La Cooperativa “La Bula” è una realtà che dal 1980 si occupa di formazione e integrazione sociale per giovani con disabilità. Un lavoro quotidiano basato sul dialogo con il territorio circostante in tutte le sue forme, sia istituzionali sia informali.
Di Chiara Marando -
Parma, 17 Maggio 2017 -
L’integrazione passa prima di tutto attraverso la relazione, l’accoglienza e l’apertura così da arrivare a condividere concretamente spazi, ambienti e sogni. Questo è il messaggio e il percorso portato avanti da più di trent’anni dalla Cooperativa “La Bula”, una realtà che dal 1980 si occupa di formazione e integrazione sociale per giovani con disabilità. Un lavoro quotidiano, un impegno costante basato sul dialogo con il territorio circostante in tutte le sue forme, sia istituzionali sia informali.
Un lavoro importante, reso possibile grazie a tutti coloro che ogni giorno si adoperano affinché chi ha più bisogno abbia il sostegno ed il supporto corretti per potersi sentire parte della società, per comunicare con gli altri e per realizzare la propria autonomia. Soci, lavoratori, familiari e volontari, sono loro il fulcro di tutta l’attività e sono loro il motore da cui partono i progetti e le diverse strade intraprese nel corso degli anni. Un modo per condividere le proprie esperienze, per crescere insieme ed interrogarsi sul benessere di chi ha più bisogno di sostegno.
Questo è “La Bula”: una rete di relazioni costruite nel tempo, anche con gli enti pubblici, così da dare risposte concrete alle necessità primarie espresse dai ragazzi con disabilità, è reciprocità e collaborazione, umanità, abbracci e sorrisi, valori condivisi, esperienza e formazione.
E proprio sul concetto di formazione e informazione, la cooperativa ha voluto puntare l’attenzione su una maggiore chiarezza in merito alle reali necessità delle persone svantaggiate, insieme alla necessità di un percorso formativo mirato per chi opera all’interno delle diverse strutture.
Tanti e variegati i laboratori e le attività organizzate, un modo per facilitare la socializzazione e per stimolare la creatività e la manualità. Il Laboratorio di falegnameria, ad esempio, realizza arredamenti originali solo utilizzando materiali di riuso e riciclo: bancali e legno di recupero che si trasformano in tavoli, panche, sedie, orti e fioriere.
Poi c’è il Laboratorio socio-occupazionale, strutturato su due livelli educativi in base ai partecipanti e coordinato da un responsabile che si occupa di pianificare servizi e progetti anche in rapporto agli Enti pubblici.
Altrettanti gli interventi particolari come “Giocambulando”, durante il quale vengono realizzati giochi ideali per i parchi dedicati ai bambini; oppure “Non più soli”, ideato con il sostegno di Fondazione Cariparma, volto a creare nuovi percorsi d’impegno per ragazzi diversamente abili.
L’aiuto, però, non è mai abbastanza, ed anche i più piccoli gesti possono fare la differenza. Acquistare i prodotti confezionati all’interno dei laboratori è un modo concreto per sostenere “La Bula” ed aiutarli a continuare il loro fondamentale cammino.
Per info
La Bula Cooperativa Sociale
Strada Quarta 23 – 43123 Parma
Tel. 0521 483393
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Tutte le foto della gallery sono di Francesca Bocchia
La macchina del tempo ha innestato la retromarcia. Disordini sociali, conflitti, lotte di classe e conflitti razziali. Il mondo, o meglio l'uomo, ha nostalgia del suo peggior passato.
di Lamberto Colla Parma, 17 luglio 2016.
Di quell'Europa unita e forte che sarebbe stata in grado di frapporsi tra i due blocchi egemoni, USA e URSS, come era nei sogni di tanti a fine del secolo, ormai non c'è più nulla.
La nuova premier britannica, Theresa May, a poche ore di distanza dall'insediamento al numero 10 di Downing Street, forse per farsi perdonare una posizione troppo defilata in campagna referendaria, ha immediatamente annunciato che l'uscita dall'Unione Europea porterà prosperità al popolo britannico e, per per rendere ancor più credibile l'affermazione, ha nominato al Ministero degli Esteri, l'ex Sindaco di Londra, quel Boris Johnson che fu il più accanito sostenitore della campagna per la Brexit.
Dalle parole ai fatti nella rincorsa a usurpare il titolo di Lady di Ferro che fu assegnato a Margareth Thatcher la quale, nell'aprile del 1982, non ci pensò due volte a mandare la flotta britannica oltre oceano a sopprime ogni velleità Argentina sulle Isole Falkland.
Paradosso dei paradossi, proprio durante il mandato presidenziale di Barack Obama, il primo presidente di colore della storia a stelle e strisce, il conflitto razziale sta tornando prepotentemente alla ribalta e gli scontri di Dallas ne sono una terribile, quanto preoccupante, segnale. Un rapido salto indietro al 1968 quando, nello stesso anno, furono assassinati Bob Kennedy e Martin Luther King nel mentre la Primavera di Praga teneva con il fiato in sospeso l'europa.
La passione per il "Vintage" sta prendendo la mano al mondo intero.
In Europa, la cavalcata russa per il controllo dell'Ucraina e la riammissione della Crimea, con spargimenti di sangue ben celati dai media di tutto il mondo, sta di fatto, ricostituendosi il "Blocco sovietico" in contrapposizione, guarda caso, alla manifesta volontà della NATO al controllo dell'europa e a marcamento diretto del potenziale militare dello Zar Putin.
Intanto prosegue la campagna di guerra per la riconquista degli antichi territori islamici (dalla Spagna all'Iraq passando per tutto il nord africa con qualche nuova velleità per Roma vaticana), lanciata dall'Isis che, a fronte delle sconfitte che sta subendo sul terreno, ha intensificato le azioni terroristiche con particolare riguardo alla Francia, al Belgio e alla Turchia (ultimo in ordine di tempo lo scorso 14 luglio a Nizza in occasione della festa nazionale della "Presa della Bastiglia").
In questo contesto, intanto a prosperare sono solo il caos e la povertà.
Conclusioni
Tra conflitti razziali, religiosi e di classe il valore entropico delle società occidentali è ormai al livello di guardia e il rischio di deflagrazione è sempre più probabile.
Non siamo attrezzati per governare un tale valore energetico e perciò rimarremo inermi in attesa dell'esplosione, dopodiché, finalmente, i sopravvissuti, potranno godere della rinascita, almeno per un ventennio.
La storia purtroppo si ripete, così come si ripetono sempre i medesimi errori.
.
Uno zuccherino consolatorio arriva da una recente ricerca che colloca gli italiani appena sotto al podio delle società più intelligenti e primi tra gli occidentali. Ma non solo, le università italiane spiccano per efficienza ma non per sovvenzioni.
di Lgc Parma 19 agosto 2015 -
Dopo anni e anni che il gradimento dell'Italia era in costante discesa e sembrava che l'italiano fosse diventato il peggior popolo del globo, dopo che l'economia del piccolo paese del mediterraneo raggiunse il sesto gradino più alto del mondo, ecco che due nuove ricerche tornano a dare merito all'italica popolazione.
I dati economici emersi nel rapporto Svimez, pur evidenziando l'atavica arretratezza del mezzogiorno e la crisi economica che opprime il Paese che diede i natali a Leonardo da Vinci e Galileo Galilei, ma anche al fisico Carlo Rubbia e alla scienziata Rita Levi di Montalcini, premio Nobel per la medicina nel 1986, e tantissimi altri illustri rappresentanti delle arti, della scienza e della letteratura, è capace di meritarsi anche primati positivi e non solo negativi.
Dal punto di vista cognitivo, infatti, giunge un prestigioso riconoscimento, per il quale l'Italia viene additata come la nazione più intelligente dell'Occidente. Lo rivela la classifica stilata dallo psicologo inglese Jelte Wicherts, che ci colloca al quarto posto nel mondo – preceduti soltanto da Giappone, Sud Corea, e Singapore al primo posto.
I risultati dei test di massa del quoziente intellettivo utilizzati in 113 Paesi colloca invece la Germania all'ottavo posto, seguita dalla Francia, che divide la nona piazza con gli Stati Uniti d'America.
L'ingegno sembra l'abbia applicato ad hoc anche il ricercatore italiano Giuseppe De Nicolao il quale ha voluto dimostrare come, pur nella esiguità delle risorse, il sistema accademico nazionale sia in grado di massimizzare i risultati. Il cattedrattico ha così inventato la classifica "dell'efficienza delle università" ponendo in relazione i risultati con la spesa. A guidare la classifica pubblicata dalla rivista Roars è pertanto la Scuola normale di Pisa, seguita dall'Università di Ferrara, Trieste e Milano Bicocca. Sorprende invece che nelle prime dieci posizioni le straniere a comparire sono solo Cambridge e Priceton.
La sfida infernale è lanciata e adesso con questo bagaglio di intelligenza e sana pazzia ma anche di efficienza, l'Italia è pronta a risalire la china per ricollocarsi sul tetto del mondo.
L'identità dei Numeri: sguardo sulla povertà reggiana. Dagli avvocati di strada alla Caritas.
Reggio Emilia 21 agosto 2014 --
Piazza Prampolini numero 1, Reggio Emilia: un elegante salottino rettangolare con un pavimento di ciottoli, sul quale sono state adagiate poltrone di vimini e tavolini in vetro da un noto bar del centro; il Municipio con la sua semplice bellezza; la chiesa del Duomo di Reggio con la sua Madonnina in oro giallo in cima alla cupola che veglia sui passanti. Una fontana, qualche piccione, una banca.
Almeno nella teoria è questa la "casa" a cielo aperto in cui abitano i senzatetto di Reggio, ai quali l'associazione Avvocati di strada Onlus ha conferito, in accordo con l'Anagrafe, il diritto di avere registrata sulla Carta d'identità una via seppur fittizia in cui risiedere.
Come abbiamo visto nei pezzi precedenti di questo focus sulla povertà a Reggio Emilia, l'ottenimento della residenza comporta l'accesso automatico a una serie di servizi correlati come la possibilità di avere un medico di base, quella di iscriversi alle agenzie interinali, l'accesso al voto, quello al gratuito patrocinio e così via.
Nello scrivere questo quarto pezzo della nostra inchiesta sulla povertà e l'immigrazione a Reggio ci siamo però chiesti dove risiedano davvero gli homeless della nostra città, dove trascorrano la notte, chi siano, come vivano, da chi sono aiutati.
A fornirci un quadro approfondito al riguardo dall'alto della sua prospettiva "privilegiata" è stato Alberto Pighini, operatore del Centro per l'ascolto delle povertà della Caritas reggiana.
L'AIUTO DELLA CARITAS AI POVERI. "Negli anni - spiega Pighini - il Centro ascolto Caritas, quello centrale in via Adua, come la quarantina di sedi periferiche distribuite su tutta la Diocesi, è diventata un punto di riferimento per tutti coloro che hanno bisogno di aiuto: un pasto in mensa, un indumento, un posto letto, una visita gratuita in ambulatorio, un consiglio. Ogni realtà vede la sua peculiarità e incontra le sue etnie. Se nella Bassa ci sono tanti indiani, sulla montagne abbiamo una corposa presenza di albanesi. Noi della sede centrale spesso abbiamo a che fare con stranieri provenienti dal Maghreb, soprattutto clandestini di passaggio che arrivano dalla stazione qui a fianco", afferma.
"La Caritas - prosegue l'operatore - non ha filtri in entrata: noi accogliamo chiunque. Apriamo lo sportello tutti i giorni e chi vuole entrare in quanto bisognoso, può farlo. Certo, facciamo quel che la legge italiana ci consente di fare: mentre per gli irregolari garantiamo la tutela della persona, offrendo i servizi di prima necessità, per gli Italiani e per coloro che sono in possesso del permesso di soggiorno cerchiamo di intraprendere assieme dei percorsi volti alla riqualificazione della loro vita e ci attiviamo per aiutare queste persone a trovare un lavoro. Tuttavia, la logica che sta dietro al Centro ascolto è un'ottica progettuale: noi offriamo loro servizi a tempo e iniziamo, in collaborazione con i Servizi Sociali, un progetto per aiutarle a migliorare la loro vita; poi però verifichiamo se in quei due o tre mesi in cui anno usufruito della nostra mensa o del dormitorio, anche dall'altra parte viene dimostrata la volontà di andare avanti e di migliorare. Talvolta si arriva a fare percorsi davvero belli con qualcuno con il quale si riesce a lavorare ad esempio sul tema dell'alcool o sul riavvicinamento alla sua famiglia. Per noi i servizi offerti sono soprattutto funzionali a creare degli agganci: tu vieni per la mensa io cerco di conoscerti, di aiutarti, di instaurare con te una relazione di fiducia. Creare questo tipo di rapporto però non è facile.
Vi faccio un esempio: molti senzatetto a Reggio trascorrono la notte nei capannoni dismessi alle Ex Reggiane, in case abbandonate, sulle panchine della zona stazione. Alcuni li conosciamo, don Davide Poletti a volte fa il giro della stazione per vedere quanti sono i senza fissa dimora che dormono lì. Noi proviamo a rintracciarli per offrire loro almeno un dormitorio. Ma esiste una buona fetta di queste persone per le quali il nostro dormitorio, in cui abbiamo stabilito semplici regole di comune convivenza, come il coprifuoco alle 22.30 o il fatto di non poter rientrare ubriachi, non è appetibile.
Basti pensare che il nostro alloggio che tiene 12 letti oggi è semi vuoto. Certo, molti fanno domanda in inverno, ma c'è anche chi, con l'arrivo del freddo, viene da noi a chiedere solo i sacchi a pelo per poter continuare a stare nel giaciglio di fortuna che si è creato in qualche casa diroccata con qualche amico fidato, nessuna regola da rispettare e una totale autonomia. Tra loro ci sono persone che hanno dei problemi mentali di un certo tipo che non li portano a sentire la spinta di riqualificare la propria vita.
Al contrario, si rivolgono a noi persone che sono state sfrattate da casa poiché non riescono a pagare l'affitto, perché sono vittime di dipendenze, o perché stanno divorziando e hanno figli a cui devono passare gli alimenti e non riescono a rientrare nelle spese. La loro quindi non è più solo una richiesta di un posto letto. Quello che facciamo è farci carico dei loro problemi che hanno portato a quello sfratto", spiega l'operatore.
DATI SENZATETTO. Ma che si rivolgano o meno alla Caritas, resta comunque alto il numero di persone senza un tetto: 399. Dato in crescita rispetto al 2012. Coloro che sempre nel 2013 hanno dichiarato di avere un alloggio erano 1049, tra questi vi è una grossa fetta di persone che pur avendo un tetto sotto cui riparasi si trovano in una condizione di assoluta precarietà, tra affitti in nero e luoghi non igienicamente adeguati ad ospitare persone.
DATI GENERALI. Diamo ora uno sguardo più generale sulla povertà. Secondo il report presentato annualmente dalla Caritas diocesana, le persone che nel 2013 si sono rivolte al Centro ascolto in via Adua, sono state complessivamente circa 1500. Tra questi il 67% sono uomini adulti tra i 25 e i 64 anni, anche se sono saliti rispetto al 2012 gli indigenti più giovani, quelli dai 19 ai 24 anni.
DATI STRANIERI. Un dato che invece non stupisce è che tra le 1500 persone incontrare al Centro ascolto Caritas l' 88% sono stranieri che provengono da ben 67 Paesi differenti, contro i 55 del 2011, segno che oggi sono aumentati i canali di afflusso per entrare in Italia.
Tuttavia due sono le principali aree del mondo da cui proviene la stragrande maggioranza di immigrati: l'area dell'Africa mediterranea e quella dell'Est Europa (Ucraina, Georgia, Romania, Moldavia). Tre le 1200 persone straniere incontrate, 538, pari al 44%, possiedono il permesso di soggiorno con un aumento di 3 punti percentuali rispetto al 2012, scendono invece i clandestini che passano da 426 a 369.
GLI ITALIANI POVERI. E gli italiani? "Gli italiani fanno più fatica a rivolgersi a noi, forse per orgoglio, forse per vergogna. L'italiano poi può contare anche su altre risorse, come l'appoggio di parenti o di altre strutture. Questo però non significa che non esista anche una grossa povertà tra chi è nato in Italia, soprattutto dopo la crisi economica.
Dai dati della Caritas si evince anche l'esistenza di una forte migrazione interna al territorio nazionale, infatti solo il 30 % delle persone conosciute è originaria di Reggio Emilia, mentre nella restante parte dei casi ci sono persone provenienti da altre parti dello Stivale come Napoli, Palermo, Crotone Salerno.
LAVORO. E se si parla di povertà ovviamente non si può non considerare la sua causa primaria: l'assenza di lavoro per tante troppe persone, immigrate sì, ma anche italiane.
Nel corso del 2013 infatti sono aumentati i disoccupati, arrivando a 927, pari all' 84% delle persone ascoltate, segno che finiti gli ammortizzatori sociali molte famiglie si sono rivolte alla Caritas per cercare di sbarcare il lunario.
Fra le persone incontrate 88 sono quelle occupate che nonostante tutto non riescono a soddisfare le proprie esigenze.
Un dato da sottolineare è quello dei 17 (tra le 1500 persone ascoltare) studenti stranieri che studiano all'università di Modena-Reggio, che si sono rivolti alla Caritas, nonostante avessero avuto accesso alle agevolazioni universitarie previste per le fasce di reddito basse.
Ma come ha cambiato la crisi economica la povertà?
"Dopo la crisi sono nate nuove sottocategorie di persone indigenti - spiega Pighini - vi faccio qualche esempio: ci sono quelli che abbiamo chiamato i 'Poveri di ritorno': si tratta di persone arrivate in Italia 10 anni fa che anche grazie al nostro supporto si sono sistemate, hanno un lavoro e una casa ma con l'arrivo della crisi hanno perso tutto nuovamente e si sono rivolti a noi per un secondo percorso di assistenza.
I 'Quasi poveri' sono quelle persone, soprattutto italiane, con le quali non avevamo quasi mai avuto a che fare, se non per dare loro un cesto alimentare giusto per arrotondare e che con la crisi hanno visto abbattuto il loro equilibrio già precario.
I 'Nuovi poveri' invece coloro che da benestanti si sono ritrovati poveri, perché hanno perso il lavoro.
Infine ci sono coloro che sono 'Usurati dai meccanismi finanziari', quelli cioè che hanno accumulato ingenti debiti spesso per ignoranza della materia economica spicciola e quindi non riescono a uscire da un circolo vizioso", conclude.
Giulia Rossi
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