da L'Equilibrista @lequilibrista27 - Parma, 07-04-2021. Si avvicina la data della proposta di riforma della Politica Agricola Comune, spostata al 1 Gennaio 2023 e che dopo due anni di transizione Il Parlamento Europeo si trova sul tavolo per decretarne la riconferma o sancirne un netto cambio di direzione.
Per Giampietro Comolli, presidente Ceo Ovse-Ceves è importante essere innovativi e l’impegno a livello comunitario deve essere riposto in progetti lungimiranti che elevino il livello della viticoltura e che la comprendano in una visione più ampia, non solo economica ma anche sociale.
Ne abbiamo parlato con Annamaria, alias Tannina @tannina.it, blogger e winelover che ha creato anche un suo blog personale www.tannina.it nel quale affronta anche politiche economiche e sociali e che per l’occasione, ha intervistato per noi proprio il professor Comolli per carpirne alcune riflessioni.
Eccoci al primo dei temi da affrontare, ovvero la Politica Agricola Comune per la tornata 2023-2027 ormai alle porte. Si abbassa la cifra a disposizione per l’agricoltura, che ne pensa di questa situazione?
Si, per la prima volta in 60 anni di politica agraria comunitaria, i fondi a disposizione scenderanno nei prossimi anni. Una disponibilità per l’agricoltura europea di 38,9 miliardi di euro, che si traduce in un decremento netto del 3,4%.
Come affrontare questa minore disponibilità secondo Lei Professore?
Si impone necessariamente un cambio di passo, una scelta più mirata per le quali risultano diverse le misure che dovranno essere calibrate, soprattutto in sintonia con gli indirizzi di “sostenibilità” messi in campo dalla Commissione Von der Leyen, dapprima accantonate in vista di austerity e patti di stabilità ed ora da riprendere e riconsiderare.
Recovery Fund, PAC e OCM devono essere tutti programmati e pianificati nell’ottica di una visione più “greening” ma soprattutto più attenta ai cambiamenti in atto su tutte le filiere agrarie, dalla produzione al consumo, da monte a valle.
Cosa pensa si renderà necessario, secondo lei prof. Comolli, per gestire e superare questi ostacoli?
Una visione europea di lungo periodo. Come gruppo di agronomi ed economisti europei, chiediamo integrazione ed aggregazione reale di modelli progettuali con visione univoca, gestiti in modo unitario e mai più suddivisi per piccoli rivoli.
Appare evidente a tutti i tecnici, auspicando sia la stessa visione anche dell’attuale classe dirigente e politica, che si renderà necessario progettare misure ed azioni aventi un unico denominatore comune. Ambiente, clima, sostenibilità, resilienza, gestione degli sprechi, riuso, produttività, minor inquinamento, energie alternative, minor concimi e presidi chimici, filiere integrate alla coesione sociale e territoriale solo per citarne alcune. Tutte queste funzioni, hanno per loro natura tecnica, applicazioni diverse fra agricoltura estensiva e agricoltura intensiva e sarà un aspetto da considerare.
Come si pone l’Italia in questo scenario?
A mio avviso l’Italia deve essere il primo paese UE a portare l’attenzione sull’importanza di questa progettualità, deve però essere in grado di “andare a prendere” questi fondi. La viticoltura è forse il primo comparto in cui l’integrazione dei diversi fattori produttivi e il modello di agricoltura a monte e a valle è più forte ed evidente.
In Commissione UE nulla è ancora deciso. Ma lavoriamo tutti per questo obiettivo.
Su quale tema?
Quello dell’“impiantistica” dei vigneti ad esempio: quanto grande e con quali dotazioni tecniche sarà il vigneto Europa?
L’Italia, primo paese produttore di vino, vedrebbe di buon occhio e di buon auspicio, a partire dall’anno 2031, un innalzamento del limite annuo esistente degli impianti viticoli destinati alle denominazioni di origine. Questo in riferimento soprattutto al potenziale di crescita delle superfici vitate nazionali.
L’idea della Commissione sarebbe di confermare il blocco all’1% fino al 2045 ma Spagna e Francia, ad esempio, sono totalmente contrarie a innalzare il limite annuo.
Blindare per 25 anni all’1% questa propensione però, si potrebbe scontrare con la voglia di liberalizzazione di molti produttori viticoli che vorrebbero incrementare le superfici aziendali e con l’idea di rinnovamento tecnico varietale ed impiantistico di diversi imprenditori rispetto a molte vigne docg-doc-igt.
E’ evidente che il regime di autorizzazioni di lungo periodo limitato all’1% annuo (6800 ettari su 680000 esistenti) rappresenta una garanzia alla gestione di mercati nazionali e mondiali, ma forse non è sufficiente perché servirebbe maggiore attenzione alle necessità del singolo Paese al fine di assicurarne controllo e gestione.
(Tannina @tannina.it)
Quale argomentazione potrebbe sensibilizzare la PAC per questa finalità?
La riflessione sul cambio climatico è necessaria e va fatta prima possibile.
C’è urgenza anche sul tema relativo all’importanza del suolo agroambientale, agli aspetti fitosanitari e di difesa dell’ambiente anche attraverso scelte ampelografiche oltre che geografiche.
Serve rivedere la politica delle filiere produttive agricole in ottica di coesione sociale, civile, geopolitica, morfogeografica e nell’ambito multifunzionale.
Le nuove autorizzazioni superiori all’1% devono rientrare almeno in una programmazione e pianificazione inter-regionale (se non nazionale) fra tutte le DO-IG del vino esistenti, ma in un’ottica ambientale-climatico-territoriale-ampelografico più che di convenienza economica e imprenditoriale.
Non propongo una gestione dall’alto, ma sarebbe un altro tassello nazionale se si cogliesse l’occasione attuale per vedere un nuovo #vignetoitalia partecipe di quel piano nazionale di ripresa e resilienza proprio in quelle aree interne collinari e montane particolarmente vocate per impiantare e/o gestire e/o sostenere #vignenewgeneration.
Cosa può fare la PAC?
La nuova Pac può essere un mezzo di adeguamento calmierante e di autorizzazioni esclusive nel momento in cui l’impiantistica della vigna rientri dentro un contesto tecnico-certificativo di più ampio valore anche non vitivinicolo. Il modello docg-doc-igt se incrementato occasionalmente anche per fini più alti rispetto alla sola produzione può essere utile e va preso in considerazione. Ci sono vigne di 25-30 anni di età ormai stressate a causa dei cambi climatici. Potrebbero trovare nuove location a maggiore vocazione, magari posizionate in zone altimetriche più alte, oppure riconvertire terreni ed aree interne difficili, orientandole al concetto di un green deal moderno.
Oltre a sfruttare diritti già in portafoglio, l’Italia ha già diverse centinaia di ettari a disposizione e per questo deve operare una pianificazione puntuale per orientare i suoi sforzi a livello nazionale ed unitario.
Limitare vigneti DO è una questione secondaria, come lo sono le vecchie normative, perché quando c’è bisogno di una scossa per la ricerca di un rinascimento collettivo, servono riforme anche in viticoltura.
Penso “alla vita” del #vignetoitalia attraverso cambi generazionali, nuove imprese di giovani viticoltori, impegnati a curare e preservare le vigne in aree svantaggiate per dare un contributo a un nuovo modello di uso e gestione dei fitosanitari naturali in ambienti dove arginare l’abbandono, per ricreare occupazione, al fine di fondare nuove imprese, riportare famiglie una garanzia sociale, collettiva e produttiva di eccellenze DO-IG.
da L’Equilibrista @lequilibrista27
Tannina @tannina.it www.tannina.it