Il decreto flussi prevede, infatti, 69.700 cittadini stranieri da impiegare nel lavoro stagionale e non stagionale.
Di questi, 27.700 quote sono riservate agli ingressi per lavoro non stagionale o autonomo: 20.000 nel settore autotrasporto merci, edilizia e turistico alberghiero e le restanti 7.700 per le conversioni dei permessi di soggiorno stagionale, tirocinio, studio, ecc; 42.000 quote sono invece riservate agli ingressi per lavoro stagionale nei settori agricolo e turistico alberghiero.
Con la modifica dei decreti sicurezza è stata inoltre introdotta la possibilità di aggiornare, anche nel corso dello stesso anno, il numero degli ingressi per i lavoratori stagionali tramite il varo di un nuovo decreto flussi.
Draghi stesso, infatti, non ha escluso l’ipotesi che l’anno prossimo possa essere presentato un nuovo decreto flussi.
Se la tendenza sarà, come quest’anno, quella di allargare sempre più le maglie dell’immigrazione legale, nel quadro di un debole contrasto agli sbarchi clandestini che non accennano a diminuire, il giudizio sulle politiche messe in campo non può che essere negativo. Osservando i dati inerenti al contesto socio-economico italiano, sembra che la classe dirigente del Paese sia avulsa dalla realtà sociale. Chissà se le linee programmatiche del Governo Draghi, il terzo della XVIII legislatura, siano in sintonia con la volontà popolare.
Nel mese di settembre 2021, l’Istat certifica una percentuale di disoccupati pari al 9,2%, mentre tra i giovani si attesta intorno al 29,8%.
Nel 2020 si conferma l’abbassamento del livello di istruzione degli stranieri, contrapposto alla crescita progressiva di quello degli italiani. Se nel 2008 la percentuale di popolazione con almeno un titolo secondario superiore era uguale per gli italiani e gli stranieri, nel 2020 la quota degli italiani è maggiore di 18 punti: 64,8% contro il 46,7%; la differenza è di 10 punti tra i laureati (21,2% contro l’11,5%).
Piuttosto che optare per generosi decreti flussi, sarebbe ora di porre efficaci soluzioni contro quello che Papa Francesco ha definito proprio in questi giorni “inverno demografico”, con il rischio di farci scomparire come popolo. Il continuo calo della popolazione mette in pericolo la possibilità di una crescita sostenibile.
Senza politiche efficaci di contrasto alla denatalità per invertire la rotta, entro il 2050 il numero dei cittadini in età attiva potrebbe ridursi di oltre otto milioni di persone. Funga da monito l’omelia del Santo Padre, rivolto durante l’Angelus ai fedeli: “Mi viene in mente una preoccupazione vera, almeno qui in Italia, l’inverno demografico: sembra che tanti abbiano perso la fiducia nell’andare avanti con i figli. E’ una tragedia. Facciamo di tutto per vincerlo. E’ contro le nostre famiglie, contro la Patria, contro il futuro”.
Già da oltre un quindicennio le prospettive demografiche italiane sono spaventose. Si verificheranno pesanti conseguenze economiche per l’Italia, che presto si troverà con tanti pensionati e un numero insufficiente di lavoratori in grado di mantenerli. Lo stato sociale collasserà.
Il degiovanimento della società italiana, derivante dal calo delle nascite, ha generato una quota insufficiente di nuovi lavoratori, causando così perdita di dinamismo e innovazione.
Non si può pensare che l’immigrazione possa essere la soluzione al dramma demografico. Bisogna invece incentivare le nascite con politiche familiari da troppo tempo trascurate. E’ l’unica via d’uscita per la salvezza dell’Italia.
(Matteo Impagnatiello membro Unidolomiti)