Di Ingrid Busonera (Quotidianoweb.it) Roma, 17 settembre 2024 -
Che effetto hanno le vaccinazioni mRNA ripetute sull’organismo?
La questione è duplice: da un lato la ripetuta stimolazione del sistema immunitario e dall’altra, la reiterata somministrazione di RNA ingegnerizzati. Riguardo alla prima, sappiamo per esempio da vari studi sulla vaccinazione antiinfluenzale che ripetuti richiami tendono a indebolire la risposta immunitaria finendo per portare alla produzione di anticorpi meno efficaci e che rischiano paradossalmente di aiutare il virus. Suggestivo che varie evidenze epidemiologiche con i vaccini COVID-19 paiano indicare che a ogni richiamo, con il declinare della copertura (la cosiddetta “efficacia negativa”) possa aumentare più rapidamente il rischio di contagio.
La questione della somministrazione di RNA è molto meno chiara: questi RNA ingegnerizzati hanno proprietà in larga parte ancora da caratterizzare. Ad esempio, esistono studi che mostrano in modelli sperimentali come le pseudouridine possano favorire le metastasi tumorali.
Infine, per quanto riguarda i vaccini a RNA COVID-19, non va scordato che questo codificano per la tossina virale attiva, e a ogni risomministrazione si ha una produzione di questa tossina nell’organismo, in quantità, sedi e per tempi che nessuno al momento è in grado di definire.
Vaccinazioni mRNA e sistema immunitario, perché tanti effetti avversi?
C’è motivo di ritenere che gli effetti avversi siano molti di più, per qualità e quantità, di quelli che conosciamo. La farmacovigilanza con questi prodotti non funziona poiché vengono utilizzati i criteri WHO AEFI sviluppati per i vaccini, che finiscono per escludere la maggior parte degli eventi post-vaccinali, grazie ad esempio al vincolo della “plausibile finestra temporale” e all’esclusione dei vaccini ogni volta che sia identificabile un’altra possibile spiegazione. Così un infarto post-vaccino viene di regola escluso se è trascorsa più di qualche settimana dal vaccino, e anche di meno se si verifica in una persona che ha già sofferto di disturbi coronarici. Con un qualsiasi altro prodotto medicinale, si giungerebbe quanto meno a un’avvertenza o una controindicazione nei cardiopatici.
La spike virale e la spike vaccinale agiscono nello stesso modo? Quale è più pericolosa?
Per quanto ne sappiamo sono uguali. Cambia se mai il modo in cui penetrano nell’organismo e vengono a contatto con i nostri organi e tessuti. La proteina virale si diffonde con l’ingresso del virus tramite le vie aeree, quella vaccinale viene prodotta nell’interno del nostro organismo e c’è motivo di ipotizzare che le sue conseguenze siano legate a dove finisce per essere prodotta, in che quantità e per quanto tempo. Tre aspetti che, come ci dicevamo, a oggi nessuno è in grado di chiarire. E poi c’è la questione della quantità, in corso di infezione e dopo vaccino. Riguardo a questo non ci sono dati, ma una nostra stima pubblicata qualche tempo fa porta a ritenere che i quantitativi totali siano analoghi.
Cosa sappiamo del ruolo degli esosomi nella trasmigrazione della spike vaccinale?
Molto poco. Esiste tuttavia almeno uno studio che mostra come la proteina Spike prodotta a seguito della vaccinazione possa circolare in tutto l’organismo veicolata entro queste vescicole che si formano dalla membrana cellulare a seguito del processo di esocitosi, finendo dunque per costituire un ulteriore veicolo di diffusione della proteina virtualmente in tutto l’organismo, sistema nervoso centrale compreso.
Esiste un reale rischio per i non vaccinati di “contrarre” la spike vaccinale? Che rischio corrono?
La questione è dibattuta e vanno dissipati in primo luogo alcuni equivoci derivanti da un passaggio del testo del protocollo originale di sperimentazione clinica del prodotto Pfizer, che invitava a segnalare eventuali esposizioni al farmaco in soggetti a contatto con chi lo aveva ricevuto. Quello è con ogni evidenza un passaggio standard incluso in moltissimi protocolli di sperimentazione poiché qualunque farmaco può passare nelle secrezioni corporee e “contaminare” altre persone che con esse vengano a contatto. Di recente, ad esempio, è emerso il tema del rischio per il nascituro da padri in trattamento con acido valproico.
Venendo ai vaccini COVID-19, è certo che a essi siano esposti i figli di madri vaccinate, fin dallo sviluppo intrauterino: RNA e proteina Spike sono state identificate nella placenta così come nel latte materno. Questi sono dunque due indubbi mezzi di trasmissione della proteina Spike da vaccinato a non vaccinato. Quali siano i rischi conseguenti a oggi nessuno lo ha stabilito, per quanto esista qualche evidenza indiretta che suggerisce che i lattanti da madri vaccinate sperimentino con maggiore frequenza disturbi quali febbre e quadri simi influenzali.
Dibattuta ma a oggi senza alcuna evidenza obiettivamente verificabile invece la questione del passaggio per via aerea o per contatto tramite secrezioni quali saliva, sudore, lacrime, sebo, sperma e via dicendo. In linea di principio non è impossibile, ma non vi è alcuno studio a riguardo.
Come eliminare la spike e ridurre i rischi?
Vari “protocolli” per la “disintossicazione dalla Spike” sono purtroppo molto popolari in rete, in social e chat, ma non hanno alcun fondamento scientifico. Vero è che la proteina Spike vaccinale è spesso presente nei tessuti danneggiati e ad esempio è stata rilevata in circolo in giovani vaccinati e con miocarditi post-vaccino, ma non in quelli senza miocardite. E tuttavia nessuno studio ha fino a oggi mai mostrato che esistano trattamenti “anti-Spike” e tanto meno che questi trattamenti possano curare i danni da vaccino. Il che non significa che non sia un ambito che necessita di molta ricerca laboratoristica e clinica. Ma oggi, sulla base delle attuali evidenze, non è accettabile né sostenibile proporre terapie “anti-Spike”. Fortunatamente, la maggior parte delle sostanze incluse nei vari “protocolli” sono innocue e in genere fanno bene alla salute, Nulla in contrario dunque a che vengano prescritte o assunte, a condizione di non farlo spacciandole per curative. C’è ancora molto lavoro da fare a riguardo.
Quali esami può effettuare un non vaccinato per escludere il rischio di contaminazione da spike vaccinale e ridurre eventuali rischi?
Sulla base delle attuali conoscenze, un vaccinato senza segni, sintomi o disturbi di alcun genere non ha motivo di preoccupazione. Significa semplicemente che ha corso, ci si augura consapevolmente, i rischi connessi alla vaccinazione COVID-19 e ha avuto la fortuna di non subire conseguenze.
Chi manifesta invece disturbi di qualsiasi genere deve affrontarli e gestirli in base alla loro natura. Come già ci siamo detti, per quanto vi siano fondati motivi per ritenere che gran parte dei danni causati da questi prodotti sia legata alla produzione incontrollata di proteina Spike, questo a oggi non modifica la diagnosi e la terapia dello specifico disturbo. Così, una trombosi, una miocardite, una manifestazione autoimmune, una neuropatia periferica o centrale e via dicendo vanno curate per quello che sono. Almeno fino a quando non ne sapremo di più sulla farmacotossicologia di base e clinica di questi prodotti.