Di Coopservice 18 Marzo 2021
Il re minorenne del Bhutan e Robert Kennedy: com’è nato l’International Day of Happiness
Tutto è iniziato nei primi anni ‘70 quando un sovrano di appena 17 anni di un piccolo Stato alle pendici dell’Himalaya si propose di rovesciare le convenzioni dell’economia sostituendo, nelle misurazioni del grado di progresso e sviluppo del proprio Paese, il Prodotto interno lordo con il concetto di Felicità interna lorda (Gross national happiness – Gnh).
In realtà il re ragazzo del Bhutan aveva avuto un illustre predecessore, che non ebbe però il tempo di passare dalle declamazioni alle concrete attuazioni: nel marzo 1968, all’Università del Kansas, tre mesi prima di essere assassinato, Robert Kennedy pronunciò il famoso discorso in cui affermava la necessità di andare “beyond Gdp”, oltre il Pil, nella rilevazione del benessere collettivo perché il Prodotto interno lordo (Gross Domestic Product – Gdp) “misura tutto, fuorché quello che ci rende orgogliosi di essere americani”.
Sta di fatto che 44 anni dopo, proprio su proposta del piccolo regno del Bhutan, l’Onu ha votato una Risoluzione che riconosce come “la ricerca della felicità sia uno scopo fondamentale dell’umanità” decidendo di proclamare la giornata del 20 marzo quale International Day of Happiness.
Con l’Agenda 2030 alla ricerca del benessere e della felicità planetaria
Nella ovvia consapevolezza che la ricerca della felicità terrena è prerogativa essenzialmente individuale (sarebbe troppo facile essere felici per decreto), con la Risoluzione 66/281 del 12 luglio 2012, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riconosce l’happiness e il benessere quali diritti universali nella vita degli esseri umani e sancisce l’importanza della loro considerazione nella definizione degli obiettivi delle politiche pubbliche degli Stati, così come nella valutazione delle stesse.
In particolare, afferma la necessità di un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile e l’eliminazione della povertà e delle diseguaglianze.
Affermazioni di principio che troveranno poi attuazione, tre anni più tardi, nel varo dell’Agenda 2030 con cui tutti i 193 Paesi aderenti si sono impegnati a costruire un futuro migliore in quanto sostenibile: i suoi 17 Sustainable development goals (Sdg)cercano infatti di porre fine alla povertà, ridurre le diseguaglianze e proteggere il nostro Pianeta – individuandoli quali aspetti chiave che possono condurre al benessere e alla felicità tutti i popoli della Terra.
Il benessere collettivo non è misurabile solo con la crescita economica
Dunque di fatto la celebrazione della Giornata mondiale della Felicità mette in discussione la tirannide dell’impronta esclusivamente economicistica del Pil nella misurazione del benessere di una collettività nazionale, convenendo che non è sufficiente riferirsi (secondo la classica definizione del Prodotto nazionale) al ‘valore aggregato di tutti i beni e i servizi finali prodotti sul territorio di un Paese in un dato periodo temporale’.
Il well-being è infatti una dimensione complessa che il Prodotto interno lordo, quale standard globalmente accettato per misurare l’andamento delle economie, non riesce compiutamente a valutare. D’altra parte se è vero che la ricerca della felicità è soprattutto un percorso individuale, è altrettanto indubbio che le politiche pubbliche dei governi possono fornire un grande contributo per mettere i cittadini sulla buona strada.
Raggiungendo obiettivi sostenibili di benessere collettivo in particolare in ambito sociale, economico e ambientale, si determinano infatti condizioni di soddisfazione delle esigenze fondamentali di qualità della vita da cui ciascuno può estrarre la propria maggiore o minore felicità, a seconda delle attitudini e delle vicende personali.
Gli indici della felicità e del benessere planetari: il World Happiness Report
Come misurare allora la felicità collettiva? È pressoché caduta la speranza di un indicatore unico da contrapporre al Pil così da quantificare tutti gli aspetti del benessere. Però sono stati nel tempo affinati diversi indici di valutazione: il World Happiness Report, il Better Life Index dell’Ocse, il Benessere equo e sostenibile italiano (BES).
A partire dall’introduzione dell’International Day of Happiness le Nazioni Unite producono annualmente (con pubblicazione il 20 marzo) il World Happiness Report, con il quale sostanzialmente si raccolgono 2 tipologie di dati per ogni nazione.
La prima è il grado di felicità personale da 0 a 10 espresso attraverso interviste a campioni di cittadini utilizzando la consolidata metodologia del Gallup world poll.
L’altra prevede la valutazione di un determinato panel di indicatori sociali, economici e ambientali: oltre al Pil pro capite, l’aspettativa di vita, il sostegno sociale, la fiducia negli altri e nelle istituzioni, il grado di corruzione, lo stato dell’ambiente naturale, la libertà percepita sulle scelte di vita personali, la generosità.
Secondo tali indicatori nel Report 2020 la top-5 dei Paesi più felici del mondo vede ancora una volta sul podio i Paesi del Nord Europa: nell’ordine Finlandia, Danimarca, Svizzera, Islanda, Norvegia.
(Tab 1)
Ranking mondiale della felicità 2017-2019, allegato al World Happiness Report 2020
L’indice di benessere dell’Ocse e… quello italiano
Il Better Life Index dell’Ocse e il BES italiano (che rimane una delle esperienze più avanzate in materia e che dal 2016 rientra nel processo di programmazione economica nazionale quale allegato al ‘Documento di Economia e Finanza’) sono invece in buona parte sovrapponibili.
Del resto si può affermare che all’umanità planetaria interessano, ad ogni latitudine, fondamentalmente le stesse cose.
Se paragoniamo gli 11 campi del Better life index e i 12 del BES vediamo infatti che sostanzialmente coincidono: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione tempi di vita, benessere economico, ambiente, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo.
Insomma se Robert Kennedy potesse valutare oggi il percorso fatto nel superamento dell’onnipotenza del Pil è probabile che potrebbe ritrovare elementi di positività, almeno per quanto riguarda il lavoro tecnico. E sicuramente anche Jigme Singye Wangchuck, il giovane re del Bhutan che nel frattempo ha abdicato a favore del figlio, avrà avuto qualche motivo di soddisfazione.
L’attenzione delle imprese all’happiness dei dipendenti: il progetto Benessere di Coopservice
La Risoluzione 66/281 invita alla mobilitazione e all’attivazione a favore dell’happiness non solo le istituzioni planetarie ma anche l’intera società civile e il mondo economico.
Un appello quanto mai accorato in tempi di pandemia e le parole d’ordine che, coniate nel 2020, che ancora campeggiano nella home del sito ufficiale dell’Happiness Day servono da ammonimento: “Keep Calm. Stay wise. Be kind. Ci sono molte cose al di fuori del nostro controllo. Cerchiamo di restare in contatto e di aiutarci a vicenda, anche quando siamo costretti a separarci”.
Del resto da tempo le aziende hanno scoperto il valore dell’happiness nelle strategie gestionali e non possono più ignorare il forte legame che esiste tra benessere, motivazione, soddisfazione e produttività.
Con questa consapevolezza le imprese investono sempre più risorse per migliorare il benessere organizzativo e per controllare i fattori che lo influenzano, progettando azioni per la riduzione dello stress, la gestione della paura del cambiamento, l’aumento della motivazione, la qualità delle relazioni, lo sviluppo di emozioni positive.
Generando in tal modo ambienti di lavoro permeati da atteggiamenti condivisi di ascolto, fiducia e reciprocità. Idee alla base del progetto di Coopservice “Benessere, diversità e inclusione: teoria e pratica del ben-essere” che, sospeso all’apparire dell’emergenza sanitaria, prevede un percorso che si snoda tra formazione teorica e lezioni esperienziali, con l’obiettivo di migliorare la relazione con se stessi e con gli altri, ma che offre anche momenti di pratica fisica e di riflessione su uno stile di vita sano.
Un ricco e variegato programma di iniziative con l’alternarsi di lezioni in aula, role-play e leggere attività in palestra o all’aperto. Un progetto che per ragioni organizzative, appena sarà ovviamente praticabile, partirà dalla sede centrale di Reggio Emilia, con il proposito però di riuscire ad estenderlo successivamente anche agli altri territori nei quali Coopservice opera.
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