Di Daniele Trabucco (*) Belluno, 19 dicembre 2021 - "Agere sequitur esse", ovvero l'agire segue sempre l'essere dal momento che sussiste una correlazione necessaria tra la natura di un ente ed il suo modo di operare. Infatti, l'uomo, in quanto creatura, non potrà fare a meno di comportarsi in senso creaturale, ossia tendere al Creatore, causa prima e fine ultimo di tutte le cose.
Qualora si negasse questa evidenza, si dovrebbe concludere che la felicità dell'uomo è una non felicità, esaurendosi in beni finiti (la ricchezza, la fama, il piacere) come tali incapaci di cogliere il principio che sta e non si lascia contraddire secondo l'insegnamento di Eschilo (525 a.C. - 456 a.C.) nell'Inno a Zeus dell'Agamennone ed esponendo l'essere umano alla "paura" del divenire.
Poiché, dunque, l'uomo ha il desiderio di infinito, che supera le leggi del tempo e dello spazio, non può che riconoscere la piena felicità in Dio. Ne discende la logica fondazione onto-teologica dell'etica, ossia di un sistema morale che pone l'essere come norma dell'agire e fa di Dio (Ipsum esse subsistens) il fine ultimo del nostro operare.
(*) prof. Daniele Trabucco. Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico. Professore a contratto in Diritto Internazionale presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano.