di Giulia Bertotto Roma, 29 novembre 2023 (Quotidianoweb.it) - Roberto Siconolfi, sociologo brillante, saggista coraggioso e mediologo per alcuni controverso. Lo abbiamo intervistato per parlare di uno dei temi più avvincenti della nostra epoca: l’Intelligenza Artificiale.
La chiamano rivoluzione digitale ma se guardiamo attentamente significa rivoluzione antropologica, cognitiva, emotiva, etica. E mentre l’uomo si confonde sempre più con la macchina, e si identifica sempre più con la materia, da questa ibridazione senza fili emerge tutta la metafisica nascosta, come forse non si era mai visto prima nella storia.
Dottor Siconolfi, facciamo chiarezza. Innanzitutto che cos’è l’Intelligenza Artificiale? È un’espressione ambigua, contradditoria, forse perfino ingannevole…
Le accezioni sono diverse e le prospettive molteplici, però definiamo l’IA come la protesi, l’estensione, della parte logico-razionale o meglio “computazionale” della mente umana.
Da questo punto di vista anche un abaco è un dispositivo di IA, come poi lo è stata la calcolatrice o il computer. L’IA nella sua versione virtuale contemporanea, rientra in questo campo di strumenti umani, anche se portata a livelli esponenziali di potenza, di calcolo e memoria di dati.
Gli esperti parlano di “Singolarità”, termine mutuato dalla fisica teorica per definire quel superamento dell’intelligenza umana da parte della macchina. Ci siamo vicini o lontani? O forse non accadrà mai?
L’intelligenza della macchina è un’intelligenza di tipo computazionale, capace di accelerare in maniera impressionante le capacità logico-quantitative dell’umano, ma per quanto riguarda gli aspetti legati alla volontà, all’emotività, alla partecipazione intenzionale, all’intuizione, al sovrasensibile, può solo simulare il pensiero umano e forse nemmeno. Detto altrimenti l’IA non potrà mai sviluppare una coscienza, essendo un prodotto umano, la quale non appartiene alla sfera materiale e all’ordine ontologico delle cose materiali, e nemmeno strettamente umane. La coscienza non è creazione umana, figuriamoci se può esserlo una macchina dotata di coscienza. L’uomo “attua” la coscienza, la incarna, la evolve in un certo qual modo, ma non può generarla in laboratorio, come se fosse un prodotto chimico, in quanto essa appartiene a piani superiori della realtà, e l’uomo è solo una parte di questa realtà, non l’unico attore. Ovviamente la coscienza, nel senso integrale, non appartiene neppure agli animali, pur avendo questi ultimi una capacità senziente. Come affermato da molte antiche tradizioni spirituali, ma anche da un Giordano Bruno o un Marsilio Ficino, l’uomo è un microcosmo in rapporto il macrocosmo. Nel buddhismo vi è la “preziosa rinascita umana”, l’unica in grado di portare alla “liberazione”, l’animale no, o meglio deve attendere altre rinascite. In generale l’animale non detiene questa analogia con il macrocosmo. Naturalmente questa non è una gerarchia valoriale, ma solo di tipo metafisico: l’uomo non deve in alcun modo disprezzare alcun essere del cosmo essendo tutti parte di un Tutto. Alcuni si chiederanno “cosa c’entra tutto ciò con l’intelligenza artificiale e il mondo materiale delle macchine?” C’entra, c’entra!
In tal mondo cade qualsiasi diatriba tra amici e nemici dell’IA, tra apocalittici e integrati 2.0.
Gli avvertimenti di molti, come da parte di Stephen Hawking, circa la pericolosità che può assumere l’IA e la cosiddetta “singolarità” - il punto di non ritorno, lo stacco in cui si ha l’avvento di una nuova specie super-intelligente - devono essere presi sul serio, ma non la preoccupazione circa l’eventuale sviluppo di una coscienza, poiché questa, come detto, appartiene ad un’altra natura. L’uomo deve essere attento perché si tratta di una mole gigantesca di dati e di una potenza di calcolo portentosa, ed effettivamente potrebbe accadere di tutto, ma non quello che si pensa generalmente. L’IA può simulare le emozioni, così come l’intelligenza umana - come direbbe il filosofo John Searle -, ma non può esserne cosciente.
Più nello specifico, riguardo alle solite dicotomie pro o contro, l’uomo oggi è già integrato con la macchina, a livello neuronale noi siamo già postumani. Non occorre un collegamento hardware, un cavo, i nostri cervelli dall’enorme proprietà neuroplastica sono già cablati con le reti neurali della macchina, ci rendono già un’interfaccia integrata al pc e allo smartphone. Il vero problema è quanto già Marshall McLuhan sosteneva: se non stiamo attenti le nostre menti saranno prese in gestione dalle grandi agenzie della comunicazione come quelle spaziali fanno con lo spazio siderale. In effetti questa intuizione si è avverata. Da questo punto di vista dobbiamo agire al contrario: invece di fare studi sulla macchina dobbiamo studiare di più la coscienza umana, in tutte le sue sfere e applicazioni. Non è la macchina il nostro focus di approfondimento, ma noi stessi come unico essere conosciuto dotato di coscienza, almeno sul nostro piano sensibile e materiale.
Lo insegnava già Giordano Bruno quando diceva che il pensiero genera la materia e non il contrario, e così secoli di filosofia occidentale e saggezza orientale. Che direbbe Cartesio di questa AI?
Il paradigma cartesiano è già stato sorpassato dai postumanisti. A differenza del transumanesimo, il postumanesimo è una vera e propria filosofia la quale sostiene che bisogna superare l’umanesimo e anche l’umanismo - più di marca cristiana -, ovvero quelle concezioni antropocentriche ed essenzialiste che vedono l’uomo al centro del mondo e dotato di un’essenza fissa e immutabile. Per i postumanisti Cartesio sbaglia in quanto nella divisione tra res cogitans (il soggetto pensante, l’essenza) e res extensa (la materia, la natura, gli animali), ritiene quest’ultima come sottoposta e manipolabile dalla res cogitans. In effetti i postumanisti hanno ragione nell’attaccare questo modello, la scienza moderna crea questa separazione. I postumanisti però peggiorano e aggravano questo erroneo dualismo cartesiano, vedendo la sola materia, in un “continuo divenire evolutivo” come direbbero (si veda anche la divinizzazione della natura tipica di questi ambienti e del mondo postmoderno occidentale). Invece, in tutte le tradizioni premoderne, realtà materiale e spirituale non sono separate ma integrate nell’essere. Se si ammette una visione come quella postumanista è chiaro che la conseguenza di tali assunti è che un computer interagendo con l’umano possa prima o poi diventare umano.
Insomma, tanto clamore ma in un certo senso questa “IA forte” (cioè pensante come un umano) è una grande truffa, una mega bolla di sapone mediatico, e anche un equivoco materialista.
Sì, come l’idea che si è sedimentata nella narrazione occidentale che la mente possa essere solo o innanzitutto materiale, mentre invece è immateriale e si serve del cervello per incarnarsi nella dimensione materiale. Solo l’essere umano ha quel software immateriale che è la coscienza. Occorrerebbe mettere in discussione tutto il paradigma materialista e darwinista, la fake news numero uno della storia moderna, perché è l’invisibile che informa e determina il visibile. Quindi non la materia in evoluzione (la famosa “scimmia”), ma la coscienza, o meglio lo spirito, che sviluppa il suo cammino storico attraverso la materia.
Secondo i postumanisti il rapporto tra natura e artificio, e quindi tra uomo e macchina, non è di tipo dicotomico, ma è sempre stato integrato e in continua evoluzione. Questo è vero, ma bisogna tener conto del fattore decisivo che è la coscienza, immateriale, come dimostrato da alcuni studi sugli stati di premorte: la coscienza è comunque presente, sebbene il corpo si trovi in questo stato, ed è in grado di ricordare tutto alla perfezione se opportunamente interrogata. Il corpo è sottoposto alla coscienza e non il contrario, quindi anche se dovessimo assistere ad un’evoluzione dell’IA, la coscienza non sarà mai appannaggio delle sue facoltà, ma al massimo sempre di un uomo integrato con essa.