Beni immobili, terreni, conti correnti e dite posti sotto sequestro durante una importante operazione condotta dalla Questura di Reggio Emilia con il contributo della Guardia di finanza.
Ricostruiti 22 anni di attività lavorativa di un personaggio fortemente connesso alla ‘ndrngheta emiliana e già coinvolto nell’indagine “Aemilia”.
La Cassazione con il rito abbreviato prima (24 ottobre) e il primo grado del processo Aemilia dopo (31 ottobre), hanno sentenziato una certezza: la mafia in Emilia e in particolare a Reggio Emilia è stata ed è una realtà radicata e inconfutabile.
E non si tratta di una ramificazione periferica, di qualcosa già esistente altrove, ma una cosca autonoma di 'ndrangheta con a capo quel Nicolino Grande Aracri che un Sindaco reggiano, a suo tempo, non seppe far di "meglio" che definirlo "una persona gentile".
Bisogna partire da questo retroterra politico/culturale e da queste sentenze "storiche" per riflettere a fondo sugli errori commessi, perché la 'ndrangheta a Reggio Emilia non è stata affatto sconfitta definitivamente: le sentenze hanno sancito la sua esistenza, la sua pervasione e la sua profonda relazione con il nostro territorio.
Le affermazioni del Procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato, dopo la sentenza sono esplicite: "I processi e le condanne non interrompono eventi criminosi di questo tipo. Faremo nuove indagini a partire dalle parole dei pentiti che hanno aperto altri filoni d'inchiesta"; così come sono esplicite le parole del Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri: "Aemilia è storia. Ora si deve scavare il rapporto con la politica...In Emilia la 'ndrangheta è radicata da almeno 40 anni. La colpa e di chi non ha voluto vederla..."
Nonostante alcuni personaggi politici si siano affrettati a dichiarare che da queste sentenze la politica locale ne esce completamente indenne, è fuori dubbio che tutta la nostra comunità debba fare un serio esame di coscienza sulle responsabilità dirette o indirette della politica, degli amministratori pubblici, delle realtà produttive e di tanti privati cittadini nel processo di insediamento e radicamento mafioso, soprattutto per non ricadere negli stessi meccanismi perversi che l'hanno fatta proliferare.
Quando la politica, anche solo una piccola parte di essa, non ha come priorità il bene comune della collettività ma pensa soprattutto alla conservazione del potere e ai propri interessi personali, finisce inevitabilmente per spianare la strada a quelle pericolose influenze che hanno purtroppo ammorbato le nostre comunità e il nostro sistema economico.
Lo stesso discorso vale per l'apparato tecnico al servizio della pubblica amministrazione, come è dimostrato dalla condanna comminata al dirigente comunale di Finale Emilia.
Un altro dato - dolorosamente sconfortante - che esce dalla sentenza del 31 ottobre, è stato il comportamento, al limite del ridicolo, di almeno una cinquantina di persone chiamate a testimoniare durante il processo Aemilia. Per questi la Corte ha inviato gli atti alla Procura per falsa o reticente testimonianza. Intimoriti, minacciati o collusi, qui a Reggio Emilia.
Maurizio Vergallo
capogruppo in Consiglio Comunale e nell'Unione dei Comuni della Val d'Enza
per la lista civica "Bibbiano Bene Comune"
In attesa del responso della Camera di Consiglio, dopo l'interminabile sequenza di udienze del rito ordinario celebrato a Reggio Emilia (195 udienze), nel frattempo, la Corte di Cassazione, per gli imputati che avevano optato per il rito abbreviato, ha confermato 40 condanne, ridotta la pena a due imputati e per altri 4 ha sentenziato che ci sarà da rifare il processo d'appello.
Per l'ex consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, quindi per Michele Colacino, Francesco Frontera e Francesco Lamanna si dovrà celebrare un nuovo processo d'appello.
L'esponente politico reggiano, avvocato Giuseppe Pagliani, era stato assolto in primo grado ma condannato in appello, attraverso il proprio profilo Facebook ha così commentato:
"La Corte di Cassazione ha annullato ieri notte la sentenza strampalata ed ingiusta di condanna pronunciata nei miei confronti nel settembre dello scorso anno, ora si rifarà il processo in Corte di Appello a Bologna, grazie al cielo si riparte da due pronunce di completa assoluzione di Tribunale del Riesame e del giudice di Primo Grado di Bologna, continua un supplizio inaudito e folle, l'innocenza totale ed ormai palese non dovrebbe permettere a nessuno di vivere una gogna giudiziaria di questo genere. Ringrazio però di vero cuore la mia famiglia ed i tanti amici, colleghi, conoscenti che mi hanno sostenuto in questa difficile e lunga battaglia. Io non ho mai mollato un solo istante e di certo non mollerò adesso, l'estraneità alle accuse verrà ribadita un'altra volta in Corte di Appello. Io non mollo e non mi piego alle ingiustizie, non l'ho mai fatto e mai lo farò, pertanto con determinazione assoluta continuo a combattere sino alla sentenza di assoluzione finale che ritengo prossima."
(avvocato Giuseppe Pagliani)
Ammonta ad almeno 10 milioni di euro la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali avanzata dagli avvocati Salvatore Tesoriero e Federico Fischer per conto della Provincia di Reggio Emilia e dei Comuni di Bibbiano, Brescello, Gualtieri, Montecchio e Reggiolo, costituisi parte civile al processo Aemilia che – nell'aula bunker appositamente allestita nel cortile del Palazzo di giustizia di Reggio – si sta avviando a conclusione.
Nel dettaglio, per i soli capi di imputazione di associazione per delinquere di stampo mafioso, è stata chiesta la condanna di 13 imputati al pagamento, in solido tra di loro, di 500.000 euro sia alla Provincia sia al Comune di Brescello e di 300.000 euro per ognuno dei Comuni di Bibbiano, Gualtieri, Montecchio e Reggiolo. In più, per ognuno dei delitti del corposo capo d'imputazione per i quali è stata pure prevista l'aggravante mafiosa (poco più di un centinaio, tra estorsioni, usure, danneggiamenti, frodi fiscali, reati finanziari e armi) sono stati richiesti risarcimenti tra i 25.000 e i 100.000 euro a seconda della gravità.
"Le richieste avanzate in aula evidenziano l'entità dell'ingente danno che è stato arrecato al nostro territorio ed in particolare ai valori e alla dignità di una comunità che è stata profondamente oltraggiata da chi ha cercato di radicare nella nostra provincia metodi e azioni che non ci appartengono", commenta il presidente della Provincia di Reggio Emilia Giammaria Manghi definendo pertanto "doverosa la scelta, non scontata, che gli enti locali reggiani ed emiliani hanno compiuto decidendo di costituirsi parte civile in un procedimento così complesso e delicato". "Se le nostre richieste, nella misura che il Tribunale riterrà opportuna, verranno accolte, anche queste somme saranno destinate a sostenere e implementare le tante iniziative per la legalità che da tempo stiamo realizzando e che continueremo a promuovere, ribadendo il nostro impegno comune nel tenere alta la guardia contro ogni tentativo di infiltrazione mafiosa nel nostro territorio", aggiunge il presidente Manghi ricordando come "già nel procedimento con rito abbreviato, sia stato riconosciuto, anche in appello, alla Provincia e ai Comuni di Bibbiano, Brescello, Gualtieri, Montecchio e Reggiolo un risarcimento, sotto il profilo giuridico e morale, di 850.000 euro per i danni subiti dalle comunità che rappresentiamo".
Nel maxiprocesso per le infiltrazioni mafiose in Emilia, chieste le condanne per tutta la famiglia Bianchini, inclusi i figli minori che hanno fatto da prestanome, e per l'ex patron del Modena Volley.
23 maggio 2018
Centinaia di udienze, 148 persone imputate e più di mille anni di carcere richiesti. Sono questi i numeri del maxiprocesso Aemilia sulle infiltrazioni e relazioni di stampo mafioso tra Modena e Reggio Emilia.
Ieri sera, nell'aula bunker del Tribunale di Reggio Emilia, al termine di tre lunghe udienze, in cui sono stati riassunti anni di indagini, intercettazioni e prove, i PM Marco Mescolini e Beatrice Ronchi della DDA di Bologna hanno formulato le richieste di condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso, specificando le richieste di condanna a carico di ciascun imputato. Operazione per la quale hanno impiegato più di mezz'ora.
Per quanto riguarda il "filone" modenese del processo Aemilia, sono stati chiesti diciassette anni e 10 mesi, con tanto di pene accessorie, tra cui due anni di casa di lavoro, per Gino Gibertini, imprenditore modenese del ramo petroli ex presidente del Modena Volley. Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, Gibertini si sarebbe rivolto alla 'Ndrangheta per "convincere" un debitore a pagare.
I PM Mescolini e Ronchi hanno poi chiesto pene per tutta la famiglia Bianchini, imprenditori di Rivara di San Felice accusati di aver favorito e sostenuto l'infiltrazione e il radicamento delle cosche mafiose nelle zone terremotate, approfittando della ricostruzione, traendone reciproci vantaggi. Con l'aggravante di aver distribuito e sepolto amianto nei cantieri della ricostruzione post sisma. Sono quindi stati chiesti quindici anni e sei mesi con pene accessorie e confische, per entrambi i coniugi Bianchini, Augusto e la moglie Bruna Braga. Dodici anni e dieci mesi per il figlio maggiorenne Alessandro, cinque anni e sei mesi per la figlia Alessandra e sei anni per il figlio Nicola, questi ultimi minorenni, ma accusati di avere fatto da prestanome ai genitori per aggirare i blocchi imposti dalla white list alla Bianchini Costruzioni di San Felice.
Ora tocca alla difesa e alle parti civili, tra cui i Comuni modenese dell'Area Nord, sindacati, associazioni e imprenditori.
Il 38 enne sarebbe subentrato ai fratelli in qualità di reggente della cosca Grande Aracri di Cutro. Al suo attivo una carriera ventennale. Ha militato nell'organizzazione criminale fin da adolescente, senza tuttavia lasciare tracce del suo coinvolgimento diretto. Attesa la decisione del GIP per la convalida del fermo.
Modena, 23 gennaio 2018
Un altro importante capitolo dell'Operazione Aemilia è stato scritto. Questa mattina gli uomini del Comando Provinciale dei Carabinieri di Modena hanno eseguito il provvedimento di fermo di indiziato di delitto nei confronti di Carmine Sarcone, 38 anni. Il provvedimento è stato emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Bologna che ha indagato Sarcone per associazione di tipo mafioso.
L'uomo, nato in Calabria, ma da tempo trapiantato a Bibbiano di Reggio Emilia, sarebbe infatti il nuovo reggente della 'Ndrangheta emiliana e sarebbe subentrato ai vertici della cosca Grande Aracri di Cutro (KR) in seguito all'arresto e alla detenzione in carcere dei fratelli maggiori, Nicolino e Gianluigi Sarcone, anch'essi figure di spicco all'interno della malavita organizzata.
Le indagini che hanno portato al fermo del più giovane dei fratelli Sarcone, dirette dal Procuratore Distrettuale Giuseppe Amato e dai Sostituti Procuratori Marco Mescolini e Beatrice Ronchi hanno preso le mosse da alcune dichiarazione di numerosi collaboratori di giustizia, che hanno dato ulteriore riscontro a precedenti attività di indagine, volte proprio a fare emergere il ruolo del fermato all'interno della cosca.
È stata infatti provata la partecipazione di Sarcone a riunioni di esponenti della cosca, in occasione delle quali venivano presi decisioni fondamentali sulle attività criminose, per il mantenimento e per mediare sui contrasti interni. Sarcone è stato inoltre accusato di gestire direttamente i proventi illeciti della consorteria, che operava tra le province di Modena e Reggio Emilia. Inoltre, l'attività investigativa ha raccolto elementi indiziari a carico di Carmine Sarcone, che durante alcune udienze del processo Aemilia, attualmente in corso presso il Tribunale di Reggio Emilia, avrebbe tenuto condotte mirate alle minacce nei confronti di alcuni testimoni.
Nel corso delle indagini, la Procura ha anche ricostruito la "carriera" criminale di Sarcone, già soggetto di provvedimenti per reati quali la detenzione abusiva di armi e rapina. La militanza nelle fila della cosca risalirebbe addirittura alla sua adolescenza. Anche se il suo coinvolgimento non è mai stato provato con certezza, ci sarebbero tracce del suo operato nell'inchiesta del 1998 sull'attentato al Bar Pendolino, in quella del 2003 denominata "Emilpiovra", in quella del 2011 chiamata "Scacco Matto" e, infine, nell'inchiesta "Valpolicella" dello scorso anno condotta dalla DDA del Veneto.
Gli ultimi vent'anni di attività criminale di Carmine Sarcone sono stati riassunti in 300 pagine di verbale, consegnate nelle mani del GIP che nelle prossime ore dovrà decidere sulla convalida del fermo. È la prima volta, infatti, che la DDA dell'Emilia Romagna decide di fermare direttamente un sospettato di associazione mafiosa.
Oggi sul banco dei testimoni il presidente delle Provincia e i sindaci dei Comuni che si sono costituiti parte civile. Manghi: "Passaggio importante a tutela delle nostre comunità".
Reggio Emilia, 18 aprile 2017
Oggi al processo Aemilia, sarà il giorno delle istituzioni. Ad uno ad uno, a partire dall'assessore regionale alle Politiche per la legalità Massimo Mezzetti e dal presidente della Provincia di Reggio Emilia, sul banco dei testimoni nell'aula-bunker allestita nel cortile del Palazzo di giustizia sfileranno i rappresentanti degli enti locali che si sono costituti parte civile. Oltre alla Regione ed al Comune di Reggio, altri cinque Comuni che si sono uniti nella causa alla Provincia e che sono rappresentati dall'avvocato Salvatore Tesoriero del Foro di Bologna: Bibbiano, Brescello, Gualtieri, Montecchio e Reggiolo, che saranno rappresentati dai rispettivi sindaci (dal commissario prefettizio nel caso di Brescello). E tanti altri primi cittadini saranno tra il pubblico per rappresentare anche fisicamente il fronte comune che vede tutte le istituzioni impegnate nel contrasto ad ogni tentativo di infiltrazione da parte della criminalità organizzata.
La costituzione di parte civile al maxiprocesso contro la 'ndrangheta vede Provincia e Comuni reggiani in veste di "persone offese e danneggiate rispetto a tutti i capi di imputazione che hanno ad oggetto i delitti commessi nel territorio del rispettivi enti o la cui manifestazione abbia comunque arrecato un danno all'ente stesso".
"La nostra testimonianza diretta dinnanzi ai giudici – spiega il presidente della Provincia di Reggio Emilia Giammaria Manghi – servirà per sostenere dinnanzi al Tribunale e dunque alla nostra comunità quali sono le ragioni per cui le amministrazioni locali reggiane hanno intentata una causa che ha ben pochi precedenti in Italia e per ribadire l'impegno delle istituzioni nel rifiutare e contrastare qualsivoglia forma di prevaricazione e di infiltrazione da parte della criminalità organizzata".
La testimonianza di sindaci e presidente della Provincia è legata alla costituzione di parte civile: "Dovremo illustrare alla Corte per quali motivi le nostre comunità si ritengono danneggiate dalle condotte criminose oggetto del processo, ma al tempo stesso ribadire la nostra volontà di ripartire e riaffermare i principi di legalità e di democrazia che hanno sempre contraddistinto questo territorio".
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Presidente di Provincia e sindaci in aula per testimoniare la vicinanza e il senso di gratitudine della comunità reggiana "a una servitrice dello Stato che ha aperto una stagione importante".
Reggio Emilia, 5 aprile 2017
Prima, al momento del suo ingresso in aula, si sono alzati tutti in piedi. Poi, alla prima pausa dell'udienza, hanno voluto abbracciarla e stringerle la mano per farle sentire anche "fisicamente" la vicinanza e il senso di gratitudine della comunità reggiana per il prezioso e coraggioso lavoro svolto. Così il presidente della Provincia di Reggio Emilia Giammaria Manghi e tanti sindaci o assessori reggiani – tutti rigorosamente con fascia blu o tricolore - hanno voluto testimoniare la propria solidarietà all'ex prefetto Antonella De Miro, chiamata ieri a deporre sul banco dei testimoni al processo Aemilia.
"Abbiamo voluto riaffermare l'apprezzamento e la vicinanza delle istituzioni reggiane a questa servitrice dello Stato che ha aperto una stagione importante per la nostra comunità, come il processo Aemilia sta dimostrando - ha dichiarato il presidente Manghi – Come lei stessa ha dichiarato in aula, nonostante i tanti momenti difficili ed anche drammatici l'ex prefetto di questa terra ha un bel ricordo e questa terra la accoglierà sempre con grande stima ed affetto"
La Provincia di Reggio Emilia, come noto, si è costituita parte civile al processo Aemilia insieme ai Comuni di Bibbiano, Brescello, Gualtieri, Montecchio e Reggiolo come "persone offese e danneggiate rispetto a tutti i capi di imputazione che hanno ad oggetto i delitti commessi nel territorio del rispettivi enti o la cui manifestazione abbia comunque arrecato un danno all'ente stesso".
Anche ieri il presidente Manghi, con i sindaci o loro rappresentanti, era in aula al fianco dell'avvocato Salvatore Tesoriero del Foro di Bologna. Nelle prossime settimane lo stesso presidente Manghi sarà chiamato a deporre "per spiegare dinnanzi al Tribunale e dunque alla comunità quali sono le ragioni per cui le amministrazioni locali reggiane, insieme alla Regione ed allo stesso Comune capoluogo, hanno intentata una causa che non ha precedenti e per ribadire l'impegno delle istituzioni nel rifiutare e contrastare qualsivoglia forma di prevaricazione e di infiltrazione da parte della criminalità organizzata".
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Udienza processo Aemilia, presenti numerosi sindaci dei comuni reggiani. Il presidente della Provincia di Reggio Emilia Giammaria Manghi: "Siamo parte civile e cerchiamo di stare davvero "dentro" al processo: la prevista deposizione dell'ex prefetto motivo in più per essere presenti e riaffermare il nostro apprezzamento al suo lavoro."
Reggio Emilia, 3 febbraio 2017
Anche il presidente della Provincia di Reggio Emilia Giammaria Manghi ha presenziato, in pratica per l'intera giornata, all'udienza di ieri del processo Aemilia, apertosi lo scorso marzo nell'aula-bunker appositamente allestita nel cortile del Palazzo di giustizia.
"Come noto la Provincia di Reggio Emilia si è costituita parte civile insieme ai Comuni di Bibbiano, Brescello, Gualtieri, Montecchio e Reggiolo: la nostra non è stata un'iniziativa formale, ma è una vera e propria assunzione di responsabilità in nome e per conto di tutti i comuni del territorio, pertanto questo significa cercare, nei limiti dei nostri impegni istituzionali, di stare davvero "dentro" al processo, partecipando il più possibile alle udienze al fianco dell'avvocato Salvatore Tesoriero del Foro di Bologna che ci rappresenta – dichiara il presidente Manghi – Ovviamente, la prevista deposizione dell'ex prefetto di Reggio Emilia Antonella De Miro rappresentava un motivo in più per essere presenti oggi in aula e riaffermare l'apprezzamento e la vicinanza delle istituzioni reggiane a questa servitrice dello Stato che ha aperto una stagione importante per la nostra comunità, come proprio questo processo dimostra".
Non a caso, insieme al presidente Manghi, nell'aula-bunker allestita nel cortile del Palazzo di giustizia di Reggio Emilia erano presenti non solo i sindaci di Bibbiano e Montecchio, Andrea Carletti e Paolo Colli, parte civile insieme alla Provincia, ma anche i sindaci Enrico Bini (Castelnovo Monti), Nico Giberti (Albinea) ed Alessio Mammi (Scandiano).
La Provincia e Comuni di Bibbiano, Brescello, Gualtieri, Montecchio e Reggiolo si sono costituiti parte civile al processo Aemilia come "persone offese e danneggiate rispetto a tutti i capi di imputazione che hanno ad oggetto i delitti commessi nel territorio del rispettivi enti o la cui manifestazione abbia comunque arrecato un danno all'ente stesso".
Avanzata, e accolta, all'udienza preliminare per tutti i procedimenti relativi ai reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e di concorso esterno, è stata poi estesa anche ai delitti e ai reati di scopo. "Al di là del puntare a ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti dai rispettivi enti, la nostra iniziativa, che si affianca a quella di Comune di Reggio Emilia e Regione Emilia-Romagna, intende ribadire l'impegno delle istituzioni nel rifiutare e contrastare qualsivoglia forma di prevaricazione e di infiltrazione da parte della criminalità organizzata – aggiunge il presidente della Provincia – L'identità delle nostre comunità si fonda su legalità e convivenza e insieme a forze dell'ordine, magistratura e società civile intendiamo continuare con sempre maggiore impegno e tenacia a combattere ed estirpare ogni forma di insediamento mafioso nei nostri territori".
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Il giudice Francesco Maria Caruso respinge l'istanza di alcuni imputati. Il processo continua a porte aperte. Il Presidente della Provincia Manghi alla tappa reggiana del Viaggio legale: "Decisione onora memoria di chi, come Siani, ha dato la vita per libertà d'informazione".
Reggio Emilia, 19 gennaio 2017
Il processo di 'Ndrangheta Aemilia andrà avanti a porte aperte. Questa la decisione presentata oggi dalla Corte che ha deciso di non escludere dall'aula la presenza di giornalisti, associazioni dell'antimafia sociale o altri che vogliano prendervi parte. La richiesta era stata fatta lunedì dagli imputati, tramite una lettera letta in aula da Sergio Bolognino, considerato una figura dell'organizzazione criminale e fratello di Michele Bolognino.
"Come istituzioni abbiamo fortemente voluto che il processo Aemilia si svolgesse a Reggio Emilia pertanto non possiamo che accogliere con grande favore la decisione annunciata poco fa dal presidente del collegio giudicante Francesco Maria Caruso, che ha respinto l'istanza con la quale alcuni imputati chiedevano di chiudere le porte del dibattimento alla comunità e all'informazione: anche questo è un modo, estremamente concreto, per onorare la memoria di chi, come Giancarlo Siani, ha dato vita per la libertà di sapere cosa accade intorno a noi". Lo ha detto questa mattina il presidente della Provincia di Reggio Emilia, Giammaria Manghi, durante la tappa reggiana del Viaggio legale, il percorso di cittadinanza e contrasto alle mafie lungo la via Emilia promosso, tra gli altri, da Cgil, Caracò e IoLotto, per sensibilizzare le scuole e l'opinione pubblica sul rischio di infiltrazioni mafiose.
Parlando accanto alla Citroën Mehari verde del giovane giornalista napoletano ucciso dalla camorra e di fronte agli studenti delle superiori al PalaFanticini, Manghi ha ricordato questa "figura straordinaria di cronista giusto e coraggioso", sottolineando come "proprio la sua auto, sulla quale venne ucciso, continui a darci il segno della sua presenza, offrendoci un'occasione di riflessione e chiamandoci tutti a fare la nostra parte".
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