Di Lamberto Colla Parma,9 agosto 170esimo giorno dell'anno 1 dell'era COVID-19 e 151° pandemico - domenica -
Come cambiano le cose. Beirut negli anni '70 era considerata la Montecarlo orientale, dove affari, finanza, intrecci amorosi e gossip internazionale albergavano quotidianamente, a volte oscurando la “Dolce Vita” Romana altre volte la più aristocratica e riservata mondanità monegasca.
Ed oggi, alla vigilia della ricorrenza del primo Ground Zero della storia, ovvero al compimento del 75esimo anniversario della bomba sganciata su Hiroshima dal bombardiere statunitense “Enola Gay”; quel B-29 Superfortress che il 6 agosto 1945 entrò tragicamente nei libri di storia per aver causato l’evento più devastante e permanente della storia moderna. “Little Boy”, così era stata chiamata la bomba atomica, causò una inutile carneficina di vittime civili, una prova di forza superflua posto che ormai la guerra era vinta: accelerò la decisione dei giapponesi di arrendersi.
Poi venne l’11 settembre 2001 con quattro attacchi suicidi concentrati su altrettanti obiettivi statunitensi da un gruppo di terroristi mediorientali: due aerei civili demolirono le torri gemelle, uno si schiantò a pochi passi dal Pentagono e un quarto aereo non raggiunse mai il suo obiettivo grazie al coraggio e al conseguente sacrificio dei passeggeri.
E infine, il tragico 2020 iniziato con una pandemia terrificante, prosegue nella sua raccolta di drammi con la doppia esplosione avvenuta il 5 agosto scorso al porto di Beirut.
2750 tonnellate di nitrato di ammonio erano stoccate, praticamente incustodite, nel bel mezzo della “polveriera” araba, in quel Libano che dagli anni ’80 non è nemmeno l’ombra di quel che era nel decennio precedente, diviso da due fazioni, ovviamente contrapposte.
Da un lato il Partito di Dio, Hezbollah, nato nel 1982, sostenuto dalla comunità sciita del paese, e isolati dalle comunità internazionali, Paesi del Golfo in primis, per la sua presa di posizione nella questione siriana, e dall’altro i sunniti, i quali trarranno benefici dal controllo che hanno sul porto di Tripoli che a questo punto si gioverà di quanto accaduto al porto di Beirut.
Insomma la polveriera araba non si riesce a disinnescare.
Turchi, russi e francesi che stanno scorrazzando in Libia, i Palestinesi che proseguono la loro lotta ancestrale contro Israele e la questione siriana ancora in bilico tra le superpotenze locali, Iran e Iraq, con il controllo, si fa per dire, di Turchia, Russia e Usa, seppure questi ultimi apparentemente sembrerebbero essersi un po’ defilati, e infine l’incognita terroristica rappresentata dalle cellule ancora attive del DAESH (ex ISIS Stato Islamico) e di quel che era l’armata di Bin Laden (Al Qaida), sempre pronte a sfruttare ogni occasione per tornare a dettar legge nell'area con il sogno egemonico globale.
La situazione socio economica libanese era già tesissima prima del 5 agosto, ora, con 300.000 sfollati, 5.000 feriti e centinaia di morti si rischia l'innesto di una nuovo focolaio di guerra, civile prima e poi, come spesso accade nel mondo islamico, esportata in altri paesi arabi e non solo.
Già 24 ore dopo l'esplosione gruppi di giovani avviarono delle manifestazioni che sfociarono in violenti scontri con i militari, scontri che si mostrarono ancor più violenti tra venerdi e sabato, sfociati con gli assalti al ministero degli esteri e dell'economia, riuscendo pure a occuparli registrando circa 238 feriti e un morto. E’ infatti al governo, accusato di inefficienza, corruzione e malaffare, che i giovani rivolgono le loro accuse, sottolineando la differenza rispetto alle precedenti generazioni accusate dai "figli" di non aver reagito di fronte alla evidente decadenza dello Stato.
Questi giovani invece sembrano determinati a riprendersi in mano la vita e a fare pulizia con ogni mezzo.
All’indomani dell’esplosione ecco che centinaia di volontari, muniti di mascherine, si sono dati appuntamento nelle strade con le proprie ramazze per iniziare la pulizia dalle macerie, a portare assistenza ai più deboli e emarginati, acqua e cibo agi anziani e invalidi, e persino, chi è nelle condizioni di farlo, offre la propria professionalità, gratis o a metà prezzo, per sostituire infissi, tinteggiare o fare opere murarie necessarie a rendere nuovamente abitabili le abitazioni.
Un movimento spontaneo di giovani rabbiosi che osservano l’immobilismo dello Stato anche in questa drammatica circostanza, presente e visibile solo per la presenza di alcuni operatori della protezione civile scesi in campo per verificare le strutture.
Una pesante recessione economica, che ha spazzato via la classe media, e la palpabile e diffusa corruzione sono i principali fattori determinanti l’instabilità del Paese, già fortemente diviso dal punto di vista politico/religioso e ora ferito socialmente e economicamente (sembra che il costo dell’esplosione sia di 5 miliardi di dollari) dalla devastante esplosione del 5 agosto.
E se ci fosse stato lo zampino di un soggetto terzo esterno e l'aiutino di un missile?
2750 tonnellate di nitrato d'ammonio sono una quantità impressionante di materiale esplosivo che non avrebbe dovuto trovarsi in una zona portuale e per di più crocevia di terroristi, all'interno di un Paese diviso politicamente e socialmente alla frutta, oppresso da un debito pubblico elevatissimo e costretto acquistare dall'estero ogni fattore anche di prima necessità.
Il materiale stoccato dove non doveva essere più era stato sequestrato da una nave diretta in Zambia nel 2014. Da allora la magistratura era stata più volte sollecitata per procedere a una rimozione e ora, come è ormai diffuso costume verrà istituita una commissione per dovrà trovare i responsabili e forse punirli fra cent'anni.
Era una "Bomba a orologeria" dicono gli abitanti di Beirut, ma purtroppo rappresentava anche un ghiotto obiettivo per i terroristi internazionali che dal "caos" traggono, o ritengono di estorcere, considerevoli vantaggi.
Non si esclude infatti che possa esserci stata la complicità di un missile a innescare l'esplosione, tant'è che è stato richiesto alle comunità internazionali, francesi in primis, di poter visionare le immagini dei satelliti puntati su quella delicata regione del Medio oriente.
L’inchiesta, probabilmente eseguita dall'esercito, ha sottolineato il presidente libanese Aoun, si svolgerà su tre livelli: “Primo, per appurare come il materiale esplosivo è entrato ed è stato stoccato, secondo se l’esplosione sia il risultato di una negligenza o di un incidente, terzo la possibilità che ci sia stata una interferenza esterna”.
Ma, come si diceva in precedenza, lo scetticismo è dilagante e condiviso anche da quattro ex primi ministri – tra cui Saad Hariri – che hanno chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta internazionale. A loro si sono uniti giovedì scorso anche lo storico leader druso Walid Jumblatt e il capo delle Forze Libanesi cristiane Samir Geagea, oltre ad Amnesty International e Human Rights Watch. Una possibilità respinta dal partito che guida l’alleanza di governo, Hezbollah, secondo quanto fatto trapelare da fonti interne.
Il ministro degli Esteri, Charbel Wehbe, in un'intervista alla radio francese Europe 1 ha detto che entro "solo quattro giorni" gli investigatori dovranno fornire un rapporto dettagliato sulle responsabilità di questo "crimine efferato di negligenza".
Un modo "elegante" per respingere la "commissione d'inchiesta internazionale" proposta da Macron che fu il rimo tra i capi di stato a volare su Beirut.
Il presidente libanese Michel Aoun continua a ribadire la sua contrarietà a un’inchiesta internazionale in quanto convinto, come ribadito durante una intervista, che queste procedure puntano a "distorcere la verità" e sotto la pressione delle rivolte interne, pur di raffreddare gli animi, ha proposto di procedere con le elezioni anticipate.
Non c'è fine, il Mediterraneo continua a bollire…
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