Tuttavia, ritengo che ogni discussione in questa direzione non possa non essere preceduta da una riflessione profonda sul fondamento della stessa democrazia.
Per i fautori del "traffico insaziabile dei diritti" la democrazia deve ispirarsi a quello che Hans Kelsen (1881-1973), il "padre" della scuola normativistica, definisce lo "scetticismo obbligato". In altri termini, il fondamento di un sistema democratico consisterebbe nel relativismo e nell'accoglimento di un'idea di libertà "assoluta" nel senso etimologico del termine, ossia senza limiti e senza vincoli: da qui le unioni civili, la non punibilità (alle condizioni previste dalla Corte costituzionale) del suicidio assistito, il mantenimento della legge ordinaria dello Stato n. 194/1978 inerente all'interruzione volontaria della gravidanza, l'apertura verso forme di eutanasia etc. La libertà incondizionata viene, dunque, a coincidere con il bene stesso della persona umana.
Il filosofo contemporaneo statunitense, Richard Rorty (1931-2007), è stato uno degli esponenti di spicco di questa visione, diffusa anche tra i "cristiani adulti", per cui esiste un nesso inscindibile tra democrazia ed assenza di qualunque prospettiva filosofica: il principio di maggioranza diviene esso stesso fonte di verità (fatti salvi, prosegue Rorty, alcuni principi di tipo intuitivo come, ad esempio, il rifiuto della schiavitù). Questa concezione, in realtà, implica un'idea di libertà quale contenitore riempibile di ogni possibile contenuto e spinge, lo scrive magistralmente il Papa emerito, Benedetto XVI (2005-2013), alla dissoluzione dell'io, alla perdita della sua essenza con contestuale riduzione a fenomeno teso a garantire il primato delle libertà sulla sua natura (intesa in senso filosofico e non biologico).
Esiste, però, un altro modo di intendere il fondamento della democrazia ed a questo dovrebbero ispirarsi le forze politiche di centro-destra per evitare quella degenerazione nichilistica della società contemporanea su cui il Primo Ministro francese, Elisabeth Borne, ha recentemente affermato di dover vigilare, invocando i "diritti umani".
Un sistema democratico non può trasformare il naturale diritto di un popolo all'autogoverno in un diritto a decidere su tutto. Negare che esista una natura dell'uomo con fini suoi propri significa cadere nella contraddizione dell'indifferentismo, dal momento che la persona umana non potrà mai essere altro da sé se non esercitando una volontà di potenza su se stessi e sugli altri (si pensi all'ideologia gender) che la porta a negare il proprio essere o l'essere altrui.
La democrazia e la politica che la innerva diventano, allora, giuste, cioè tese al bene dell'uomo in quanto uomo, nella misura in cui si pongono al servizio di principi attestati dalla ragione, rendendoli effettivi nella dimensione storica concreta.
Ecco allora la necessità di smascherare il capolavoro dell'ingiustizia che, scrive Platone (428 a.C. - 347 a.C.), "è di sembrare giusto senza esserlo".