Di Francesca Dallatana Parma, 1 dicembre 2024 -
Lei, prima di tutto. Mosca: prima fra tutte.
“Mosca è una città accogliente e crudele. Variopinta, molto verde. E’ luogo d’emozione. Diverse. Contrastanti.” E’ lo shooting fotografico scattato da Elena Anichtchik, moscovita e italiana d’adozione, oggi residente a Colorno. Una storia di lavoratrice migrante che riassume anche uno dei capitoli dell’economia italiana: l’esportazione del know how e delle tecnologie europee e l’indotto dei lavoratori trasfertisti. La peculiarità della storia di lavoro di Elena Anichthik si manifesta a tratti. Scivola fuori dalle fotografie scattate senza sosta. Solo una sollecitazione blanda per dare il via al fuoco di fila degli scatti.
“Sono fiera di essere russa. Conservare e valorizzare e tramettere la cultura del mio grande e bellissimo Paese è una ricchezza”, scandisce la lavoratrice in un italiano ricercato, dalla sintassi perfetta, senza accenti e cadenze. “Mio nonno paterno era comandante dell’Armata Rossa, un carrista al tempo dell’Unione sovietica. Un altro Paese, un’altra Storia.” Ancora a ritroso, alla ricerca di immagini nell’archivio dell’orgoglio personale e nazionale.
La Russia si assesta in fondo allo stomaco; la capitale è caparbia. Mosca è custodita nella memoria dei suoi occhi. Protetta dal ricordo.
“E’ una città che ti abbraccia. E’ dinamica, polivalente.” E qui sta l’essenza della crudeltà, espressione del cambiamento a velocità rapida. Una trasformazione che non chiede il permesso. Che si impone senza pietà a chi nella terza Roma ritorna dopo un’assenza. Non importa di quale durata.
Mosca è l’odore di erba bagnata, la pioggia sfrontata che romba fuori dalle grondaie di diametro doppio rispetto a quelle europee. Che trasforma le strade in fiumi d’acqua impetuosa. E’ la nuvola di vapore sprigionata dall’asfalto quando il sole fende il cielo gravido di grigio. Inaspettate: sono le betulle che sfrecciano al cielo in un quartiere di mattoni e cemento.
La velocità di Mosca è un banco di prova costante. Le strade e le piazze fanno sentire precaria e provvisoria la vita di chi si incammina a piedi.
La storia di Elena Anichtchik comincia da qui. Da una città che rimane addosso. Che richiede resilienza e capacità di adattamento.
Camera di Commercio della Federazione russa.
Downtown moscovita. Storico edificio della Borsa russa. E’ la sede della Camera di Commercio della Federazione russa.
Elena Anichtchik, laureata in Economia e Commercio presso l’Università di Mosca, ha lavorato presso la Camera di Commercio della Federazione russa dal conseguimento della laurea, dal 1992 al 1997. E’ il primo posto di lavoro. Ed è qui che incontra un lavoratore migrante italiano, un professionista della manutenzione e del montaggio industriale, diventato suo compagno di vita e di migrazione. “Ho sentito la voce, prima di vedere il viso. Parlava in italiano con i suoi colleghi. Eravamo nella mensa della Camera di Commercio. Lavorava per un’azienda italiana impegnata nella ricostruzione di edifici storici. Il gruppo di italiani incontrati in mensa dovevano progettare e ricostruire l’impianto elettrico generale. Lui era una voce calda e affascinante. Ed è cominciato uno scambio di pizzini”, ricorda e sorride Elena Anichtich.
“Alla Camera di Commercio il lavoro era molto competitivo. Avevo sostenuto anche altri colloqui, presso aziende multinazionali come la Coca-Cola. Ma l’argomento della mia tesi di laurea era in linea con un progetto allora attuale per la Camera di Commercio della Federazione russa. E per questo motivo sono stata assunta.” Alla laurea in Economia e Commercio, l’intervistata aggiunge un corso di lingue straniere seguito presso il Ministero degli Esteri. E’ un approfondimento della qualifica professionale. Quasi un anticipo ideale del futuro di lavoratrice migrante: “la prima migrazione professionale mi ha portato in India nel 1996, uno stage di due mesi per la Camera di Commercio.”
Mosca è laboratorio di melting pot. Strade, stazioni ferroviarie, la metropolitana più artistica del mondo: inedito setting del lavoro migrante. Il fenomeno attraversa tutto il tempo dell’Unione sovietica. Arriva fino a Gorbachev e lo supera. Putin compreso. La storia dell’impresa italiana e il suo radicamento in Russia ne è testimonianza. Gli italiani sono andati e tornati da e per l’Unione sovietica e in Russia ora.
Un medaglione del fenomeno è rappresentato dalla storia personale dell’intervistata.
L’incontro alla mensa della Camera di Commercio della Federazione russa è il motivo personale che condiziona la sua strategia di vita e la carriera. La relazione con l’Italia e con il suo futuro di migrante comincia con il primo pizzino scambiato con il trasfertista italiano.
Il nomadismo professionale di lui condiziona la vita di lei. La valigia culturale e linguistica di lei invita lui sull’otto volante della lingua e della cultura russa.
Un viaggio di emozione fino alla formalizzazione della relazione. “Nel 1997, anno del nostro matrimonio, ci siamo chiesti che cosa fare nel nostro futuro. Il mio compagno aveva due possibilità di lavoro: una in Arabia Saudita e una in Nigeria. Abbiamo scelto Port Harcourt, Nigeria.”
Italiani e russi in Nigeria.
Qualche mese in Italia, per la preparazione dei documenti che le consentano viaggio e permanenza in Nigeria. Poi, le coste africane. Continua a studiare e a praticare la lingua italiana in Nigeria con due donne italiane, una calabrese e una pugliese. Intanto nella città nigeriana, la lavoratrice di origini russe inizia una collaborazione come volontaria presso la scuola di una grande azienda italiana. Si dedica allo studio della lingua italiana e lavora.
“Siamo rimasti in Nigeria fino al 1999, anno del putsch al quale segue un periodo di anarchia che porta con sé risvolti di insicurezza. L’impianto al quale lavorava il mio compagno si trovava sul territorio conteso tra due tribù nigeriane. Anche per questi motivi e per il periodo di transizione del Paese abbiamo deciso di ritornare in Europa. Il Paese non era più sicuro.”
La vita africana per una russa abituata ai cieli del nord est come è stata? “Clima tropicale. Un muro di acqua che scende. Se sai di viverci a tempo determinato è affascinante. Se è per sempre, la vita è impegnativa.”
E come è stata la relazione fra voi lavoratori migranti e la popolazione locale? “Molto dipende dall’apertura mentale. Ho frequentato persone russe coniugate con nigeriani, conosciuti durante il periodo degli studi universitari in Russia. Hanno scelto di vivere in Nigeria. E conducono una vita di relazione e di lavoro interessante e piacevole. Io mi sono innamorata del popolo nigeriano. Sono persone generose. Danno il cuore. Dalla Nigeria ce ne siamo andati per motivi di sicurezza, anticipando così la scadenza del contratto di lavoro del mio compagno.”
Duemila, allunaggio.
Le decisioni si prendono a Mosca. “Al passaggio del secolo e del millennio, tra il 1999 e il 2000 siamo ritornati in Europa. A Mosca – continua - abbiamo fatto una riflessione. Abbiamo deciso dove gettare l’ancora. Il mio compagno continuava ad avere proposte di lavoro. Fra queste, una per il Kazakistan. Abbiamo deciso di trasferirci in Italia. Eravamo due migranti. Il mio compagno è sardo. Abbiamo vissuto per un certo periodo in Sardegna. A Sassari ho conosciuto due docenti russe dell’Università con le quali ho collaborato e con le quali abbiamo mantenuto un rapporto di amicizia. Ma sull’isola non c’erano possibilità concrete di lavoro. E Parma, allora, era un Klondike per il lavoro. L’Emilia Romagna ci ha accolto molto bene.”
“Ci siamo stabiliti a Sissa, inizialmente. Ero una delle poche migranti, allora. Il mio italiano era in fase di costruzione. Da Mosca a Sissa: avevamo l’impressione di essere sbarcati sulla luna. Un altro mondo”, ricorda.
Elena Anichtchik vuole lavorare subito. Cerca e trova. Accetta un lavoro in fabbrica come operaia addetta al confezionamento. “La fabbrica e il lavoro del confezionamento è stata una doccia fredda per me. Tra le corsie una persona controllava il lavoro con un cane al guinzaglio. Non si poteva ridere, non potevamo guardarci in faccia. Ci tagliavamo le mani con la carta. Esperienza pessima. Ero uscita da una bolla di protezione. Me ne sono andata. Non era accettabile. Ho continuato a bussare ad altre porte.”
E riparte dalle risorse culturali. “Bellissimo ricordo di InterConsul, dove sono stata accolta molto bene. Una collaborazione interessante.”
E rilancia con un aggiornamento della sua formazione. Perché quella russa era tarata sulla diversa impostazione della così detta economia di comando, che parte dalla pianificazione della produzione. Un’impostazione che condiziona anche il tracciamento amministrativo della vita aziendale. Aggiornamento della formazione e contatti con il territorio permettono alla lavoratrice un nuovo inizio professionale.
La competenza linguistica, la resilienza, la curiosità culturale: comincia una serie di esperienze professionali di lunga e interessante durata: Koppel poi Cft come assistente alle vendite. Oggi la lavoratrice è impegnata presso Omnia Technologies. Mansioni di alta qualifica professionale che richiedono competenza linguistica e capacità di negoziazione.
Mobilità culturale.
Migrazione a interessi composti. La si potrebbe definire così con una definizione nota agli amministrativi la migrazione della lavoratrice Elena Anichtchik e del compagno.
Una migrazione sull’altra. Amplifica oppure attutisce le difficoltà? Che cosa aiuta l’inclusione e l’integrazione? E che cosa la ostacola? “Mi sono interrogata molto. La barriera più forte è la presunzione di conoscere tutto e non accettare che qualcun altro possa sapere fare qualche cosa in più.”
Insomma, sottovalutare l’altro? “Sminuire. Questo verbo rende l’idea. E dominare l’altro. Queste sono le barriere del dialogo fra le culture. I micro-mondi ermetici rappresentano la sintesi del provincialismo e sono gli ostacoli di uno sviluppo sociale rispettoso di una società ispirata ad un reale melting pot culturale.” Cioè il mood che ha suggerito la migrazione all’intervistata e al suo compagno di vita.
Un consiglio letterario per conoscere Mosca e la Russia per i lettori della Gazzetta dell’Emilia? “Sua Maestà Alexander Sergheevich Puskin. Per sempre. Ma i testi poetici si godono solo leggendoli in lingua originale. Il ritmo della lingua, la dolcezza e la ruvidità non si possono tradurre. Impossibile coglierle. Leggere le poesie tradotte è come farsi la doccia con l’impermeabile.”
Un personaggio? “Pietro il Grande. Suggerisco il ritratto biografico firmato da Robert K. Massie.” Lo stile russo impone ad Elena Anichtchik una suggestione ulteriore: “La difesa di Luzin” di Vladimir Nabokov.” Tra l’astrazione del gioco degli scacchi e il pathos della vita, la storia di un conflitto tra genio e normalità.
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(Link rubrica: La Biblioteca del lavoro e lavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374
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