Di Andrea Caldart (Quotidianoweb.it) Cagliari, 29 novembre 2024 - L’annuncio del fallimento di Northvolt, la più grande azienda europea produttrice di batterie per veicoli elettrici, segna una drammatica battuta d’arresto per le ambizioni del vecchio continente.
Un colpo durissimo che rischia di scardinare i progetti di autonomia strategica dell’Europa, aggravando una crisi che si sta già materializzando con ripercussioni a cascata su tutta la filiera.
Northvolt non era una semplice azienda. Era un simbolo, un progetto di punta per svincolare l’Europa dalla dipendenza dai colossi asiatici, dominatori incontrastati del mercato delle batterie.
L’obiettivo era chiaro: costruire un’industria locale in grado di sostenere la transizione verso l’elettrico, garantendo al contempo sostenibilità economica e ambientale.
Eppure, la realtà si è dimostrata ben più dura delle aspirazioni. I costi esorbitanti, il crollo della domanda di veicoli elettrici e le crescenti difficoltà logistiche e produttive hanno portato Northvolt a dichiarare bancarotta. È un colpo che mina non solo il futuro dell’industria delle batterie, ma anche la credibilità di un intero sistema economico e politico costruito attorno alle ossessioni green.
La crisi di Northvolt non è un caso isolato. Sempre più case automobilistiche stanno lottando per rendere sostenibile la produzione di veicoli elettrici. La combinazione di costi di produzione elevati, difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime e una domanda che fatica a decollare ha creato un cocktail letale per molte aziende del settore.
Il tanto celebrato “boom” dell’elettrico sembra oggi più un miraggio che una realtà. Nonostante i massicci incentivi governativi e le politiche che penalizzano i veicoli a combustione, i consumatori restano scettici. Problemi legati all’autonomia, alla scarsità delle infrastrutture di ricarica e ai costi proibitivi stanno dissuadendo molti dall’abbracciare questa tecnologia.
Il crollo di Northvolt rappresenta solo la punta dell’iceberg. A cascata, ci saranno gravi ripercussioni su tutto l’ecosistema industriale. Dalle aziende fornitrici di componenti ai progetti di ricerca e sviluppo, fino alle startup che scommettevano su un futuro elettrico, il disastro è ormai irreversibile.
Quello che preoccupa alla politica progressista europea di questo fallimento, è di compromettere gli obiettivi climatici e industriali tanto evangelizzati.
Il fallimento delle auto elettriche finalmente costringe a porci domande scomode. L’ossessione per una transizione “verde” ad ogni costo ci ha forse accecati rispetto alle reali necessità e possibilità del mercato? La spinta verso l’elettrico si è rivelata troppo precipitosa, con un approccio che ha ignorato le difficoltà tecniche, economiche e sociali.
È tempo di un ripensamento. La mobilità del futuro non può basarsi esclusivamente su un’unica soluzione tecnologica, tanto più se questa si dimostra insostenibile sotto diversi aspetti. Il flop delle auto elettriche deve servire da lezione: le politiche ambientali devono essere pragmatiche, realistiche e capaci di adattarsi alle esigenze reali della società non delle lobby.
Il fallimento di Northvolt è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. L’Europa ha scommesso tutto su un’unica carta, ma il sogno di un mondo alimentato da auto elettriche si sta sgretolando sotto il peso delle sue contraddizioni. Serve un nuovo approccio, capace di combinare innovazione, sostenibilità e fattibilità economica.
Forse, la vera transizione non è quella che ci spinge verso l’elettrico a tutti i costi, ma quella che ci invita a ripensare l’intero sistema con uno sguardo più equilibrato e meno ideologico.
In poche parole, il mito dell’auto green, condannato dal suo stesso mito.