, avessero deciso a priori di complicare la vita al Parma, quanto perché, magari per inesperienza (effetto collaterale nocivo della politica green del club) i giocatori sono incorsi in fattispecie che li hanno fatti scattare. In modo esagerato? Può darsi. Ma, evidentemente, nel calcio di oggi (che indubbiamente è piuttosto cervellotico, ma non è questo il tema), vi è un’attenzione particolare a determinati dettagli che sarebbe meglio curare, anziché trascurare, al fine di prevenire di trovarsi coinvolti in questioni così incresciose.
Ora va di moda punire un certo tipo di irruenza? Ebbene: i calciatori (di movimento, ma anche il portiere) andrebbero all’uopo istruiti, per evitare il ripetersi di trovarsi in dieci. I club strutturati, ricchi di specialisti al proprio interno (nel Parma una trentina al solo dipartimento performance & analytics), hanno al proprio servizio anche un ex arbitro (in alcune annate il Parma ne vantava persino due, tra cui Riccardo Pinzani, foto sotto, ora Responsabile della Commissione FIGC per la formazione degli addetti all’arbitro) che, appunto, dovrebbe essere messo in condizione di spiegare ai giocatori le varie trappole in cui potrebbero incappare, dalle mille variazioni dell’interpretazione dei fuorigioco, dei falli di mano a, buon ultimi, gli interventi particolarmente decisi o potenzialmente pericolosi per gli avversari. Senza snaturare, per carità, le caratteristiche di nessuno, ma mettendo sull’avviso che vige una certa sensibilità che non andrebbe urtata, ora che, con nuove norme non ben delineate, il libero arbitrio sembra amplificato.
Questa chiamasi cura dei particolari: sicché, se preferiamo soffermarci a suggerirla, non è perché siamo democristiani, perbenisti o perché da snob non ce la vogliamo prendere con gli arbitri, quanto, appunto, perché riteniamo più importante che si cerchi di migliorare quello che abbiamo il potere di riuscire a fare attraverso le nostre critiche costruttive, ossia dirigenti, tecnici e calciatori Crociati (sarà un caso, ma a furia di invocare attenzione alla fase difensiva, da preferirsi allo zemaniano un gol più dell’avversario, ieri, dopo una media di due gol incassati a gara, è arrivato il primo clean sheet).
Gli arbitri, come le porte e le righe del campo, fanno parte del giuoco del calcio e non sono elementi che possiamo migliorare attraverso i nostri suggerimenti; anzi, certi inutili piagnistei potrebbero finire per esser persino controproducenti, intanto perché con la cultura degli alibi la squadra non cresce, ma anzi peggiora (vedesi il pessimo modo di preparare lo scontro diretto con il Cagliari con tre punti gettati al vento, anzi, peggio, lasciati ad una diretta concorrente…) e poi perché a furia di esser tirati… per la giacchetta, gli arbitri (che sono esseri umani e non divini) possono anche incavolarsi e finire, davvero, ora che la discrezionalità vige sovrana, per darti contro la mezza decisione che potrebbero darti a favore (tramutando l’arancione in rosso, anziché in giallo, ad esempio…) perché ti sei reso antipatico ai loro occhi.
Rendiamoci conto, basta sfogliare i giornali, che il Parma non ha alcun peso mediatico a livello nazionale, per cui tutti questi pianti (che restano nel nostro minuscolo bacino d’utenza, senza scalfire nessuno, se non, viceversa, allargare il già smisurato ego di chi si erge a paladino della guerra contro i mulini a vento: non siamo la Juve, non siamo il Napoli, non possiamo pensare di avere il loro potere di incutere sudditanza psicologica, sicché alzare la voce, non porta alcun tipo di vantaggio successivo (ché questo sarebbe il fine della campagna, secondo mandanti ed esecutori), ma semmai, al contrario, può far male perché ci rende (ancor più) antipatici al sistema… Gabriele Majo