Tuttavia, alla legittimazione democratica diretta non segue una preminenza del Capo del Governo sui Ministri, come ci si aspetterebbe da un vero "premierato" (non certo dal "papocchio meloniano"), i quali continuano ad essere nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Questi, lungi dall'assumere una posizione di preminenza all'interno della compagine governativa, resta, come lo è ora, un "primus inter pares". A questo si aggiunga, anche qui diversamente da un modello di vero "premierato", che non è contemplato il potere di revoca dei Ministri.
L'unico modo, pertanto, per "liberarsi" del titolare di un Dicastero è costringerlo alle dimissioni volontarie oppure a seguito di una mozione di sfiducia individuale in una delle due Camere (si veda la sentenza n. 7/1996 della Corte costituzionale sul caso Mancuso) disciplinata a livello di regolamenti parlamentari.
Da ultimo, se il Presidente del Consiglio eletto, con il suo Governo, ottiene la fiducia ex art. 94 della Costituzione vigente sia alla Camera dei Deputati, sia al Senato della Repubblica, inizia a svolgere il proprio mandato, mentre in caso contrario, ossia di non ottenimento della fiducia, il Capo dello Stato prima rinnoverà l'incarico all'eletto di formare l'Esecutivo con la conseguenza che, se anche in questo secondo tentativo non dovesse ottenere la fiducia, non potrà che sciogliere anticipatamente entrambe le Camere.
Tuttavia, se il rapporto di fiducia dovesse venir meno nel corso della legislatura, il Presidente della Repubblica avrà l'obbligo di incaricare a formare l'Esecutivo o il Presidente del Consiglio dimissionario o "un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto". Se il secondo Presidente del Consiglio incaricato non ottenesse la fiducia o negli altri casi (quali?) di cessazione dalla carica, allora si procederà a sciogliere i due rami del Parlamento e si tornerà a votare.
Come si può rilevare, l'eventuale secondo Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato si trova in una posizione di maggiore forza rispetto al primo, cioè a quello eletto direttamente dai cittadini elettori, in quanto solo la sua "caduta" porterebbe al voto. Una proposta di riforma che fa davvero molto riflettere anche per il modo con cui è stata scritta.
(*) Autore - prof. Daniele Trabucco
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche "Erich Fromm"). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario "Prospero Moisè Loria" di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in "Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie" organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
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