Domenica, 04 Agosto 2024 11:03

Lavoro migrante: Inga Iamandii In evidenza

Scritto da Francesca Dallatana
Inga Iamandii Inga Iamandii

 Riscatto d'Europa. New beginning.

di Francesca Dallatana. Parma, 04 Agosto 2024

Curiosità intellettuale tra adrenalina e necessità. Il viaggio è lungo, dalla Moldavia all’Italia. Via terra. Attraverso uno scorcio d’Europa fino all’Ungheria, a Budapest. Sulla gomma tutto è più facile solo in teoria. Il documento in tasca fa la differenza. E’ la fine dell’Estate del 2002, mese di Settembre. L’autunno è lontano e il caldo tambura forte sui corpi stanchi dei viaggiatori. La grande macchina dei migranti si muove con il carburante del transito pagato migliaia di euro. Allora come oggi.

Inga Iamandii lascia un lavoro certo a Chishinau, Moldavia. Per raggiungere il marito in Italia, ma soprattutto per ricominciare. Insegna Storia al liceo da anni nonostante la giovane età. Dopo la laurea in Storia ed Etnografia ha iniziato subito il lavoro al liceo. Lo studio, la ricerca, il pensiero sono i geni predominanti. E la causa delle lacrime cacciate in gola durante l’attraversamento dell’Europa verso l’Italia, nel 2002.

Il viaggio ha un valore: il suo futuro, quello della sua famiglia e di quella di origine. E ha un costo: duemila e trecento euro. Pagati cash.Tutti lo sanno”, assicura l’insegnante. La tariffa raddoppia solo due anni dopo. Per tariffa si intende: un passaggio di denaro informale, di mano in mano. Con la paura a premere sulle spalle e sul petto quasi fosse una corazza e la spada di Damocle dell’attesa di un pugno sferrato al cuore. Paura dei controlli e della polizia, paura di tutto.

In Italia qualcuno l’aspetta: un docente moldavo prestato all’edilizia, un pezzo della famiglia. Le altre tessere del puzzle sono rimaste oltre confine in attesa di partire. Si incontrano a Padova e raggiungono Reggio Emilia.

Il professore di storia di necessità ha fatto virtù. Si è adattato al mercato del lavoro. “La sua competenza come archeologo è servita a riconoscere e a valutare reperti ritrovati durante lo scavo per le fondazioni di una casa. Per il resto, in Italia ha accettato il cambiamento, un nuovo mestiere. Un’altra vita di lavoro.”, continua l’intervistata.

E così ha fatto lei, Inga Iamandii. Senza dimenticare se stessa e la propria identità di intellettuale.  “L’obiettivo della migrazione lo conoscevamo bene: migliorare la nostra vita. Lavoravo e lavoravo e avevo un potere di acquisto davvero molto basso. Quando mio marito è emigrato e ha raggiunto l’Italia ho aumentato le mie ore di lavoro come insegnante. Lavoravo per dieci, dodici ore al giorno. Nessuna possibilità di fare progetti per il futuro. E neanche prospettive di stabilità economica. Da qui, la decisione di andarcene. Uno alla volta, per poi ritrovarci. Per ricominciare.” La professoressa mette in fila le motivazioni della migrazione in modo lucido e freddo. Non dimentica chi era e chi è nel profondo. “Noi non ci siamo trasferiti per rimanere in Italia. Volevamo superare le difficoltà economiche. Poi ritornare a fare il nostro lavoro. Le cose non sono andate così. Abbiamo lavorato, lavoriamo, mia figlia ha studiato qui. Ci siamo integrati nel tessuto socio-economico”, ci tiene a precisare Inga Iamandii.  Una dopo l’altra, tutte di lungo periodo, le collaborazioni come assistente alla persona. Dopo il primo impegno presso una famiglia, il ritorno nel Paese di origine, dove organizza il ricongiungimento familiare e prepara i documenti per la figlia. “Nel 2004 nel nostro Paese non c’era né Ambasciata né Consolato. Allora sono andata a Bucarest, in Romania. File interminabili di persone in attesa.”: dall’est un flusso interminato di speranza verso l’Italia e altri Paesi dell’Unione europea. Una burocrazia lenta permette al nucleo di ricomporsi in terra italiana solo nel 2006.

Intanto, la professoressa Iamandii mantiene lo status di persona occupata. Periodi lunghi, relazioni stabili ed equilibrate in famiglie che hanno necessità di supporto assistenziale. La lavoratrice lavora in provincia di Reggio Emilia e a Parma capoluogo, dove vive presso una famiglia della quale ricorda in prima battuta la biblioteca immensa. Sgrana gli occhi del ricordo, dall’altra parte del monitor della video intervista. E in un sorriso di entusiasmo dedica parole e pensiero all’esperienza di relazione culturale, umana e di lavoro: “Mi perdevo fra i libri, fra gli scaffali della biblioteca di casa. Mi sedevo nel tempo di pausa, leggevo. Ritornavo a me stessa. La famiglia parmigiana lo aveva capito molto bene. E’ stato molto interessante conoscerli e abitare e lavorare per loro e con loro. Tra di noi c’era un tratto comune, un grande ponte di collegamento: la curiosità intellettuale. E’ una famiglia di professionisti del settore sanitario ed affini. Avevo trovato un richiamo profondo. Ci eravamo riconosciuti.”

Inga Imanadii, lavoratrice in versione italiana, è onesta e diretta. E ammette che “l’esperienza come Osa (Operatrice socio assistenziale, ndr) presso una casa protetta per anziani per me è stata difficile. Non lo sentivo il mio lavoro. E’ un lavoro per il quale è necessaria un’attitudine, quasi una vocazione. Credo sia meglio essere sinceri. Non si gioca con la vita degli altri. Io venivo da un’esperienza educativa. Come insegnante. Ero e sono una persona con una forte necessità di formazione, sempre in evoluzione.”

L’assistenza presso le famiglie permette un tipo di relazione molto più ricco di spunti sociali rispetto a quelli sanitari: non si tratta di una mera prestazione di supporto ma di una relazione. Descrive le famiglie, racconta la vita di tutti giorni, non ha dimenticato le parole. Ricorda molto bene le biografie, il passato delle persone che ha aiutato. Retribuita per fare l’assistente familiare, ma sempre una laureata in una disciplina umanistica.

Il passato ritorna. E rivendica.

Le storie di vita degli assistiti, i libri nelle biblioteche delle case, il dialogo, le parole tra le persone: “il lavoro è anche questo. Noi sapevamo di che cosa avevamo bisogno. Io avevo un obiettivo preciso: aiutare la famiglia, mia figlia, mia madre. Ho dato priorità a questo impegno. Ma non ho dimenticato chi sono. Mia figlia ha terminato l’Università ed è specializzanda dopo la laurea in Medicina e Chirurgia. Una volta raggiunto il traguardo ho pensato a me stessa in modo concreto. E’ come se si fosse riaperto un capitolo di possibilità. E allora, nel 2022, ho conseguito un Master di secondo livello presso l’Università di Modena e Reggio Emilia: Public and Digital History.

Il passato ha rivendicato attenzione.

La lavoratrice Inga Iamandii dichiara spontaneamente: “Noi migranti provenienti dalla Moldova abbiamo fatto fatica. Facciamo fatica. Ma siamo grati a questo Paese perché ci ha dato la possibilità di cominciare di nuovo. Voglio, vogliamo dare il nostro contributo alla crescita e al miglioramento del Paese che ci ha accolto. Parlo in prima persona plurale, perché mi sento si esprimere questa volontà a nome dell’associazione Plai Aps, associazione di cittadini moldavi nata a Reggio Emilia nel 2022. Voglio essere una brava cittadina.

Due lavori si sono alternati fino alla fine di Luglio 2024: un contratto a tempo indeterminato presso una farmacia e uno come educatrice per una cooperativa che accoglie gruppi di Msna (minori stranieri non accompagnati, ndr).

Quale messaggio dell’educatrice Inga Iamandii per i giovani accolti? “Un messaggio costruttivo. Avere fiducia in chi li accoglie e in se stessi. Studiare e lavorare su stessi e sulla disponibilità alla relazione. Ho incontrato bravi ragazzi. Tutti molto sofferenti. Migrare da soli e così giovani non è facile. Se questi giovani migranti trovano indifferenza si incattiviscono. Il processo di inclusione sociale e di integrazione diventa difficile se non impossibile. Abbiamo insegnato loro le regole della civile convivenza: come pulire la casa, come stare in gruppo in modo equilibrato nel rispetto degli altri e dialogando continuamente con i coinquilini, l’importanza del confronto e della relazione. Vengono dalla Tunisia, dall’Egitto, da diversi altri Paesi. Sono soli. Sono qui per lo stesso motivo per il quale siamo venuti noi: migliorare il loro futuro. Per molti di loro è impossibile rimanere nel Paese d’origine. A volte rischiano la vita, per la guerra oppure per la povertà.”

Un’educatrice con background migratorio ha maggiori possibilità di stabilire un dialogo? “Conosciamo bene lo stato psicologico dei migranti: tra ansietà e incertezza e difficoltà di relazione con una nuova cultura. Anche se per le persone provenienti dall’est Europa, forse, sotto questo profilo è stato più facile. Un po’ meglio, diciamo. Siamo culturalmente europei. Quindi: sì, un’educatrice arrivata da un altro Paese ha qualche possibilità in più di stabilire una relazione empatica con i migranti.

Inga Iamandii e i moldavi emigrati in Italia che cosa hanno lasciato in Moldavia? Un profondo e triste silenzio anticipa la risposta. “La maggioranza di noi ha lavorato e lavora come badante. Ci occupiamo di una parte molto fragile della popolazione italiana. Per farlo, abbiamo lasciato i nostri vecchi da soli. A loro mandiamo medicine, li aiutiamo come possiamo, ma ce ne siamo andati. Non dico di me. Dico di noi, come gruppo di migranti per necessità.

Torna in Moldavia per le ferie estive, la lavoratrice reggiana? “In automobile, si. Torniamo insieme, mia figlia ed io. Attraverso l’Europa.”

E che Paese troverete? Un’altra parentesi di silenzio esonda sui pensieri, increspa la voce. “I villaggi della Moldavia sono file di case vuote. Ce ne siamo andati in tanti. E tutti con il forte convincimento di ritornare a fare il lavoro che facevamo, a vivere nella nostra terra. Per lavorare bisogna integrarsi. Integrarsi significa essere disponibili ad appartenere, anche all’Italia. Non solo alla Moldavia. In autunno nel mio Paese ci sarà un Referendum e i cittadini dovranno prendere una decisione per il futuro della Moldavia rispetto all’adesione all’Unione europea. Una verifica importante di consapevolezza.”

La moldava Inga Iamandii presenta ai lettori della Gazzetta dell’Emilia la Moldavia proponendo il titolo di un libro: “Dell’autore Nicolae Dabija: Compito per domani.” Ambientato nel 1940, il libro è una storia d’amore. Protagonista è un rumeno deportato in un gulag di Stalin. Il libro racconta il suo ritorno alla vita. Compito per domani: un nuovo inizio europeo per la Moldavia. Lo suggerisce una cittadina italo-moldava dal nome nordico.

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