Sabato, 07 Novembre 2020 14:25

Nazione Futura incontra ASCOM: “imprese e commercianti a forte rischio” In evidenza

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Nel maggio scorso, Confcommercio -con il suo Ufficio Studi- mise in guardia sulle reali difficoltà che avrebbero incontrato imprese e commercianti, lanciando un drammatico appello alle autorità governative: senza una piena riapertura in autunno le imprese a rischio sarebbero state circa 270.000, con annessi posti di lavoro.

Oggi, in pieno autunno e con la seconda ondata di coronavirus che sta travolgendo il nostro paese, le condizioni auspicate da Confcommercio per salvare le aziende non possono per ovvie ragioni realizzarsi e il rischio chiusura si fa sempre più alto.

Parma 6 novembre 2020 - Il governo non sembra ancora avere compreso la realtà che sta vivendo il mondo produttivo e con molta franchezza imprese, partite IVA e lavoratori del privato non figurano certo tra i primi posti nell’agenda di Palazzo Chigi. I più ricorderanno la serie infinita di eventi grotteschi che hanno dovuto subire queste categorie: il blocco del sito dell’INPS, i ritardi della cassa integrazione, i prestiti bancari difficoltosi e gli esigui 6 mld a fondo perduto (su 100 totali previsti dal “decreto rilancio”). Facciamo notare come in Inghilterra sia stato garantito l’80% del fatturato alle imprese, in Germania il 70/75% mentre in Italia solamente il 20% della differenza tra aprile 2019 e aprile 2020…

C’è, inoltre, una parte del paese formata dai dipendenti pubblici, che rispettiamo profondamente, più protetta e garantita dal momento che pochi giorni fa, il 27 del mese, ha ricevuto lo stipendio. Ebbene, abbiamo l’impressione che gli addetti ai lavori siano quasi più preoccupati di questa categoria e delle modifiche agli orari per incrementare le ore di smart-working piuttosto che alle reali difficoltà delle categorie produttive succitate. A questo proposito, considerato che le tasse vengono pagate per ottenere in cambio dei servizi dallo Stato, in linea con Ascom riteniamo lo smart-working nella PA una soluzione che al momento non è certo efficiente, con l’inevitabile ridimensionamento dell’offerta da parte degli uffici pubblici, paralizzati nei loro procedimenti dalla carenza di impiegati fisicamente presenti per soddisfare le richieste dei cittadini: molto banalmente il ritiro di documenti cartacei o le mancate concessioni di permessi edilizi.

Durante l’incontro che abbiamo avuto con i vertici di Ascom nella mattinata di venerdì è emerso, tra le altre cose, proprio il tema dell’efficienza del settore pubblico ma soprattutto, confermando l’allarme di Confcommercio, il rischio chiusura di 2.800 imprese del terziario (con relativi 10.000 occupati ca.) sul territorio della provincia di Parma.

Siamo un circolo giovane e appena nato, tra i nostri obiettivi comunicativi non vi sono certo i luoghi comuni sull’immigrazione o le critiche indiscriminate (spesso non accompagnate da proposte alternative). È chiaro che, volendoci fare portatori delle istanze delle categorie produttive, bisognasse avere un quadro più generale e allo stesso tempo dettagliato sulla situazione dell’intera provincia; a questo proposito, con la consultazione dei preziosi dossier sul terziario provinciale e su Parma città che ci ha fornito Ascom e sulla base della discussione che abbiamo intavolato, vorremmo concentrare le nostre considerazioni su due diverse chiavi di lettura.

In primo luogo, ricollegandoci alle difficoltà delle piccole-medie imprese, già esistenti nel periodo precedente all’epidemia, sottolineiamo il problema della Grande Distribuzione Organizzata: con una spinta sempre più direzionata alla costruzione di giganteschi centri commerciali (quasi 10.000 unità in più negli ultimi anni) si è assistito ad un forte declino dei negozi al dettaglio in sede fissa. Pur giocando un ruolo indubbiamente da protagonista, la GDO in Italia non è ancora in una posizione egemonica rispetto ai minimercati, tuttavia dobbiamo far notare quanto sia stata sbagliata e controproducente questa tendenza dei grandi magazzini.

La nostra città fornisce un esempio lampante che permette di ampliare il discorso all’intero paese: con una proliferazione incontrollata di ipermercati e centri commerciali si è arrivati ad un’offerta di mercato che supera vistosamente la domanda. Basti pensare alle tante “cattedrali nel deserto” di casa nostra (San Prospero e Parma Retail i casi più eclatanti) per avere un riscontro concreto di quanto appena detto. Inoltre, vi è anche l’esempio della Francia (dovuta frettolosamente ritornare sui propri passi una volta appurati i disastrosi effetti sul commercio al dettaglio) che costituisce un monito all’eccessiva diffusione della GDO.

In secondo luogo, vi è il tema del commercio online, che ha fortemente predominato durante i mesi di confinamento. Escludendo sin da subito una nostra posizione avversa all’e-commerce, che al giorno d’oggi sarebbe quanto meno anacronistica, evidenziamo come anche questa tendenza possa costituire un problema per le piccole e medie imprese del territorio.

Il mercato è profondamente cambiato e con Ascom abbiamo convenuto che la soluzione non potrà certo essere una guerra tra la fazione del commercio online e quella del commercio tradizionale. La sfida per il futuro sarà, invece, quella di saper integrare le due realtà. Non casualmente, i colossi dell’e-commerce stanno aprendo punti vendita fisici e ciò dimostra che il negozio al dettaglio non scomparirà mai definitivamente.

Per quanto riguarda il nostro territorio, caratterizzato storicamente da piccoli negozi, l’obiettivo per questi ultimi sarà quello di essere sempre aggiornati con innovazione e investimenti, facendo comunque valere l’appartenenza concreta ad una comunità per poter far fronte all’era di internet.

È ormai appurato che Parma non fa eccezione in questa complicata fase. Altrettanto chiara appare, come preannunciato nella parte iniziale, la sconnessione dalla realtà del mondo produttivo da parte del governo; dopo l’ultimo decreto, contenente disposizioni per altre chiusure generalizzate, il primo ministro, nella sua consueta conferenza stampa, ha messo in mostra ancora una volta la sua grande specialità quando si parla degli aiuti alle categorie colpite, il gerundio: “stiamo lavorando”, “stiamo prevedendo”, nessuna traccia di provvedimenti concreti già attivi. Così non è la maniera giusta per salvare dal fallimento centinaia di migliaia di imprese, la solidarietà della maggioranza non basta e se le cifre ancora sul tavolo del “decreto ristori” (dizione molto elegante, i più realisti hanno già capito si trasformerà in “decreto elemosina”), che oscillano attorno a 6mld -€4000/€5000 ca. a testa per ciascuna azienda in difficoltà-, verranno confermate queste dichiarazioni di vicinanza e di comprensione non sono più credibili.

Lorenzo Bertolazzi – Coordinamento Nazione Futura

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