I Carabinieri della Stazione di Marzabotto e Vado, sull'Appennino Bolognese, stanno monitorando un tratto stradale della Provinciale “325 – Val di Setta” che ieri pomeriggio è stato interessato da un crollo della parete rocciosa sul Torrente Setta, all’altezza del km 13 di Gardeletta, una frazione del Comune di Monzuno.
Nessuna persona è rimasta ferita perché il tratto stradale era stato chiuso al traffico dalle autorità competenti un paio di settimane fa, a causa di un improvviso smottamento del terreno. I Carabinieri della Stazione di Marzabotto e Vado stanno continuando a monitorare l’area per questioni di sicurezza perché ulteriori crolli rocciosi potrebbero ostruire il normale flusso del Torrente.
Durante un normale servizio di controllo del territorio, sabato scorso, è giunta una chiamata al 113 da parte di una giovane ragazza vittima di atti persecutori da parte di uomo che si trovava sotto casa sua.
Una pantera della squadra volante è intervenuta in pochi attimi ed l’ha individuato: un tunisino 38enne, completamente privo di documenti. Il soggetto è risultato essere clandestino, già espulso dal territorio nazionale nel 2008, anche a seguito di una condanna per resistenza a pubblico ufficiale e false attestazioni.
Le attività d’indagine hanno permesso di ricostruire la vicenda e circoscrivere tutte le molestie ricevute dalla giovane donna. L’ossessione dell’uomo per la giovane era in una fase avanzata, che sarebbe potuta degenerare anche in atti violenti. Il suo comportamento aveva determinato nella ragazza un grave stato d’ansia e di paura, tanto da non permetterle più di seguire le proprie abitudini, in altre parole di poter essere libera di vivere la propria vita.
Alla luce dei fatti che si sono evidenziati, il tunisino è stato tratto in arresto in flagranza per il reato di atti persecutori e collocato presso la locale casa circondariale a disposizione del Pubblico Ministero.
Il Grandemilia vicino alla Pediatria del Policlinico di Modena: per tutto il 2019 saranno raccolti fondi nelle diverse iniziative pubbliche svolte al Centro Commerciale.
Modena -
Grandemilia for Children: Insieme per i bambini del Policlinico di Modena. Questo lo slogan che a partire da sabato 20 aprile sarà esposto nella Galleria del Centro Commerciale Grandemilia (via Emilia Ovest 1480 a Modena) per indicare la raccolta fondi che la Galleria ha deciso di iniziare a favore della Pediatria del Policlinico, diretta dal prof. Lorenzo Iughetti. Il sabato di Pasqua verranno regalate 5.000 uova di cioccolato ai bambini che si recheranno a Grandemilia. Da quel giorno alcune urne con il logo della campagna saranno presenti nella Galleria e consentiranno di donare al Policlinico sino al 31 dicembre. La cifra raccolta sarà poi consegnata all'Azienda Ospedaliero – Universitaria a favore della Pediatria.
L'iniziativa ha avuto una sua gradita anticipazione ieri mattina, mercoledì 17 aprile quando Elia, la mascotte di Grandemilia ha portato uova di cioccolato in Pediatria e Oncoematologia Pediatrica. Elia è stato accolto da una rappresentanza di medici e infermieri del reparto, guidati dal prof. Lorenzo Iughetti e dal coordinatore infermieristico Francesco Allegretti. Con loro le maestre dello Spazio Scuola Caterina Mandelli e Marisa Sverberi, e di Spazio Incontro Ivana Carri e Francesca Prampolini. Elia è ospite fisso durante le festività natalizie al Policlinico, sempre pronto a portare un sorriso ai bambini ricoverati. Oggi il suo impegno marca l'inizio di un percorso ancora più forte di collaborazione.
Grandemilia for children è una raccolta fondi che andrà avanti per tutto il 2019. In occasione degli eventi che Grandemilia dedica ai più piccoli, in galleria saranno presenti urne per raccogliere donazioni che saranno interamente devolute all'U.O. Pediatria e Pediatria ad indirizzo Oncoematologico del Policlinico di Modena.
Nel 2018 questi reparti hanno garantito assistenza di emergenza a circa 20mila bambini del territorio e oltre 400 ricoveri e 4mila prestazioni ambulatoriali in ambito oncologico, consolidando inoltre molte attività specialistiche (endocrinologia, diabetologia, nefrologia), con un'attenzione particolare anche alle malattie rare per le quali è stato istituito un ambulatorio in grado di garantire un adeguato approccio multidiscplinare a bambini con bisogni speciali.
Con la raccolta fondi a sostegno delle attività dell'U.O. Pediatria, Grandemilia si pone l'obiettivo di rimarcare il proprio supporto agli Enti del territorio modenese.
Villa Levi a Reggio Emilia, una delle più affascinanti dimore storiche seicentesche della regione, a rischio crollo e abbandono: la denuncia di Gabriele Arlotti.
Reggio Emilia -
Sette milioni, presunti, di valore abbandonati a se stessi. Ma, soprattutto, uno dei beni immobiliari, storici e affettivi dei reggiani. Infiltrata d’acqua e muffe, vittima dei ladri, abbandonata al suo destino è una delle più affascinanti dimore storiche seicentesche della regione.
E’ Villa Levi che nel Settecento sarebbe passata proprio alla storica famiglia ebrea di cui porta ancora il nome. Una villa che comprende i due fabbricati annessi (Guado e Augusta), terreni per 20 ettari, l’oratorio Besenzi del 1840, ma che soprattutto ha un meraviglioso corpo centrale neoclassico e le dipendenze attorno.
Ieri, 17 aprile, sono andati via per sempre i pochi tecnici di laboratorio rimasti, con rientro all’Università di Bologna.
Villa Levi ha ospitato per quasi mezzo secolo il Corso di Laurea in Scienze della Produzione Animale (il triennio applicativo finale).
Nel 1968, in piena contestazione studentesca, i presidi delle facoltà di Veterinaria e di Agraria dell'Università di Bologna, fondarono per la prima volta in Italia il corso di Laurea di Scienze della Produzione Animale, collocando il biennio propedeutico a Bologna e quello applicativo a Reggio Emilia, con sede a Villa Levi-Coviolo. Nel 1970 la Villa venne acquista, con firme dei professori Zucchi e Zambonelli, dall’ultimo proprietario del tempo, l’avvocato Pelosi.
All'inizio, tutte le attività reggiane di Scienze della Produzione Animale si svolsero per diversi anni in una sede provvisoria, successivamente all’acquisto, operato dall'Università di Bologna con anche un contributo della Cassa di Risparmio di Reggio, si trasferirono qui definitivamente nel maggio del 1978 con il restauro fatto dall’Università di Bologna con contributi per la gestione degli enti locali reggiani Camera di Commercio, Provincia, Comune di Reggio Emilia.
Da allora fino all'aprile del 2011 in cui venne chiusa definitivamente, (per trasferire tutte le attività presso la sede di Bologna) ha laureato oltre 1500 professionisti.
Negli ultimi anni però è stata completamente trascurata per motivi economici dall'Università di Bologna, “fino a renderla a quasi un rottame”- commenta un ex docente, come dimostrano le diverse foto. Acqua infiltrata nei tetti, grondaie in rame rubate e sostituite con quelle in plastica, alberi monumentali caduti nel meraviglioso parco accanto.
“lo spreco di danaro pubblico equivale a un furto aggravato, perché trattasi di quattrini degli italiani. La morte di Villa Levi non é un danno economico solo per Coviolo, ma per tutta l'Università italiana”.
Perché Villa Levi venne abbandonata? “Ai primi anni Duemila a Reggio Emilia c’erano 3 facoltà di agraria oltre a questa di Produzione Animale di Bologna, con Modena e Parma. Nel mentre a Reggio Emilia era iniziata già a fine anni Novanta la battaglia per essere sede di Università e non solo distaccamento. Creata la nuova Università di Unimore risultava superfluo mantenere a Reggio un distaccamento di Bologna”.
Nel 2011 a Villa Levi cessarono funzioni didattiche, col rientro di ricercatori, insegnanti e studenti a Bologna, che, qui a Coviolo, erano svolti negli istituti di allevamenti zootecnici, di zooeconomia, microbiologia e industrie agrarie, istituto di produzione foraggere e di edilizia zootecnica. Qui sono nate, oltre a numerose analisi economiche, alcune tra le più grandi scoperte scientifiche del tempo, ad esempio, su Parmigiano Reggiano e suinicoltura.
Inutilmente, per 7 milioni di euro, l’Università di Bologna ha cercato di vendere questo luogo che è protetto da vincolo della Soprintendenza.
Gabriele Arlotti
I cuscini sono confezionati da donne per altre donne e rappresentano un ausilio nel percorso di cura oltre che un segno di vicinanza.
A distanza di tre anni dal primo, è stato donato nei giorni scorsi il 500mo cuscino di stoffa a una paziente del reparto di Chirurgia senologica del Santa Maria Nuova di Reggio Emilia da parte dei volontari di Senonaltro, l’associazione nata per sostenere le donne operate di tumore mammario.
I cuscini, che hanno la forma ergonomica di un cuore, sono pensati per alleviare il fastidio della posizione orizzontale e favorire il riposo nelle donne che hanno subito lo svuotamento del cavo ascellare nel corso di un intervento di rimozione del tumore.
Cuori sottobraccio è un’iniziativa che Senonaltro porta avanti dalla primavera del 2016 avendo mutuato analoghe esperienze italiane ed europee.
I cuori, rivestiti di allegra stoffa colorata, sono confezionati da donne nella piena condivisione della mission dell’associazione e sono consegnati alle pazienti dalle stesse volontarie in un momento di incontro che stimola un sentimento di solidarietà e vicinanza.
Alla consegna del cuscino, avvenuta al CORE, erano presenti il direttore della struttura Guglielmo Ferrari e i volontari e le volontarie di Senonaltro.
Il progetto è stato recentemente esteso alle pazienti operate all’Ospedale Magati di Scandiano e interesserà a breve anche l’Ospedale di Guastalla.
Una storia di abusi che andava avanti da addirittura vent’anni e che finalmente nei giorni scorsi, si é conclusa con la custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Parma e l’arresto da parte della Polizia di un soggetto, gravemente indiziato dei reati di maltrattamenti e stalking ai danni della moglie.
Parma -
Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Parma – gruppo fasce deboli, sono partite dalla denuncia della vittima, una quarantenne parmigiana, che nei primi giorni di febbraio, si è presentata presso gli uffici della Squadra Mobile.
La donna, esasperata ed intimorita, ha raccontato delle violenze subite da parte dell’ex compagno, padre di suo figlio. Violenze senza tregua, perseguite da vent’anni.
Rassicurata dal personale specializzato della “Sezione reati con la persona” della Squadra Mobile, ha iniziato a descrivere una storia d’amore, nata quanto lei era poco più che ventenne e che era stata segnata, sin dall’inizio, da violenze verbali, fisiche e psicologiche.
Le vessazioni dell’ex compagno, anch’egli quarantenne - già conosciuto per numerosi precedenti di polizia per reati contro la persona ed in materia di stupefacenti - si sarebbero concretizzate, soprattutto, in frequentissime e furiose scenate di gelosia che spesso degeneravano in aggressioni fisiche nei confronti della donna stessa, dei suoi familiari, degli amici ma anche nei confronti di sconosciuti, che in più occasioni sono intervenuti per sedare le violente liti scoppiate tra i due anche in luoghi pubblici.
Sono così emersi numerosi singoli episodi. Un’aggressione risalente ai primi anni 2000 all’interno di un locale pubblico, a causa di una conversazione con un amico protrattasi troppo a lungo, percosse e minacce subite da lei e da un passante che aveva provato a frapporsi tra i due fidanzati durante un litigio avvenuto in strada, dopo che lui l’aveva inseguita e costretta a scendere dall’auto su cui stava viaggiando.
Episodi di violenza protrattisi per circa due decenni e proseguiti anche dopo la convivenza e la nascita del figlio. E alcune volte anche davanti allo stesso, tanto da ricorrere, in più occasioni, alle cure dei sanitari senza però spiegare la causa delle ferite riportate.
L’uomo, però, dopo ogni aggressione, facendo leva sul sentimento della donna e sulle ripercussioni che una loro separazione avrebbe potuto avere sul figlio. Tuttavia, circa 2 anni fa, al culmine dell’ennesima lite in cui lui l’avrebbe picchiata colpendola ripetutamente al volto e costringendola a trovare riparo nell’appartamento di una vicina, la donna ha deciso di allontanarsi definitivamente, trasferendosi, insieme al figlio.
La distanza non avrebbe posto fine però alle condotte minacciose e violente persecutorie dell’uomo, fino a quando - dopo l’ennesima aggressione avvenuta nei primi giorni del 2019 - la donna ha deciso di rivelare la sua storia con tutti i risvolti drammatici.
Uno studio della Cardiologia del Policlinico Modena – che fa parte dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena e che è diretta dal prof. Giuseppe Boriani di Unimore - ha esplorato la correlazione tra obesità e fibrillazione atriale.
Il professor Giuseppe Boriani è il primo autore di un articolo pubblicato in collaborazione con l’Università statunitense di Harvard in corso di stampa sulla prestigiosa rivista European Heart Journal e sinora pubblicato sulla versione on-line della rivista.
“Obesità e fibrillazione atriale – spiega il prof. Giuseppe Boriani - sono un'associazione di patologie poco studiate sinora, che in questo studio abbiamo analizzato in dettaglio su una casistica di oltre 20 mila pazienti, raccolta in quattro anni di lavoro in un database specifico. Questa casistica ci ha consentito di evidenziare che il sovrappeso e l'obesità molto frequenti nei pazienti con disturbi cardiaci e nel caso specifico nei pazienti con aritmia da fibrillazione atrialepossono essere trattati con sicurezza con i nuovi anticoagulanti orali nella prospettiva di ridurre la temibile complicanza dell’ictus cerebrale”.
La fibrillazione atriale, che consiste in un’alterazione del ritmo del cuore che produce un battito molto rapido ed irregolare, ha effetti sulla funzionalità dei ventricoli e sul flusso sanguigno. In condizioni normali, a riposo, il ritmo cardiaco, definito “sinusale” è solitamente di 60-80 pulsazioni al minuto. In caso di fibrillazione atriale, la frequenza può variare tra 300 e 600 battiti al minuto. La fibrillazione atriale è, però, una malattia progressiva e potenzialmente pericolosa, in quanto comporta una accelerazione della funzionalità del cuore, riducendo l’efficienza della pompa cardiaca. Per questo va inquadrata in breve tempo e trattata in maniera adeguata. La fibrillazione atriale ha una incidenza piuttosto significativa tanto da riguardare l'1-2% della popolazione mondiale. Mentre in Italia ne soffrono 600mila persone.
“Un moderno approccio al paziente con fibrillazione atriale – aggiunge Boriani - deve avere oggi le caratteristiche di un approccio integrato, multidisciplinare, mirato alla terapia del disturbo del battito cardiaco ma anche al corretto inquadramento oltre che della cardiopatia di base delle condizioni patologiche associate, in primis obesità e diabete. L’adozione di appropriati stili di vita e esecuzione di regolare attività con almeno due ore alla settimana di esercizio fisico può contrastare gli effetti di sovrappeso e obesità anche nel campo delle aritmie ed è ciò che caldamente consigliamo ai pazienti nel nostro ambulatorio del Policlinico dedicato ai pazienti con fibrillazione atriale, in piena collaborazione con gli altri specialisti e con i medici medicina generale”.
L’ambulatorio del Policlinico esegue circa 800 visite in un anno. Cardine dell’approccio clinico è la terapia anticoagulante, unita a trattamenti farmacologici o interventistici come la ablazione transcatetere, cioè la procedura in cui vengono colpite in modo “mirato” le zone all’interno del cuore, negli atri, che determinano l’insorgenza e il mantenimento della fibrillazione atriale. Per le ablazioni il Policlinico svolge il ruolo di centro di riferimento provinciale.
“Le equipe di elettrofisiologi della provincia – conclude Boriani - stanno lavorando insieme, riproponendo anche in questo settore l’attività di equipe già in atto per il trattamento dell’infarto in cui il ruolo di riferimento è svolto dalla Cardiologia dell’Ospedale di Baggiovara diretta dal dottor Stefano Tondi”.
Fonte: Policlinico Modena
Omicidio di Scandiano: i Carabinieri indagano sulle ragioni che hanno portato Giampietro Guidotti a sparare a bruciapelo a Giorgio Campani, suo amico d’infanzia. Tra loro c’erano querele e controquerele per una questione di terreni confinanti, ma anche una donna che aveva avuto una relazione con entrambi.
SCANDIANO (RE) –
Ci sono amicizie che durano una vita, e altre che si trasformano e portano le persone a odiarsi. A volte fino alle estreme conseguenze. Come nel caso di Gianpietro Guidotti e Giorgio Campani, vicini di casa nella frazione di Visignolo di Baiso e amici fin da quando erano bambini. L’amicizia è durata anche durante la giovinezza. Molti testimoni affermano che i due erano inseparabili, andavano spesso a ballare insieme e facevano a turni su chi doveva prendere l’auto.
Poi il tempo è passato e da amici per la pelle, i due uomini sono diventati acerrimi nemici, al punto da “combattersi” a colpi di querele, pare per problemi legati ai confini e ai diritti di passaggio sui terreni confinanti. L’esasperazione è arrivata al punto tale che ieri mattina alle 10 Gianpietro Guidotti è entrato nel Blue Bar di Rondinara di Scandiano che sapeva essere frequentato da Campani. E quando, come si aspettava, ha trovato l’ex amico, ha estratto una pistola e gli ha sparato a bruciapelo alla testa, freddandolo nella veranda del locale.
Nelle ore seguenti l’omicidio, proprio le diatribe e i dissapori legati alle questioni legali hanno portato gli inquirenti a ricercare in esse il movente. Tuttavia, dopo aver raccolto diverse testimonianze dai residenti e dai frequentatori del bar, dove pare non fosse la prima volta che i due si affrontassero, è emerso che il motivo scatenante possa essere stata una questione di donne. La vittima, Giorgio Campani, 61 anni, che era separato dalla moglie e aveva una figlia, da qualche tempo aveva una relazione con una donna che, in passato, aveva frequentato anche Guidotti. E su questo “passaggio di mano” si erano incentrate le prese in giro di Campani nei confronti dell’ormai ex amico. Qualcuno ha anche riferito che in più occasioni, Guidotti avrebbe intimato a Campani di smetterla con le provocazioni, pronunciando quella frase “Altrimenti ti ammazzo”, che spesso si dice quando si è arrabbiati o esasperati. Solo che, questa volta, si è passati dalle parole ai fatti.
Il frontale sulla Statale Canaletto: una Fiat Ulisse con a bordo una 53 enne e una bambina di otto anni si è scontrata con bus Seta, a quell’ora pieno di lavoratori e studenti.
Modena -
Ci sarebbe un sorpasso azzardato dietro al frontale che ieri attorno alle 19.30 ha visto coinvolti una Fiat Ulisse, con a bordo una donna di 53 anni e una bambina di otto, che viaggiava in direzione di Modena, e un autobus Seta che viaggiava verso Mirandola, a quell’ora carico di lavoratori e studenti che rincasavano.
La situazione è parsa subito molto complessa e sul posto sono intervenuti i Vigili del Fuoco, l’elisoccorso e alcuni mezzi del 118. Ad avere la peggio la conducente della Fiat Ulisse che è stata estratta dalle lamiere grazie all’intervento dei pompieri ed è stata subito trasferita con l’Elisoccorso al Maggiore di Bologna. Le sue condizioni sono gravi. Ferite serie, ma non sarebbe in pericolo di vita, anche per la bambina che era con lei, trasportata al Policlinico di Modena.
Tanta paura anche per i passeggeri che viaggiavano sul bus, nove dei quali sono rimasti leggermente feriti e sono stati prima medicati sul posto per poi essere smistati tra il Policlinico e l’ospedale di Baggiovara. Al Pronto Soccorso del Policlinico sono giunte una bambina di 4 anni e tre donne di 20, 26 e 53 anni e tre uomini di 33, 39 e 52 anni. Al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Baggiovara sono invece stati portati quattro giovani di 18, 19, 20 e 25 anni.
Nella mattinata di oggi, i pazienti sono stati tutti dimessi, tranne la bambina che viaggiava sull’auto, che è stata operata dagli ortopedici del Policlinico e verrà dimessa presumibilmente nelle prossime ore. Rimane invece in prognosi riservata al Maggiore di Bologna la conducente della Fiat Ulisse che ha invaso la corsia opposta scontrandosi con il bus.
Il vigilante aveva notato la coppia che si aggirava nello store di via Emilia Centro e aveva fermato la donna quando questa era uscita facendo suonare il dispositivo antitaccheggio. A quel punto l’uomo l’ha aggredito e ne è nata una colluttazione. La merce rubata è stata recuperata dai poliziotti.
MODENA –
Ladri sempre più “organizzati” e violenti. Ancora una volta, a farne le spese, è stato l’addetto alla sicurezza che presiede l’ingresso dello store Zara di via Emilia Centro, tra i “preferiti” dei taccheggiatori.
Erano circa le 13.30 di ieri quando il vigilante ha notato una coppia che si aggirava con fare sospetto tra la merce in esposizione. L’uomo era poi uscito, lasciando la compagna all’interno del negozio e si era messo ad attenderla sotto al portico. Quando anche la donna è uscita, ha fatto però scattare il sistema antitaccheggio. A quel punto, l’addetto alla sicurezza l’ha fermata e le ha chiesto di poter ispezionare la borsa, ricevendone però un netto rifiuto. È stato a quel punto che è intervenuto il complice, poi identificato in un pluripregiudicato di 32 anni, che ha aggredito con violenza il vigilante, consentendo in questo modo alla compagna di fuggire di corsa.
Alla colluttazione hanno assistito diversi cittadini, che hanno avvertito le Forze dell’Ordine. Sul posto è giunta in tutta fretta una Volante della Polizia. Nel frattempo, il vigilante, che perdeva vistosamente sangue dal naso, era riuscito a bloccare il rivale e lo ha consegnato agli agenti. L’addetto alla sicurezza è poi stato medicato al Pronto Soccorso. E anche la merce rubata, dal valore di 225 euro, nel parapiglia è stata recuperata.