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Il Presidente Mattarella interviene sull’argomento del calo demografico.

Di Francesca Caggiati Parma 13 febbraio 2020 - Che l’Italia sia un Paese che invecchia non è certo una novità. In seguito alla recente pubblicazione degli ultimi dati Istat riferiti al 2019 è stato battuto un nuovo record: solo 435 mila nascite contro 647 mila decessi, il più basso ricambio in ben 102 anni.

Ecco che anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella interviene sottolineando l’allarmante calo della natalità e aggiungendo che “Va assunta ogni iniziativa per contrastare questo fenomeno”, in quanto si rischia un vero e proprio default economico finanziario, dovuto dai più consistenti oneri sociali di una popolazione anziana, inattiva e bisognosa di maggiori cure sanitarie ed assistenziali, contro un minore introito contributivo e produttivo di una popolazione attiva sempre più scarsa.

Interessante. Sì è interessante questo grido di allarme, visto che – come peraltro sottolinea puntualmente don Francesco Rossolini di cui si pubblica lettera integrale di seguito – nelle ultime campagne elettorali nessuna parte politica parla di questo argomento, semplicemente ignorandolo come se non esistesse.

Amministrazioni di tutti i colori vestite hanno avuto e avrebbero tuttora la possibilità di portare avanti una seria politica per la famiglia – a livello locale, come anche a livello nazionale – ma…
Ma poi bisognerebbe incentivare le famiglie e questa parola fa paura. Si, la parola famiglia oggi fa paura.

E lo scrivo con la consapevolezza di aver fatto scelte personali ben precise: ho lasciato il padre di mio figlio, sono tornata a vivere con i miei genitori e quindi oggi rappresento un ménage familiare a quattro con tutte le dinamiche relazionali connesse: genitori-figli-nonni-nipoti. Una situazione con i suoi pregi e i suoi difetti.

Detto ciò, è necessario essere consapevoli che esistono leggi che vanno rispettate, non in nome della religione – qualunque essa sia – ma in nome della natura. Cioè quel mondo in cui viviamo e che esiste da prima di noi: genere umano, fatto di uomini e di donne.

Individui che di per sé – singolarmente presi intendo– se ci pensate, non hanno capacità di esistere e sopravvivere.
Un individuo cioè da solo è come se non esistesse. Bisogna almeno essere in due per dar origine a un “qualche cosa”, che se non volete chiamarlo famiglia, chiamatelo come volete.
Se rimanesse un solo uomo o una sola donna sulla faccia della terrà non si potrebbe proseguire con la vita. Con un unico individuo non potrebbe essere stata generata e non si sarebbe sviluppato alcun popolo o creata alcuna società.

Se ci fosse un solo uomo e una sola donna sulla faccia della terra ecco che forse – non è detto in modo certo, ma sicuramente probabile – i due potrebbero generare uno o più nuovi individui e così dare il via ad una bella pandemia chiamata umanità.

Questo i politici non possono dirlo – una giornalista temeraria e un parroco coraggioso sì – o comunque se lo dicono lo fanno in modo da dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte, come prestigiatori per non offendere chi crede che la società sia fondata sui singoli individui senza tenere conto della differenza di sessualità.

Ecco che oggi vanno per la maggior gli a-sessuati, quelli che non sanno neanche loro di che sesso sono e quindi non possono avere una identità come persona. Se non so chi sono, non so di che sesso sono, non so se mi piacciono gli uomini o le donne, se mi piacciono tutti e due a giorni alterni e su questo modello incerto costruisco la mia vita, è un attimo farsi consigliare come vestirsi o cosa mangiare, perché non so cosa mi piace e quindi scelgo quello che qualcun altro ha scelto per me: in due parole non faccio i miei gli interessi, ma divento il business e sono nelle mani di altri.

Come una persona con queste insicurezze intrinseche può essere veramente felice? Quando non è sicuro di nulla e non sa neanche minimamente chi e cosa vuole essere nella vita?
Ecco che con la crisi della identità e di quello che si è e si vuole trovano spazio e largo seguito influencer, blogger e vatte la pesca. Che non sono veri modelli, come potevano esserci in passato il mentore, il professore che ti ha insegnato veramente qualcosa al di là del libro di testo, lo scrittore o il regista che propongono storie e contenuti che fanno riflettere e che ti aiutano a crescere sul serio. Oggi i modelli sono quelli che vediamo sui social e che hanno milioni di follower.

Queste sono considerazioni di una semplice, indipendente, libera e anticonvenzionale giornalista di una piccola città come Parma, che non vuole essere di esempio o influenzare nessuno, che non vuole giudicare o prendere le parti di nessuno, perché tra i valori che più sente propri c’è la libertà, in primis di pensiero e di opinione

Di seguito la lettera aperta di don Francesco Rossolini della parrocchia di San Paolo Apostolo sul tema del calo demografico.

“Carissimi parrocchiani,
la nostra conversazione mensile concerne non solo quanto la parrocchia progetta, vive ed impegnandosi realizza, ma anche quanto accade attorno a noi. Recentemente abbiamo avuto le elezioni regionali precedute da un ampio ed a volte aspro dibattito fra le due principali forze contendenti: centro destra e centro sinistra. Vari i temi trattati: dalle infrastrutture alla sanità, dal lavoro all’ecologia. Non ho sentito nulla (mi auguro per mia colpevole distrazione, ma …non credo) su di un tema eclatante e realmente esplosivo: il calo demografico!
Un tema…di cui non si vuol parlare
A livello mondiale l’Italia in fondo alla classifica delle nascite: penultimi davanti solo al Giappone! E la nostra terra emiliana non fa eccezione essendo in linea con il tasso di natalità italiano: bassissimo! La situazione nonostante cominci ad essere nota non suscita ancora quella attenzione e preoccupazione che invece meriterebbe. Ripetutamente gli esperti ricordano che oggi chi ha un lavoro paga, con i suoi contributi mensili, la pensione di chi ha lavorato fino a ieri. E domani potrà contare sui contributi di chi entrerà nel mercato del lavoro dopo di lui. Fin qui siamo all'ovvio del nostro sistema contributivo finanziato a ripartizione. Meno ovvio è invece considerare il fatto che se oggi ogni 35 pensionati corrispondono 100 concittadini in età da lavoro (non tutti però occupati) tra vent'anni il rapporto salirà a 54. Vent'anni ancora più in là, siamo nel 2057, si arriva a 62 pensionati ogni 100 cittadini in età da lavoro (ripetiamolo, non tutti però con un'occupazione stabile). Come si farà? Spiace dire che a fronte di quanto riportato e drammaticamente ci attende non ci siano proposte per cercare di rimediare alla situazione a nessun livello né regionale né nazionale. Anzi.. vale la pena ricordare che la seconda causa che mette le famiglie a rischio povertà in Italia (la prima è la perdita del lavoro da parte del capo famiglia) è l’avere diversi figli! (da tre in su) Pare proprio che non si voglia parlare di tutto ciò, della follia di questa situazione. Sembra si preferisca attirare l’attenzione su altri temi, pure importanti, non si discute, …ma forse il tema demografico non ha piena dignità per apparire nell’agenda politica e culturale del paese? Certo, rispondono demografi, sociologi, economisti ed anche educatori, eppure…il silenzio permane
Un sospetto…
A fronte di tale atteggiamento è legittimo chiedersi il perché di tanta svista, di questa ostinata e pertinace distrazione della politica, e degli opinion makers nostrani! Nasce allora un forte sospetto. Non sarà che il tema demografico contrasta, meglio denuncia l’errore, la falsità del politicamente corretto sulla famiglia? Per anni si è detto (e si dice tuttora) che il sistema familiare tradizionale deve essere superato (ci sono tanti tipi di famiglia), che la concezione ‘patriarcale’ della famiglia naturale non ha più senso, che i rapporti all’interno della coppia per essere veramente liberi ed autentici devono essere precari e labili… e poi si scopre che questa cultura, questo modo di concepire la famiglia ed i rapporti all’interno di essa porta… all’autodistruzione, alla costante diminuzione della popolazione che lentamente, inesorabilmente in silenzio scompare sommersa da problemi economici e sociali! Allora meglio…tacere! Meglio non parlarne, meglio attirare l’attenzione su altro…
Aveva ragione la chiesa
Il sospetto di cui sopra diventa una certezza a fronte della considerazione ulteriore: il tema demografico in modo tangibile ed inoppugnabile la falsità del politicamente corretto, ma da ragione a quanto la chiesa (sì ho detto chiesa) da sempre va dicendo. Abbiamo avuto in Italia il divorzio, ora anche ‘breve’, l’aborto, le unioni civili e cosa ne abbiamo ottenuto? Che la popolazione scompare….Per tanti sarà duro ammetterlo eppure pare proprio che …la chiesa avesse ragione!
Ultime considerazioni
Desidero precisare che il mio scritto non vuole mettere sotto accusa nessuno,…men che meno chi è divorziato od ha praticato (le donne spesso subìto) l’aborto: sono proprio le persone che maggiormente soffrono per quanto accaduto. Accuso invece una mentalità, una cultura (che inganna ritenendo divorzio ed aborto ‘cose da poco’) ed anche una politica che non vuole vedere quale sia l’autentico bene dell’uomo e della società. Ma oltre a denunciare la situazione mi sembra di dover anche richiamare ad un compito profetico: proporre il vero bene comune indicato dalla dottrina sociale della chiesa con i suoi principi su famiglia, vita, solidarietà, libertà di educazione. Anziché schierarsi nelle varie tifoserie di destra o di sinistra, come tristemente accaduto anche in queste regionali, credo sia questo il compito dei cattolici. Non per interesse di parte o sete di potere, ma per favorire il vero bene dell’intera società.”

 

Pubblicato in Costume e Società Parma
Domenica, 28 Aprile 2019 06:42

Lavoro, la strage continua, anzi si intensifica

Alla vigilia del 1° maggio, altri 4 morti, nello stretto spazio temporale di 24 ore, si aggiungono alla lunga lista dei decessi sul lavoro. Una piaga da combattere che però, con la persistenza della crisi economica, non si riesce a contrastare, anzi si allarga.

di Lamberto Colla Parma 28 aprile 2019 -

Nell'arco di sole 24 ore il numero delle vittime sul lavoro si accresce di altre 4 unità. Da Nord a Sud, democraticamente, la morte "bianca" ha già colpito 205 volte da inizio anno, 703 erano state nel 2018 che sommano a 1450 se si considerano i decessi avvenuti durante le trasferte lavorative in auto.

Mai così tanti da quando è stato aperto l'Osservatorio indipendente delle morti sul lavoro (1° gennaio 2008)!

Nonostante le restrizioni legislative, il fenomeno non accenna a diminuire, anzi è in continuo aumento.

La crisi irrisolta e nemmeno tamponata che sta opprimendo la società italiana, spinge i datori di lavoro a economizzare su ogni centro di costo e i lavoratori a rischiare, anche la vita, pur di interrompere l'astinenza lavorativa.

Un sistema cortocircuitato, salvo quando i datori sono spudoratamente responsabili dell'eliminazione delle più banali norme di sicurezza e dello sfruttamento lavorativo, che stenterà a tornare nell'alveo della normalità stando così le condizioni economiche e sociali.

"Da quell'anno (2008) - scrive l'Osservatorio -, con oltre 15000 morti sul lavoro è come se fossero spariti gli abitanti di una cittadina come Sasso Marconi. Rispetto al 2017 registriamo un aumento del 9,7%. Rispetto al 2008 registriamo un aumento del 9,4% (e tutti gli anni parlano di cali inesistenti)." L'agricoltura ha da sola il 33,3% di tutti i morti sui luoghi di lavoro (ben 149 agricoltori che hanno perso la vita guidando un trattore).

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Ed oggi siamo ancora una volta a raccontare di decessi sul lavoro, 4 per l'esattezza, e distribuiti su tutta la longitudine e latitudine della penisola, a Livorno, Savigliano, Sestu e Ravello.

Una strage infinita che si somma all'incremento della malattie, come ha sottolineato il neo segretario generale della CGIL Landini: "da inizio anno i morti sono stati più di 200 e aumentano gli infortuni e le malattie professionali, inaccettabile".

Si, inaccettabile ma come opporsi?

Fornendo lavoro! Mettendo le imprese in grado di fare profitti e di dare occupazione.

Che a mancare sia il lavoro lo ha confermato nei giorni scorsi anche l'OCSE segnalando il raddoppio della sottoccupazione a partire dal 2006. "In particolare, riferisce il dossier, i contratti a tempo determinato si collocano al 15,4% del lavoro dipendente contro una media nell'area Ocse dell'11,2%." e prosegue "Scivolano i salari. I rischi di un salario basso sono aumentati più della media Ocse per i lavoratori dipendenti con un livello di istruzione medio o basso.".

Insomma, sempre secondo l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, siamo il fanalino di coda dei Paesi OCSE e raggiungiamo il paradosso che al tasso elevato di disoccupazione si aggiunge il "rischio disoccupazione".

Una spirale senza fine che deve essere interrotta, se vogliamo interrompere anche le morti bianche e pure i suicidi, altra piaga connessa al lavoro, più specificatamente legata al ruolo imprenditoriale.

I suicidi, cosiddetti economici, dal 2012 al 2017 hanno registrato una impennata del 15,2% attestandosi a 1.000 negli ultimi 7 anni ai quali vanno sommati i 717 tentativi di suicidio. A rilevarlo l'Osservatorio "Suicidi per motivazioni economiche" della Link Campus University.

Ad accomunare le vite degli imprenditori, quelli piccoli e privi di protezioni, e i loro salariati è la crisi economica, incapace di risparmiare la maggioranza delle classi sociali, andando invece a rimpinguare i forzieri dei pochi super ricchi.

"Notre Dame, docet."

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Pubblicato in Politica Emilia


Il 25 aprile, oltre a rappresentare il giorno della "liberazione", è anche il confine di una nuova era, quella che apre alla democrazia e che condurrà, 13 anni dopo, al trattato di Roma e all'avvio di quella che avrebbe dovuto diventare la casa di tutti gli europei: L'Unione Europea, appunto.

di Lamberto Colla Parma 25 aprile 2019 -

"Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire."
(Sandro Pertini proclama lo sciopero generale, Milano, 25 aprile 1945)

La ricorrenza, questa è la 74esima, della liberazione d'Italia, anche chiamata festa della Liberazione, o semplicemente 25 aprile, è un giorno fondamentale per la storia d'Italia.

Con il 25 aprile si commemora la conclusione della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica, attuata dalle forze partigiane, durante la seconda guerra mondiale a partire dall'8 settembre 1943, contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l'occupazione nazista.

E' il confine di una nuova era, quella che apre alla democrazia e che condurrà, 13 anni dopo, al trattato di Roma e all'avvio di quella che avrebbe dovuto diventare la casa di tutti gli europei: L'Unione Europea, appunto.

Quei popoli che, sino a pochi anni prima, si erano fronteggiati lasciando sui campi di battaglia milioni di cadaveri, guidati da lungimiranti e saggi politici, hanno messo le radici per una pace duratura.

Sembra che di tutto questo processo non sia rimasto nulla. L'Europa è pronta a dissolversi e il tasso di litigiosità tra i Paesi si è nuovamente e pericolosamente alzato.

Non ci riesce a leggere e a interpretare quale sia la "vision" degli attuali politici, cosa intendono raggiungere, anche in termini di valori, per i propri paesi e per l'Unione Europea.

Nemmeno alla vigilia delle elezioni europee vi è qualche forza politica che si esprima sui programmi di lungo ma nemmeno di breve termine.

Anche la politica, come i nuovi media, si consuma nel brevissimo e si veicola sulle emozioni istantanee.

Nulla, almeno apparentemente, è meditato ma tutto viene infiammato attraverso slogan o "cinguettii" dove all'azione deve corrispondere una immediata reazione, anch'essa assolutamente non meditata ma frutto delle emozioni riflesse e indotte.

Ecco perché sarebbe opportuno fermarsi a meditare sui valori e su coloro che hanno dato la vita per ideali e per la libertà che stiamo, giorno dopo giorno, consumando.

Ecco perché val la pena di tornare a ragionare e di non buttar in vacca i tanti sacrifici di interi popoli.

Ecco perché le parole hanno la loro importanza e etichettare, come troppo frequentemente accade, "fascista" chi non la pensa nello stesso modo vuol dire portare la dialettica politica allo scontro e non al confronto e gli atteggiamenti degli attori passare da quelli tipici degli avversari politici a "nemici" giustificando, perciò, anche gli atti di violenza "giustizialista".

Tutto questo sta portando all'imbarbarimento della società e non si creda che questo sia una conseguenza di facebook o twitter, come in molti stanno cercando di far credere, bensì una conseguenza dell'uso dei mezzi con linguaggi inappropriati.

Pensiamo bene se vogliamo essere ancora liberi o no.

Di sinistra o destra, il concetto di libertà deve essere il medesimo e si riassume nel rispetto della persona anche quando è un avversario politico.

Buon 25 aprile 2019!

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(FOTO: In copertina sfilata di carri partigiani a Bologna e all'interno la sfilata dei partigiani a Milano)

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Palazzo del Quirinale, 31/12/2018 - Care concittadine e cari concittadini, siamo nel tempo dei social, in cui molti vivono connessi in rete e comunicano di continuo ciò che pensano e anche quel che fanno nella vita quotidiana.

Tempi e abitudini cambiano ma questo appuntamento - nato decenni fa con il primo Presidente, Luigi Einaudi - non è un rito formale. Mi assegna il compito di rivolgere, a tutti voi, gli auguri per il nuovo anno: è un appuntamento tradizionale, sempre attuale e, per me, graditissimo.
Permette di formulare, certo non un bilancio, ma qualche considerazione sull'anno trascorso. Mi consente di trasmettere quel che ho sentito e ricevuto in molte occasioni nel corso dell'anno da parte di tanti nostri concittadini, quasi dando in questo modo loro voce. E di farlo da qui, dal Quirinale, casa di tutti gli italiani.
Quel che ho ascoltato esprime, soprattutto, l'esigenza di sentirsi e di riconoscersi come una comunità di vita. La vicinanza e l'affetto che avverto sovente, li interpreto come il bisogno di unità, raffigurata da chi rappresenta la Repubblica che è il nostro comune destino.

Proprio su questo vorrei riflettere brevemente, insieme, nel momento in cui entriamo in un nuovo anno.

Sentirsi "comunità" significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri.
Significa "pensarsi" dentro un futuro comune, da costruire insieme. Significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese.
Vuol dire anche essere rispettosi gli uni degli altri. Vuol dire essere consapevoli degli elementi che ci uniscono e nel battersi, come è giusto, per le proprie idee rifiutare l'astio, l'insulto, l'intolleranza, che creano ostilità e timore.

So bene che alcuni diranno: questa è retorica dei buoni sentimenti, che la realtà è purtroppo un'altra; che vi sono tanti problemi e che bisogna pensare soprattutto alla sicurezza.
Certo, la sicurezza è condizione di un'esistenza serena.
Ma la sicurezza parte da qui: da un ambiente in cui tutti si sentano rispettati e rispettino le regole del vivere comune.
La domanda di sicurezza è particolarmente forte in alcune aree del Paese, dove la prepotenza delle mafie si fa sentire più pesantemente. E in molte periferie urbane dove il degrado favorisce il diffondersi della criminalità.

Non sono ammissibili zone franche dove la legge non è osservata e si ha talvolta l'impressione di istituzioni inadeguate, con cittadini che si sentono soli e indifesi.
La vera sicurezza si realizza, con efficacia, preservando e garantendo i valori positivi della convivenza.
Sicurezza è anche lavoro, istruzione, più equa distribuzione delle opportunità per i giovani, attenzione per gli anziani, serenità per i pensionati dopo una vita di lavoro: tutto questo si realizza più facilmente superando i conflitti e sostenendosi l'un l'altro.

Qualche settimana fa a Torino alcuni bambini mi hanno consegnato la cittadinanza onoraria di un luogo immaginario, da loro definito Felicizia, per indicare l'amicizia come strada per la felicità.
Un sogno, forse una favola. Ma dobbiamo guardarci dal confinare i sogni e le speranze alla sola stagione dell'infanzia. Come se questi valori non fossero importanti nel mondo degli adulti.
In altre parole, non dobbiamo aver timore di manifestare buoni sentimenti che rendono migliore la nostra società.

Sono i valori coltivati da chi svolge seriamente, giorno per giorno, il proprio dovere; quelli di chi si impegna volontariamente per aiutare gli altri in difficoltà.
Il nostro è un Paese ricco di solidarietà. Spesso la società civile è arrivata, con più efficacia e con più calore umano, in luoghi remoti non raggiunti dalle pubbliche istituzioni.
Ricordo gli incontri con chi, negli ospedali o nelle periferie e in tanti luoghi di solitudine e di sofferenza dona conforto e serenità.
I tanti volontari intervenuti nelle catastrofi naturali a fianco dei Corpi dello Stato.

È l'"Italia che ricuce" e che dà fiducia.

Così come fanno le realtà del Terzo Settore, del No profit che rappresentano una rete preziosa di solidarietà.
Si tratta di realtà che hanno ben chiara la pari dignità di ogni persona e che meritano maggiore sostegno da parte delle istituzioni, anche perché, sovente, suppliscono a lacune o a ritardi dello Stato negli interventi in aiuto dei più deboli, degli emarginati, di anziani soli, di famiglie in difficoltà, di senzatetto.

Anche per questo vanno evitate "tasse sulla bontà".

È l'immagine dell'Italia positiva, che deve prevalere.
Il modello di vita dell'Italia non può essere – e non sarà mai – quello degli ultras violenti degli stadi di calcio, estremisti travestiti da tifosi.
Alimentano focolai di odio settario, di discriminazione, di teppismo.
Fenomeni che i pubblici poteri e le società di calcio hanno il dovere di contrastare e debellare.

Lo sport è un'altra cosa.

Esortare a una convivenza più serena non significa chiudere gli occhi davanti alle difficoltà che il nostro Paese ha di fronte.
Sappiamo di avere risorse importanti; e vi sono numerosi motivi che ci inducono ad affrontare con fiducia l'anno che verrà. Per essere all'altezza del compito dobbiamo andare incontro ai problemi con parole di verità, senza nasconderci carenze, condizionamenti, errori, approssimazioni.
Molte sono le questioni che dobbiamo risolvere. La mancanza di lavoro che si mantiene a livelli intollerabili. L'alto debito pubblico che penalizza lo Stato e i cittadini e pone una pesante ipoteca sul futuro dei giovani. La capacità competitiva del nostro sistema produttivo che si è ridotta, pur con risultati significativi di imprese e di settori avanzati. Le carenze e il deterioramento di infrastrutture. Le ferite del nostro territorio.

Dobbiamo aver fiducia in un cammino positivo. Ma non ci sono ricette miracolistiche.
Soltanto il lavoro tenace, coerente, lungimirante produce risultati concreti. Un lavoro approfondito, che richiede competenza e che costa fatica e impegno.
Traguardi consistenti sono stati raggiunti nel tempo. Frutto del lavoro e dell'ingegno di intere generazioni che ci hanno preceduto.
Abbiamo ad esempio da poco ricordato i quarant'anni del Servizio sanitario nazionale.

E' stato – ed è - un grande motore di giustizia, un vanto del sistema Italia. Che ha consentito di aumentare le aspettative di vita degli italiani, ai più alti livelli mondiali. Non mancano difetti e disparità da colmare. Ma si tratta di un patrimonio da preservare e da potenziare.
L'universalità e la effettiva realizzazione dei diritti di cittadinanza sono state grandi conquiste della Repubblica: il nostro Stato sociale, basato sui pilastri costituzionali della tutela della salute, della previdenza, dell'assistenza, della scuola rappresenta un modello positivo. Da tutelare.

Ieri sera ho promulgato la legge di bilancio nei termini utili a evitare l'esercizio provvisorio, pur se approvata in via definitiva dal Parlamento soltanto da poche ore.
Avere scongiurato la apertura di una procedura di infrazione da parte dell'Unione Europea per il mancato rispetto di norme liberamente sottoscritte è un elemento che rafforza la fiducia e conferisce stabilità.
La grande compressione dell'esame parlamentare e la mancanza di un opportuno confronto con i corpi sociali richiedono adesso un'attenta verifica dei contenuti del provvedimento.
Mi auguro – vivamente - che il Parlamento, il Governo, i gruppi politici trovino il modo di discutere costruttivamente su quanto avvenuto; e assicurino per il futuro condizioni adeguate di esame e di confronto.

La dimensione europea è quella in cui l'Italia ha scelto di investire e di giocare il proprio futuro; e al suo interno dobbiamo essere voce autorevole.
Vorrei rinnovare un pensiero di grande solidarietà ai familiari di Antonio Megalizzi, vittima di un vile attentato terroristico insieme ad altri cittadini europei.
Come molti giovani si impegnava per un'Europa con meno confini e più giustizia. Comprendeva che le difficoltà possono essere superate rilanciando il progetto dell'Europa dei diritti, dei cittadini e dei popoli, della convivenza, della lotta all'odio, della pace.

Quest'anno saremo chiamati a rinnovare il Parlamento europeo, la istituzione che rappresenta nell'Unione i popoli europei, a quarant'anni dalla sua prima elezione diretta. È uno dei più grandi esercizi democratici al mondo: più di 400 milioni di cittadini europei si recheranno alle urne.
Mi auguro che la campagna elettorale si svolga con serenità e sia l'occasione di un serio confronto sul futuro dell'Europa.

Sono rimasto colpito da un episodio di cronaca recente, riferito dai media. Una signora di novant'anni, sentendosi sola nella notte di Natale, ha telefonato ai Carabinieri. Ho bisogno soltanto di compagnia, ha detto ai militari. E loro sono andati a trovarla a casa portandole un po' di serenità.
Alla signora Anna, e alle tante persone che si sentono in solitudine voglio rivolgere un saluto affettuoso.
Vorrei sottolineare quanto sia significativo che si sia rivolta ai Carabinieri. La loro divisa, come quella di tutte le Forze dell'ordine e quella dei Vigili del fuoco, è il simbolo di istituzioni al servizio della comunità. Si tratta di un patrimonio da salvaguardare perché appartiene a tutti i cittadini.
Insieme a loro rivolgo un augurio alle donne e agli uomini delle Forze armate, impegnate per garantire la nostra sicurezza e la pace in patria e all'estero. Svolgono un impegno che rende onore all'Italia.
La loro funzione non può essere snaturata, destinandoli a compiti non compatibili con la loro elevata specializzazione.
In questa sera di festa desidero esprimere la mia vicinanza a quanti hanno sofferto e tuttora soffrono – malgrado il tempo trascorso – le conseguenze dolorose dei terremoti dell'Italia centrale, alle famiglie sfollate di Genova e della zona dell'Etna. Nell'augurare loro un anno sereno, ribadisco che la Repubblica assume la ricostruzione come un impegno inderogabile di solidarietà.

Auguri a tutti gli italiani, in patria o all'estero.
Auguro buon anno ai cinque milioni di immigrati che vivono, lavorano, vanno a scuola, praticano sport, nel nostro Paese.
Rivolgo un augurio, caloroso, a Papa Francesco; e lo ringrazio, ancora una volta, per il suo magistero volto costantemente a promuovere la pace, la coesione sociale, il dialogo, l'impegno per il bene comune.

Vorrei concludere da dove ho iniziato: dal nostro riconoscerci comunità.
Ho conosciuto in questi anni tante persone impegnate in attività di grande valore sociale; e molti luoghi straordinari dove il rapporto con gli altri non è avvertito come un limite, ma come quello che dà senso alla vita.

Ne cito uno fra i tanti ricordando e salutando i ragazzi e gli adulti del Centro di cura per l'autismo, di Verona, che ho di recente visitato.
Mi hanno regalato quadri e disegni da loro realizzati. Sono tutti molto belli: esprimono creatività e capacità di comunicare e partecipare. Ne ho voluto collocare uno questa sera accanto a me. Li ringrazio nuovamente e rivolgo a tutti loro l'augurio più affettuoso.

A tutti voi auguri di buon anno.

Video LINK: https://youtu.be/3Y2zP0Oy64c 

 

Pubblicato in Politica Emilia
Domenica, 23 Luglio 2017 12:06

Lavoro, competitività e sicurezza

La centralità dell'azione governativa dovrebbe riguardare i temi chiavi del lavoro, della competitività delle imprese e sulla sicurezza dei cittadini. Di tutto ciò, nella discussione politica, non vi è traccia.

di Lamberto Colla Parma 23 luglio 2017
I temi politici di tendenza di queste ultime settimane riguardano prevalentemente la questione dei migranti e dello jus soli. Temi certamente importanti ma un politico serio non dormirebbe la notte al pensiero del tasso di disoccupazione che sta minando la società e le imprese stesse.

La spesa pubblica nel frattempo aumenta, la crescita è ancorata a valori bassissimi e conseguentemente l'occupazione non cresce.
Vero che la quota maggiore di spesa pubblica è impegnata dal welfare ma continuare a interrogarsi su quali categorie destinare prioritariamente i fondi dell'assistenza condurrà a far aumentare sempre più il bacino dei bisognosi e sempre meno quelli che potranno ricevere sostegno dallo Stato.

E così i nodi reali verranno al pettine e allora giù con nuove tasse senza pensare che (o forse lo sanno ma fingono di ignorarlo) proprio l'incremento delle imposte è il fattore che inibisce crescita economica e conseguentemente lavoro e occupazione.

Un cane che si morde la coda.
Di politiche attive che riguardino il lavoro non si sente parlare ma nemmeno si sente parlare di agevolare l'accesso al credito delle micro, piccole e medie imprese, quel tessuto economico tipicamente italiano che da sempre rappresenta la spina dorsale della nostra economia. Di banche si parla solo del loro salvataggio (raramente della responsabilità degli amministratori) ma mai di come potrebbero intervenire per contribuire alla migliore l'operatività delle imprese, schiacciate dalle imposte, dalla liquidità insufficiente, frequentemente sotto-dimensionate e incapaci di reagire efficacemente ai sempre più rari picchi di ordinativi. Oppresse dalla burocrazia e dalle scadenze tributarie le piccole imprese stentano a cavalcare le rare occasioni di ripresa. Dopo l'abbattimento dei costi generali infatti sono andate a ridurre all'osso la voce di bilancio dedicato al personale, contribuendo così a abbattere il tasso di competenze, creatività e elasticità dell'impresa stessa.

Insomma, lavoro e competitività delle imprese (soprattutto MPMI) dovrebbero essere i temi dominanti della discussione politica così come pure il tema della sicurezza e della giustizia. E invece vai con lo ius soli, con l'emergenza incendi, con i migranti e le emergenze di cui quest'Italia prospera.

Ma si sa, in periodo di campagna elettorale, che da noi ormai è permanente, non si possono fare programmi di lungo periodo, perciò meglio "promuovere" e cavalcare le tante emergenze piuttosto che ipotizzare una nuova idea di Stato e di economia.

Insomma sarebbe necessaria una nuova classe politica, meno attenta al consenso popolare e più attenta al governo e alle sorti del Paese.
Una politica che, sui grandi temi, dovrebbe trovare la convergenza di tutti gli schieramenti mettendo da parte, almeno per un paio d'anni, i propri personalissimi interessi di parte e privati donando alla comunità nuove occasioni di speranza.


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Pubblicato in Politica Emilia
Domenica, 16 Luglio 2017 12:14

Delitti in provincia

Una lunga sequenza di delitti ha percorso la storia di Parma da fine 2015 e non necessariamente connessi al degrado di certi quartieri. Dobbiamo invece interrogarci sulla malattia che sta dilagando a Parma e nella società italiana in genere.

di Lamberto Colla Parma 16 luglio 2017
In "provincia" non accadeva mai nulla. Erano infrequenti gli episodi di violenza cruenti e gli omicidi un fatto rarissimo, a differenza di quanto registravano le cronache delle città metropolitane.
Parma, ad esempio, è sempre stata ritenuta una splendida oasi di tranquillità dove chiunque era libero di girare, sereno e in sicurezza, con la propria "bici" in qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi quartiere.

Oggi invece, nella ex tranquilla isola parmigiana, la percezione di insicurezza e degrado è talmente elevata che, durante l'ultima campagna elettorale, la questione "sicurezza" è stato un tema dominante e trasversale a quasi tutti i candidati.
Probabilmente è solo un caso, ma l'ultimo delitto parmense si è consumato in uno di quei quartieri dove lo spaccio è una attività fiorente e la violenza all'ordine del giorno. Poco più di un anno fa infatti, era aprile 2016, un 39enne di origine dominicana venne aggredito e accoltellato da un connazionale che cercò anche di dargli fuoco. Andò peggio al 22enne nigeriano trovato morto sempre nello stesso quartiere lo scorso novembre.

Ma il duplice omicidio di via San Leonardo 21 si è consumato tutto in famiglia, come lo fu il più famoso "Caso Carretta", con il secondogenito che massacra mamma e sorellina di undici anni per poi tentare la fuga. Quindi non un delitto nato dalla fiorente attività illegale che primeggia nel quartiere, salvo il fatto che il giovane assassino possa essere stato influenzato nel suo percorso di crescita, ma occorre invece interrogarsi sulla lunga scia di delitti che si sono consumati nella città ducale nell'arco di un anno e mezzo o poco più.

Vero è che la storia degli ultimi trent'anni di Parma è stata fin troppo ricca di episodi terribili che hanno segnato le famiglie ma anche l'intera comunità; dal delitto dell'industriale Mazza, al caso Carretta, per passare al piccolo Tommy e alla giovanissima Virginia, al delitto di "Mimma".

Ma è da fine 2015 che sembra essere esplosa una bolla criminale senza precedenti per Parma. Una sequenza impressionante di efferatissimi delitti, diversi dei quali consumati in famiglia o comunque all'interno di relazioni, molto probabilmente malate, e non necessariamente maturati in ambiti di degrado sociale.

Era maggio 2016 quando uno "Squadrone della morte" composto da quattro rumeni e due italiani decidono di "vendicarsi", in quel di Basilicagoiano, su Mohamed Habassi, 34enne tunisino, il quale sembra essere stato persino ferocemente torturato.
A settembre è il caso di Elisa Pavarani a accendere i riflettori sull'ennesimo "femminicidio". Un caso che riporta la memoria a 10 anni prima quando a fare le spese di una relazione malata fu Silvia Mantovani, uccisa dal fidanzato con otto coltellate il località Martorano.
A Novembre il corpo senza vita del 22enne nigeriano Omonkhegbele Thakgod venne ritrovato in via Gobetti, nel quartiere San Leonardo.
A Natale il dramma si consuma a San Prospero, con il duplice omicidio di Luca Manici (Kelly) e dell'argentina Gabriela Altamirano, assassinati nell'Angelica Vip Club
A fine gennaio 2017 è il caso di Arianna Rivara, uccisa dall'ex che poi si è tolto la vita, in un appartamento nel quartiere San Lazzaro. L'ennesimo femminicidio che si aggiunge, oltre a quelli citati nel 2016, a quello di Alessia della Pia massacrata di botte nel 2015 da Jella. E ancora Guesh Gabrehiwot uccisa con due colpi di pistola e seppellita in una buca a Pellegrino. Aveva solo 24 anni. Simonetta Moisè di anni ne aveva 56 ed è stata uccisa a Sala Baganza, freddata dal marito poi suicida Pietro Amighetti. Nell'elenco c'è anche Domenica Menna ferita a morte dall'ex marito guardia giurata Salvo Chirullo. Michel Campos invece è stata uccisa a martellate e nascosta sotto il letto dal fidanzato. Dolores Leonardi è stata invece assassinata dal figlio mentre Maria Virginia Fereoli è stata colpita da 470 coltellate a Felino.

Infine, è cronaca di pochi giorni fa, il 21enne ex promessa del calcio di origine ghanese, Solomon Nyantakyi, ha massacrato la madre e la sorella di undici anni all'interno della loro abitazione in via San Leonardo, 21.
La domanda che viene spontanea porsi dopo questo terrificante excursus di morti violente è: ma cosa sta accadendo alla nostra città e più in generale nella nostra società?

Pubblicato in Politica Emilia

La Cooperativa “La Bula” è una realtà che dal 1980 si occupa di formazione e integrazione sociale per giovani con disabilità. Un lavoro quotidiano basato sul dialogo con il territorio circostante in tutte le sue forme, sia istituzionali sia informali.

Di Chiara Marando  -

Parma, 17 Maggio 2017 -

L’integrazione passa prima di tutto attraverso la relazione, l’accoglienza e l’apertura così da arrivare a condividere concretamente spazi, ambienti e sogni. Questo è il messaggio e il percorso portato avanti da più di trent’anni dalla Cooperativa “La Bula”, una realtà che dal 1980 si occupa di formazione e integrazione sociale per giovani con disabilità. Un lavoro quotidiano, un impegno costante basato sul dialogo con il territorio circostante in tutte le sue forme, sia istituzionali sia informali.

Un lavoro importante, reso possibile grazie a tutti coloro che ogni giorno si adoperano affinché chi ha più bisogno abbia il sostegno ed il supporto corretti per potersi sentire parte della società, per comunicare con gli altri e per realizzare la propria autonomia. Soci, lavoratori, familiari e volontari, sono loro il fulcro di tutta l’attività e sono loro il motore da cui partono i progetti e le diverse strade intraprese nel corso degli anni. Un modo per condividere le proprie esperienze, per crescere insieme ed interrogarsi sul benessere di chi ha più bisogno di sostegno.

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Questo è “La Bula”: una rete di relazioni costruite nel tempo, anche con gli enti pubblici, così da dare risposte concrete alle necessità primarie espresse dai ragazzi con disabilità, è reciprocità e collaborazione, umanità, abbracci e sorrisi, valori condivisi, esperienza e formazione.

E proprio sul concetto di formazione e informazione, la cooperativa ha voluto puntare l’attenzione su una maggiore chiarezza in merito alle reali necessità delle persone svantaggiate, insieme alla necessità di un percorso formativo mirato per chi opera all’interno delle diverse strutture.

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Tanti e variegati i laboratori e le attività organizzate, un modo per facilitare la socializzazione e per stimolare la creatività e la manualità. Il Laboratorio di falegnameria, ad esempio, realizza arredamenti originali solo utilizzando materiali di riuso e riciclo: bancali e legno di recupero che si trasformano in tavoli, panche, sedie, orti e fioriere.

Poi c’è il Laboratorio socio-occupazionale, strutturato su due livelli educativi in base ai partecipanti e coordinato da un responsabile che si occupa di pianificare servizi e progetti anche in rapporto agli Enti pubblici.

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Altrettanti gli interventi particolari come “Giocambulando”, durante il quale vengono realizzati giochi ideali per i parchi dedicati ai bambini; oppure “Non più soli”, ideato con il sostegno di Fondazione Cariparma, volto a creare nuovi percorsi d’impegno per ragazzi diversamente abili.

L’aiuto, però, non è mai abbastanza, ed anche i più piccoli gesti possono fare la differenza. Acquistare i prodotti confezionati all’interno dei laboratori è un modo concreto per sostenere “La Bula” ed aiutarli a continuare il loro fondamentale cammino.

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Per info

La Bula Cooperativa Sociale

Strada Quarta 23 – 43123 Parma

Tel. 0521 483393

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

www.labula.it 

 

Tutte le foto della gallery sono di Francesca Bocchia

Pubblicato in Volontariato Parma
Domenica, 17 Luglio 2016 12:06

Verso il disordine universale

La macchina del tempo ha innestato la retromarcia. Disordini sociali, conflitti, lotte di classe e conflitti razziali. Il mondo, o meglio l'uomo, ha nostalgia del suo peggior passato.

di Lamberto Colla Parma, 17 luglio 2016.
Di quell'Europa unita e forte che sarebbe stata in grado di frapporsi tra i due blocchi egemoni, USA e URSS, come era nei sogni di tanti a fine del secolo, ormai non c'è più nulla.

La nuova premier britannica, Theresa May, a poche ore di distanza dall'insediamento al numero 10 di Downing Street, forse per farsi perdonare una posizione troppo defilata in campagna referendaria, ha immediatamente annunciato che l'uscita dall'Unione Europea porterà prosperità al popolo britannico e, per per rendere ancor più credibile l'affermazione, ha nominato al Ministero degli Esteri, l'ex Sindaco di Londra, quel Boris Johnson che fu il più accanito sostenitore della campagna per la Brexit.
Dalle parole ai fatti nella rincorsa a usurpare il titolo di Lady di Ferro che fu assegnato a Margareth Thatcher la quale, nell'aprile del 1982, non ci pensò due volte a mandare la flotta britannica oltre oceano a sopprime ogni velleità Argentina sulle Isole Falkland.

Paradosso dei paradossi, proprio durante il mandato presidenziale di Barack Obama, il primo presidente di colore della storia a stelle e strisce, il conflitto razziale sta tornando prepotentemente alla ribalta e gli scontri di Dallas ne sono una terribile, quanto preoccupante, segnale. Un rapido salto indietro al 1968 quando, nello stesso anno, furono assassinati Bob Kennedy e Martin Luther King nel mentre la Primavera di Praga teneva con il fiato in sospeso l'europa.

La passione per il "Vintage" sta prendendo la mano al mondo intero.

In Europa, la cavalcata russa per il controllo dell'Ucraina e la riammissione della Crimea, con spargimenti di sangue ben celati dai media di tutto il mondo, sta di fatto, ricostituendosi il "Blocco sovietico" in contrapposizione, guarda caso, alla manifesta volontà della NATO al controllo dell'europa e a marcamento diretto del potenziale militare dello Zar Putin.

Intanto prosegue la campagna di guerra per la riconquista degli antichi territori islamici (dalla Spagna all'Iraq passando per tutto il nord africa con qualche nuova velleità per Roma vaticana), lanciata dall'Isis che, a fronte delle sconfitte che sta subendo sul terreno, ha intensificato le azioni terroristiche con particolare riguardo alla Francia, al Belgio e alla Turchia (ultimo in ordine di tempo lo scorso 14 luglio a Nizza in occasione della festa nazionale della "Presa della Bastiglia").

In questo contesto, intanto a prosperare sono solo il caos e la povertà.

Conclusioni

Tra conflitti razziali, religiosi e di classe il valore entropico delle società occidentali è ormai al livello di guardia e il rischio di deflagrazione è sempre più probabile.

Non siamo attrezzati per governare un tale valore energetico e perciò rimarremo inermi in attesa dell'esplosione, dopodiché, finalmente, i sopravvissuti, potranno godere della rinascita, almeno per un ventennio.

La storia purtroppo si ripete, così come si ripetono sempre i medesimi errori.

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Pubblicato in Politica Emilia
Mercoledì, 19 Agosto 2015 15:20

La crisi aguzza ingegno ed efficienza

Uno zuccherino consolatorio arriva da una recente ricerca che colloca gli italiani appena sotto al podio delle società più intelligenti e primi tra gli occidentali. Ma non solo, le università italiane spiccano per efficienza ma non per sovvenzioni.

di Lgc Parma 19 agosto 2015 - 
Dopo anni e anni che il gradimento dell'Italia era in costante discesa e sembrava che l'italiano fosse diventato il peggior popolo del globo, dopo che l'economia del piccolo paese del mediterraneo raggiunse il sesto gradino più alto del mondo, ecco che due nuove ricerche tornano a dare merito all'italica popolazione.

I dati economici emersi nel rapporto Svimez, pur evidenziando l'atavica arretratezza del mezzogiorno e la crisi economica che opprime il Paese che diede i natali a Leonardo da Vinci e Galileo Galilei, ma anche al fisico Carlo Rubbia e alla scienziata Rita Levi di Montalcini, premio Nobel per la medicina nel 1986, e tantissimi altri illustri rappresentanti delle arti, della scienza e della letteratura, è capace di meritarsi anche primati positivi e non solo negativi.

Dal punto di vista cognitivo, infatti, giunge un prestigioso riconoscimento, per il quale l'Italia viene additata come la nazione più intelligente dell'Occidente. Lo rivela la classifica stilata dallo psicologo inglese Jelte Wicherts, che ci colloca al quarto posto nel mondo – preceduti soltanto da Giappone, Sud Corea, e Singapore al primo posto.

I risultati dei test di massa del quoziente intellettivo utilizzati in 113 Paesi colloca invece la Germania all'ottavo posto, seguita dalla Francia, che divide la nona piazza con gli Stati Uniti d'America.

L'ingegno sembra l'abbia applicato ad hoc anche il ricercatore italiano Giuseppe De Nicolao il quale ha voluto dimostrare come, pur nella esiguità delle risorse, il sistema accademico nazionale sia in grado di massimizzare i risultati. Il cattedrattico ha così inventato la classifica "dell'efficienza delle università" ponendo in relazione i risultati con la spesa. A guidare la classifica pubblicata dalla rivista Roars è pertanto la Scuola normale di Pisa, seguita dall'Università di Ferrara, Trieste e Milano Bicocca. Sorprende invece che nelle prime dieci posizioni le straniere a comparire sono solo Cambridge e Priceton.

La sfida infernale è lanciata e adesso con questo bagaglio di intelligenza e sana pazzia ma anche di efficienza, l'Italia è pronta a risalire la china per ricollocarsi sul tetto del mondo.

L'identità dei Numeri: sguardo sulla povertà reggiana. Dagli avvocati di strada alla Caritas.

Reggio Emilia 21 agosto 2014 --
Piazza Prampolini numero 1, Reggio Emilia: un elegante salottino rettangolare con un pavimento di ciottoli, sul quale sono state adagiate poltrone di vimini e tavolini in vetro da un noto bar del centro; il Municipio con la sua semplice bellezza; la chiesa del Duomo di Reggio con la sua Madonnina in oro giallo in cima alla cupola che veglia sui passanti. Una fontana, qualche piccione, una banca.
Almeno nella teoria è questa la "casa" a cielo aperto in cui abitano i senzatetto di Reggio, ai quali l'associazione Avvocati di strada Onlus ha conferito, in accordo con l'Anagrafe, il diritto di avere registrata sulla Carta d'identità una via seppur fittizia in cui risiedere.
Come abbiamo visto nei pezzi precedenti di questo focus sulla povertà a Reggio Emilia, l'ottenimento della residenza comporta l'accesso automatico a una serie di servizi correlati come la possibilità di avere un medico di base, quella di iscriversi alle agenzie interinali, l'accesso al voto, quello al gratuito patrocinio e così via.
Nello scrivere questo quarto pezzo della nostra inchiesta sulla povertà e l'immigrazione a Reggio ci siamo però chiesti dove risiedano davvero gli homeless della nostra città, dove trascorrano la notte, chi siano, come vivano, da chi sono aiutati.
A fornirci un quadro approfondito al riguardo dall'alto della sua prospettiva "privilegiata" è stato Alberto Pighini, operatore del Centro per l'ascolto delle povertà della Caritas reggiana.

RE Caritas operatore Centro ascolto Alberto Pighini

L'AIUTO DELLA CARITAS AI POVERI. "Negli anni - spiega Pighini - il Centro ascolto Caritas, quello centrale in via Adua, come la quarantina di sedi periferiche distribuite su tutta la Diocesi, è diventata un punto di riferimento per tutti coloro che hanno bisogno di aiuto: un pasto in mensa, un indumento, un posto letto, una visita gratuita in ambulatorio, un consiglio. Ogni realtà vede la sua peculiarità e incontra le sue etnie. Se nella Bassa ci sono tanti indiani, sulla montagne abbiamo una corposa presenza di albanesi. Noi della sede centrale spesso abbiamo a che fare con stranieri provenienti dal Maghreb, soprattutto clandestini di passaggio che arrivano dalla stazione qui a fianco", afferma.
"La Caritas - prosegue l'operatore - non ha filtri in entrata: noi accogliamo chiunque. Apriamo lo sportello tutti i giorni e chi vuole entrare in quanto bisognoso, può farlo. Certo, facciamo quel che la legge italiana ci consente di fare: mentre per gli irregolari garantiamo la tutela della persona, offrendo i servizi di prima necessità, per gli Italiani e per coloro che sono in possesso del permesso di soggiorno cerchiamo di intraprendere assieme dei percorsi volti alla riqualificazione della loro vita e ci attiviamo per aiutare queste persone a trovare un lavoro. Tuttavia, la logica che sta dietro al Centro ascolto è un'ottica progettuale: noi offriamo loro servizi a tempo e iniziamo, in collaborazione con i Servizi Sociali, un progetto per aiutarle a migliorare la loro vita; poi però verifichiamo se in quei due o tre mesi in cui anno usufruito della nostra mensa o del dormitorio, anche dall'altra parte viene dimostrata la volontà di andare avanti e di migliorare. Talvolta si arriva a fare percorsi davvero belli con qualcuno con il quale si riesce a lavorare ad esempio sul tema dell'alcool o sul riavvicinamento alla sua famiglia. Per noi i servizi offerti sono soprattutto funzionali a creare degli agganci: tu vieni per la mensa io cerco di conoscerti, di aiutarti, di instaurare con te una relazione di fiducia. Creare questo tipo di rapporto però non è facile.
Vi faccio un esempio: molti senzatetto a Reggio trascorrono la notte nei capannoni dismessi alle Ex Reggiane, in case abbandonate, sulle panchine della zona stazione. Alcuni li conosciamo, don Davide Poletti a volte fa il giro della stazione per vedere quanti sono i senza fissa dimora che dormono lì. Noi proviamo a rintracciarli per offrire loro almeno un dormitorio. Ma esiste una buona fetta di queste persone per le quali il nostro dormitorio, in cui abbiamo stabilito semplici regole di comune convivenza, come il coprifuoco alle 22.30 o il fatto di non poter rientrare ubriachi, non è appetibile.
Basti pensare che il nostro alloggio che tiene 12 letti oggi è semi vuoto. Certo, molti fanno domanda in inverno, ma c'è anche chi, con l'arrivo del freddo, viene da noi a chiedere solo i sacchi a pelo per poter continuare a stare nel giaciglio di fortuna che si è creato in qualche casa diroccata con qualche amico fidato, nessuna regola da rispettare e una totale autonomia. Tra loro ci sono persone che hanno dei problemi mentali di un certo tipo che non li portano a sentire la spinta di riqualificare la propria vita.
Al contrario, si rivolgono a noi persone che sono state sfrattate da casa poiché non riescono a pagare l'affitto, perché sono vittime di dipendenze, o perché stanno divorziando e hanno figli a cui devono passare gli alimenti e non riescono a rientrare nelle spese. La loro quindi non è più solo una richiesta di un posto letto. Quello che facciamo è farci carico dei loro problemi che hanno portato a quello sfratto", spiega l'operatore.

DATI SENZATETTO. Ma che si rivolgano o meno alla Caritas, resta comunque alto il numero di persone senza un tetto: 399. Dato in crescita rispetto al 2012. Coloro che sempre nel 2013 hanno dichiarato di avere un alloggio erano 1049, tra questi vi è una grossa fetta di persone che pur avendo un tetto sotto cui riparasi si trovano in una condizione di assoluta precarietà, tra affitti in nero e luoghi non igienicamente adeguati ad ospitare persone.

DATI GENERALI. Diamo ora uno sguardo più generale sulla povertà. Secondo il report presentato annualmente dalla Caritas diocesana, le persone che nel 2013 si sono rivolte al Centro ascolto in via Adua, sono state complessivamente circa 1500. Tra questi il 67% sono uomini adulti tra i 25 e i 64 anni, anche se sono saliti rispetto al 2012 gli indigenti più giovani, quelli dai 19 ai 24 anni.

DATI STRANIERI. Un dato che invece non stupisce è che tra le 1500 persone incontrare al Centro ascolto Caritas l' 88% sono stranieri che provengono da ben 67 Paesi differenti, contro i 55 del 2011, segno che oggi sono aumentati i canali di afflusso per entrare in Italia.
Tuttavia due sono le principali aree del mondo da cui proviene la stragrande maggioranza di immigrati: l'area dell'Africa mediterranea e quella dell'Est Europa (Ucraina, Georgia, Romania, Moldavia). Tre le 1200 persone straniere incontrate, 538, pari al 44%, possiedono il permesso di soggiorno con un aumento di 3 punti percentuali rispetto al 2012, scendono invece i clandestini che passano da 426 a 369.

GLI ITALIANI POVERI. E gli italiani? "Gli italiani fanno più fatica a rivolgersi a noi, forse per orgoglio, forse per vergogna. L'italiano poi può contare anche su altre risorse, come l'appoggio di parenti o di altre strutture. Questo però non significa che non esista anche una grossa povertà tra chi è nato in Italia, soprattutto dopo la crisi economica.
Dai dati della Caritas si evince anche l'esistenza di una forte migrazione interna al territorio nazionale, infatti solo il 30 % delle persone conosciute è originaria di Reggio Emilia, mentre nella restante parte dei casi ci sono persone provenienti da altre parti dello Stivale come Napoli, Palermo, Crotone Salerno.

LAVORO. E se si parla di povertà ovviamente non si può non considerare la sua causa primaria: l'assenza di lavoro per tante troppe persone, immigrate sì, ma anche italiane.
Nel corso del 2013 infatti sono aumentati i disoccupati, arrivando a 927, pari all' 84% delle persone ascoltate, segno che finiti gli ammortizzatori sociali molte famiglie si sono rivolte alla Caritas per cercare di sbarcare il lunario.
Fra le persone incontrate 88 sono quelle occupate che nonostante tutto non riescono a soddisfare le proprie esigenze.
Un dato da sottolineare è quello dei 17 (tra le 1500 persone ascoltare) studenti stranieri che studiano all'università di Modena-Reggio, che si sono rivolti alla Caritas, nonostante avessero avuto accesso alle agevolazioni universitarie previste per le fasce di reddito basse.

Ma come ha cambiato la crisi economica la povertà?
"Dopo la crisi sono nate nuove sottocategorie di persone indigenti - spiega Pighini - vi faccio qualche esempio: ci sono quelli che abbiamo chiamato i 'Poveri di ritorno': si tratta di persone arrivate in Italia 10 anni fa che anche grazie al nostro supporto si sono sistemate, hanno un lavoro e una casa ma con l'arrivo della crisi hanno perso tutto nuovamente e si sono rivolti a noi per un secondo percorso di assistenza.
I 'Quasi poveri' sono quelle persone, soprattutto italiane, con le quali non avevamo quasi mai avuto a che fare, se non per dare loro un cesto alimentare giusto per arrotondare e che con la crisi hanno visto abbattuto il loro equilibrio già precario.
I 'Nuovi poveri' invece coloro che da benestanti si sono ritrovati poveri, perché hanno perso il lavoro.
Infine ci sono coloro che sono 'Usurati dai meccanismi finanziari', quelli cioè che hanno accumulato ingenti debiti spesso per ignoranza della materia economica spicciola e quindi non riescono a uscire da un circolo vizioso", conclude.

Giulia Rossi

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