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Venerdì, 22 Aprile 2016 13:50

Vellutata di Zucca

Con l'arrivo di un lungo weekend, FLASHON MAG desidera dare il "benvenuto" ad una "new entry": Ilaria Bertinelli.
Ilaria, nota imprenditrice e mamma tuttosprint, è riuscita con la sua energia e caparbietà a trasformare una problematica di salute della sua piccola Gaia in un nuovo stile di vita pieno di amore e cose buonissime. Da oggi le ricette di Ilaria sapranno rendere buoni e appetitosi tutti i piatti senza privazioni, ma con un piccolo e semplice aiuto!

Di Ilaria Bertinelli

La stagione delle zucche volge al termine, quindi vale la pena sfruttare le ultime occasioni di gustarsele in una delle versione che non mi delude mai, la vellutata.

vellutata di zucca ricetta crostini glten free 1

Dopo una lunga giornata di lavoro, anche se la temperatura sta gradatamente aumentando, gustarsi il dolce sapore della zucca abbinato alla nota caramellata delle cipolle cotte al forno, sicuramente ci aiuta a trovare un'oasi di pace e di piacere. Questa ricetta è perfetta anche per i più piccoli della famiglia che non si lamenteranno per un piatto di verdura che conquista anche solo con il colore. Questa ricetta è naturalmente senza glutine, quindi l'unica variante per chi non potesse permettersi il glutine saranno i crostini contraddistinti da un doppio asterisco **
5,3 g CHO per 100 g senza crostini

INGREDIENTI per 4 Persone
570 g acqua
350 g zucca gialla
160 g patata
150 g cipolla
30 g olio extra vergine di oliva
q.b. sale e pepe
q.b. crostini**

ricetta vellutata di zucca cipolle

PREPARAZIONE
Tagliare la zucca e la cipolla in pezzi di circa 3 cm di lato.
Ricoprire una teglia con carta forno e adagiarvi sopra la zucca e la cipolla; preriscaldare il forno ventilato a 160°C e cuocere le verdure per 30 minuti.
Tagliare la patata a pezzi piccoli e farla saltare in un tegame con 2 cucchiai di olio di oliva per circa 4 minuti, aggiungere le verdure cotte al forno, l'acqua, aggiustare di sale, mettere il coperchio al tegame e lasciare cuocere per 15 minuti.
Con un frullatore a immersione, frullare la minestra di verdura in modo da ottenere una crema e servirla con un filo d'olio per ogni piatto, una macinata di pepe e crostini a piacere.

CREDITS photo: unadonna.it – giallozafferano.it – chiccacook.it – donnad.it –salepepe.it – arnaldagourmet.com – it.wikihow.com – lacucinaitaliana.it – greenpink.org – gds.it

Pubblicato in Cultura Emilia

Appena fuori Reggio Emilia, immerso nella campagna, sorge il ristorante “Amici del Rifugio Crucolo” un angolo dal sapore altoatesino che si caratterizza per il suo gemellaggio con una struttura omonima valdostana e la particolarità del menù a base di piatti trentini.

Di Chiara Marando -

Sabato 16 Aprile 2016 -

Inutile negarlo, una delle più grandi soddisfazioni quando si trascorre un po' di tempo sulle splendide montagne del Trentino è quella di concludere la giornata, o una bella escursione, con un gustoso piatto tipico. Chi non può farne a meno lo sa bene, impossibile resistere a canederli, crauti e stinco.

E se vi dicessi che non bisogna necessariamente aspettare una vacanza tra i monti per godersi i sapori altoatesini?

Già, perché in provincia di Reggio Emilia esiste un locale che ripropone non solo un menù di specialità montanare, ma anche un ambiente squisitamente rustico stile rifugio: Amici del Rifugio Crucolo. La sua storia inizia da una sinergia vincente, quella tra due famiglie unite da un'amicizia lunga 25 anni e dalla passione per le cose buone. Loro sono i Purin della Valsugana, che gestiscono il Rifugio Crucolo, ed i Guglielmi di Reggio Emilia, che 15 anni fa hanno aperto il loro ristorante in terra emiliana.

L'idea da cui tutto parte è la volontà di far sentire il cliente come a casa, avvolto da un'atmosfera rilassante che richiama in tutto e per tutto quella trentina-altoatesina, con deliziosi arredi in legno, la classica Stube in maiolica, ma anche i costumi tradizionali indossati da chi serve al tavolo. La cucina è il regno di Deanna che si destreggia ai fornelli insieme al figlio Tiziano, mentre in sala ci sono papà Maurizio e l'altro figlio Marcello.

amici del rifugio crucolo

La verità è che si rimane subito colpiti non solo dalla location, che profuma di bosco, camino e spensieratezza, ma anche e soprattutto dalle deliziose portate che vengono proposte.

amici del rifugio crucolo 3-horz

Spazierete da antipasti stuzzicanti che apriranno la strada a primi corposi come i Canederli su un letto di formaggio delicato, le pappardelle con ragù di selvaggina e gli impronunciabili Sclutzkrafen, per poi continuare con il trionfo della carne: Stinco di maiale con patate, Costolette di agnello oppure Medaglioni di Cervo.

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Ovviamente, per concludere il pasto, non possono mancare lo Strudel – il consiglio è di assaggiarlo perché preparato con una morbida pasta frolla ed un ripieno generoso e profumato – e la Sacher Torte.

rifugio 3-horz

La vera chicca è il cestino del pane, rigorosamente di produzione propria, con interessanti varianti quali il pane ai fichi, quello di segale, il più semplice bianco, e il bretzel servito caldo. Notevole anche la carta dei vini, con etichette del territorio trentino e qualche birra artigianale – due per la precisione – che ben si sposano con la sapidità dei piatti. Non a caso, uno dei particolari che accomuna gli “Amici del Rifugio Crucolo” con il ristorante in Valsugana è il rito della "visita in Cantina".

amici del rifugio crucolo 1

In cosa consiste? Semplice, a fine serata il padrone di casa Maurizio vi accompagnerà in cantina per un'immersione nei prodotti tipici trentini, ma soprattutto per offrirvi un digestivo a base di grappe bianche e aromatizzate, nonché di liquori trentini.

Un ultimo particolare: non dimenticatevi di prenotare, in tanti avranno la vostra stessa idea!

 

Amici del Rifugio Crucolo

Via Gattalupa sud, 88

42122 Gavasseto (Reggio Emilia)

Tel: 0522-552103 Cell: 3465880623

www.amicidelcrucolo.it

Pubblicato in Dove andiamo? Emilia
Mercoledì, 13 Aprile 2016 17:02

Dalla Svizzera con amore

Non è propriamente un piatto di stagione e tantomeno a basso contenuto calorico, d'altronde il cibo da degustare magari con un buon abbinamento di vino è privo di preconcetti!

Di Cecilia Novembri

Montagne, laghi, orologi.
Questo è quello che salta in mente pensando alla Svizzera, ma esiste anche un'arte culinaria e di vinificazione, limitata ma di nicchia e di qualità.

svizzera viaggi cucina fonduta rid

Un caposaldo dell'edonismo culinario è la Fondue, che più che una ricetta viene considerato un rito conviviale!
Nasce come piatto di recupero del comparto lattiero-caseario, attività prevalente delle comunità alpine occidentali, viene quindi collocata inizialmente in ambito cittadino e borghese, per diventare piatto alla moda chic e informale solo negli anni Cinquanta/Sessanta, sull'onda dei primi flussi turistici e del boom degli sport invernali in zona.

La materia prima è un misto di formaggi duri, fusi in una casseruola calda chiamata caquelon, la cottura è rapida alla quale dovrà provvedere ciascuno dei commensali riuniti a tavola, munito di apposita forchetta con la quale attingere a turno dal recipiente centrale posto su fornello.

svizzera viaggi cucina fonduta 2

Oggi è l'Emmental il formaggio più utilizzato, ma tutte le tipologie svizzere si prestano bene, al punto che diversi cantoni rivendicano, per distinguersi, una propria Fondue: oltre alla Savoyarde classica, troviamo la Fribourgeoise a base di Vacherin, la Neuchâteloise metà Gruyère e metà Emmental, l'Appenzeller al 100% del formaggio omonimo, mentre nella Svizzera centrale si usa 1/3 ciascuno di Gruyère, Emmental e Sbrinz.
Nel Vallese si usa il locale Raclette, che viene direttamente "raschiato" dalla forma ("raclé", da cui il nome) su una fonte di calore, che subito lo fa fondere.

Per accompagnare questo piatto, che rallegra le giornate fredde e grigie, un buon bicchiere di Fendant del Valais, una bella freschezza, con aromi di glicine e frutta bianca. Ha una struttura elegante con note floreali a sfumature di frutta bianca, buccia d'arancia e di limone. Il corpo è morbido ed equilibrato. Se si vuole provare un'alternativa made in Italy un ottimo Verdicchio dei Castelli di Jesi sicuramente non deluderà!

svizzera viaggi cucina fonduta vino

Cronachemaceratesi.it – myswissroom.com – mondovino.ch – castelwine.com

Sabato, 16 Aprile 2016 10:05

T- VEG: la storia di un dinosauro vegetariano

E' sempre importante assumere in una dieta salubre ed equilibrata tanta buona verdura e frutta! Purtroppo per i più piccini diventa quasi impossibile a volte convincerli ad assoporare un buon piatto "vegeteriano" e così SOS by SUSANNA VOLIANI attraverso una lettura simpatica, colorata e divertente ci viene in aiuto grazie ad un "sorprendente" T-VEG!

Di Susanna Voliani

In questi tempi di grande attenzione al cibo buono e salutare, ecco che compare in libreria l'albo perfetto per sensibilizzare anche i più piccini. Uscito in Italia da pochi giorni, scritto dall'autrice anglo indiana Smriti Prasadam-Halls ed illustrato da Katherina Manolessu (pubblicato da Mondadori per la collana ElectaKids), si tratta di un racconto semplice e divertente che avvicina i bambini al mondo dell'alimentazione.

vegan libro illustrato nutrizione bambini

È la storia di un tirannosauro un po' speciale di nome Reginaldo, tipico nel possente ruggito, nell'aspetto spaventoso, nella forza enorme, nel digrigno dei denti, ma originale nei gusti alimentari: è vegetariano.
Mentre i suoi familiari ed i suoi amici si nutrono di succulente bistecche come tutti i T-Rex che si rispettino, lui preferisce frutta e verdura. Stufo di sentirsi escluso e deriso perché diverso, decide di andarsene via, alla ricerca di un posto nuovo e di dinosauri che possano capirlo, magari erbivori come lui. Ma i grandi erbivori non vogliono avere niente a che fare con lui, ne hanno paura: si tratta pur sempre di un mastodontico e spaventoso T-Rex! Ancora più umiliato e solo, proprio mentre amici e familiari lo stanno cercando per riportarlo a casa, Reginaldo sarà però il protagonista assoluto di un grande salvataggio, grazie alla sua smisurata forza dovuta sicuramente a tutta la frutta e la verdura di cui si nutre!

vegan libro illustrato nutrizione bambini 2

Una storia piccola ma capace di commuovere e di insegnare perché ricca di significati: una lezione contro i pregiudizi, sull'amore della famiglia e degli amici, sul coraggio di rimanere fedeli a se stessi nonostante le proprie differenze dagli altri.
E le coloratissime e brillanti illustrazioni non possono che essere utilizzate per spiegare ai nostri figli che nutrirsi bene ci mantiene in salute e rende forti e felici!Dai 4 anni.

CREDITS photo: - dietologomarcomissaglia.com – nutrisoft.com.br – gustissimo.it – giallozafferano.it – nonnapaperina.it – rec23.com – romalecool.com

Sabato, 09 Aprile 2016 10:44

A New York tutti matti per il Rainbow Bagel

Colorato, allegro e, a quanto dicono, buonissimo: si parla dell'ultima invenzione food, ovvero il Rainbow Bagel. A realizzarlo è stato il re dei Bagel, Scot Rossillo, nel suo ormai famosissimo The Bagel Store di Brooklyn a New York

Di Chiara Marando -

Sabato 09 Aprile 2016 -

Per la serie “la fantasia in cucina non è mai troppa” e “anche l'occhio vuole la sua parte", ecco che l'alimento di cui parliamo oggi supera ampiamente i concetti di normalità e monotonia cromatica, tanto da sembrare appena uscito dalla cucina di Nonna Papera.

Si tratta del rivoluzionario Rainbow Bagel, una ciambella che riprende la forma del più classico bagel, ma sembra fatta di pongo ed assemblata da un bambino: indubbiamente bellissima da vedere e, pare, eccezionale da mangiare.

Già, i fortunati che hanno avuto il piacere di provarla parlano di una vera e propria esplosione di gusto, un mix di sapori dolci e salati che si fondono ad ogni morso. Ad inventarla è stato Scot Rossillo, considerato il “miglior artista di bagel al mondo”, che lavora nel suo ormai famosissimo The Bagel Store in Bedford Ave, Brooklyn, a New York.

the bagel store 2

Con il Rainbow Bagel pare che Scot abbia veramente superato sé stesso, un prodotto che nasce dalla passione per la sperimentazione in cucina ma anche da tanta pazienza e creatività. Non a caso, come dice lui «mi ci sono voluti 20 anni di tentativi e altrettanti di fallimenti».

Scot è molto noto tra gli amanti dei bagel, ne rappresenta un vero pioniere e maestro. La sua tecnica si basa su procedimenti ancora artigianali e tradizionali, ma la sua manualità, e l'estro che lo contraddistingue, gli consentono di sfornare bagel stravaganti e di ogni colore.

the bagel store 3

Ovviamente non è dato sapere quale sia la ricetta originale del Rainbow Bagel, impossibile riuscire a rintracciare ogni singolo ingrediente solo assaggiandolo. Una cosa però si sa: non vengono aggiunti conservanti o additivi chimici all'impasto (difficile da credere osservando il procedimento di preparazione ndr.) ed il vero segreto si trova nel goloso ripieno che completa il risultato finale.

Certamente, esaminare il momento della realizzazione risulta estremamente affascinate, sembra di giocare con enormi pezzi di pongo, esattamente come facevamo da piccoli quando ci divertivamo a modellare delle improbabili composizioni o formine.

Ma che sapore ha questa invenzione?

Pare sia simile a quello dei lecca lecca, di tutti i gusti messi insieme appassionatamente, anche se con un risultato meno dolce. Poi, come già premesso, c'è il tocco finale, ovvero una farcitura dal nome improbabile: Funfetti-style cream” che consiste in una crema al formaggio amalgamata con i “Candy cotton”, quei i bastoncini colorati e zuccherati dall'aspetto fiabesco.

The bagel store

E qui scatta la domanda: ma c'era proprio bisogno di un ennesimo junk food?

A onor del vero non si conoscono la reale portata calorica ed i grassi, quindi abbiamo ancora un po' di tempo per illuderci che non si tratti proprio di “cibo spazzatura”....ma temo proprio sia poco tempo. Nel caso, siccome in cucina non si butta via nulla, si può sempre pensare di utilizzarlo come allegro soprammobile.

Pubblicato in Cultura Emilia
Sabato, 02 Aprile 2016 11:14

Purple Bread: il pane viola dai tanti benefici

Arriva una novità in cucina, un pane che promette notevoli effetti benefici grazie all'alto contenuto di antiossidanti: il Purple Bread, ovvero il pane viola, nato da un'idea del dottor Zhou Weibiao, scienziato della National University di Singapore.

Di Chiara Marando -

Sabato 02 Aprile 2016 -

Per la serie “ novità in cucina” ecco un pane che promette notevoli effetti benefici per la salute: si chiama Purple Bread, ovvero pane viola, ed è nato da un'idea del dottor Zhou Weibiao, scienziato della National University di Singapore. Pare essere l'ultimo ritrovato food, il primo supercibo lievitato al mondo. Già un supercibo, e non si tratta di un nome che deriva dai fumetti, ma di quella categoria di alimenti che presentano una densità fuori dal comune di proprietà nutritive utili al benessere fisico e mentale.

Nel caso del Purple Bread, il plus è rappresentato dalle antocianine, un gruppo di flavonoidi che danno anche il caratteristico colore viola e sono noti per il loro potere antiossidante e antinfiammatorio.

La particolarità delle antocianine è quella di prevenire le malattie cardiovascolari e neurologiche, ma anche di agire positivamente su patologie quali l'obesità. Ovviamente, perché siano efficaci, è necessario che siano estratte dagli alimenti ed aggiunte durante la preparazione del pane, così da conservare intatte le loro proprietà, anche se in misura ridotta: è bene ricordare che sono termolabili, questo vuol dire che la cottura ne diminuisce del 20 % le peculiarità nutrizionali.

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E proprio su quest'ultimo aspetto il dottor Zhou Weibiao ha subito chiarito la sua posizione, specificando che questo pane è preparato utilizzando una tecnica che riesce a conservare integre l'80% delle anticianine e che, per sfruttarle al massimo, la ricetta da lui ideata prevede una cottura estremamente breve: precisamente 8 minuti, a 200 gradi Celsius.

Ma dopo tutto questo parlare, la domanda sorge spontanea: quali sono le differenze tra il pane viola e quello bianco?

Cominciamo con il dire che si tratta sicuramente di una novità interessante ma non è comprovato che il Purple Bread possieda concretamente tutte le proprietà benefiche che gli vengono attribuite.

Ad esempio, non è da prendere come certa la teoria che riesca ad abbassare l'indice glicemico grazie ad una particolare reazione chimica tra antocianine e amidi, e nemmeno che renda la digestione più lenta del 20% rispetto al pane bianco. Ciò che invece può essere considerato sicuro è il suo alto contenuto di antiossidanti, quindi non sarà miracoloso ma sicuramente diviene un alimento da considerare nella propria dieta di tutti i giorni.

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Purtroppo, pensare di farlo in casa sfruttando ortaggi come il cavolo rosso o frutti come i mirtilli, non è così semplice come spiega la dott.ssa Katia Petroni, Ricercatrice di Genetica presso l'Università degli Studi di Milano e sostenuta dalla Fondazione Umberto Veronesi: “L'ideale sarebbe avere un estratto o aggiungere farine di mais rosso, perché il limite resta la cottura. Con la bollitura, necessaria per usare l'ortaggio durante la preparazione del pane, un'altissima percentuale di antocianine viene persa, perciò lo sforzo ha molto meno senso».

«In ogni caso è fondamentale ricordare – aggiunge la dottoressa - che un pane del genere non potrà mai essere un alimento sostitutivo, e che il nostro organismo ha comunque bisogno di fare il pieno di antocianine con la frutta e la verdura rossa»

Ricette da far venire l'acquolina. Un itinerario virtuale lungo lo Stivale alla scoperta delle squisitezze più antiche. Basta trovare la ricetta che vi ispira per fare una Pasqua, gustativamente parlando, diversa...

Di Alexa Kuhne

Parma, 26 marzo 2016

La Pasqua è anche la festa dei golosi. E forse nessuna ricorrenza come quella di questi giorni si accompagna a una enorme varietà di dolci della tradizione che assumono caratteristiche particolari in base al territorio in cui vengono prodotti.
Vogliamo proporre una carrellata delle squisitezze della cultura gastronomica italiana per indurvi a sperimentare e provare nuove esperienze per il palato. Con la curiosità e la voglia di assaggiare si possono fare viaggi gastronomici davvero appaganti, basta trovare la ricetta che vi ispira per fare una Pasqua, gustativamente parlando, diversa...

La bella Mantova, per esempio, ha una vera e propria venerazione per il Bussolano. E' una morbida ciambella che nasce dalla tradizione popolare lombarda. La sua consistenza è data dalla mancanza di lievito. La caratteristica di questo dolce è che è adatto a essere inzuppato direttamente nel vino lambrusco

bussolano dolce pasqua tradizione

Il cugino del bussolano mantovano è il Bensone modenese. Le due ricette sono davvero molto somiglianti, con la differenza che quella gonzaghesca è più ricca di grassi. L'antenato comune pare sia nato a metà strada diffondendosi in tutte le campagne circostanti, seppure cambiando nome ad ogni sosta. Che parliamo di bensone, di bussolano o di pinza, sempre di un pane dolce a base di uova, farina e grasso si tratta, anche se le proporzioni variano.

bensone modenese dolce pasqua tradizione

Non c'è Pasqua, al Sud, senza Casatiello, una 'torta' sontuosa e sapida, ricca di simbolismi. A Napoli si dice di una persona noiosa e pesante 'I che casatiello!'. E questo proverbio la dice lunga sulla pesantezza, direttamente proporzionale alla bontà, di questa particolarissima torta salata. L' impasto è una quantità massiccia di farina, lievito, acqua, sale, pepe, sugna (in italiano strutto), uova sode, salame, formaggio e ciccoli (ciccioli) di maiale. Il termine casatiello deriva da "caso", che in dialetto napoletano vuol dire formaggio, e allude alla cospicua presenza al suo interno di formaggio pecorino. Il pane di cui è composto è il simbolo del corpo di Cristo, le uova incastonate al suo interno rappresentano la rinascita...

casatiello dolce pasqua tradizione

In Meridione, ancora più giù, nella meravigliosa Sicilia, le vetrine delle pasticcerie sono un tripudio di colori. E' tempo della Cassata (dall'arabo qas'at, "bacinella" o dal latino caseum, "formaggio"). La torta è a base di ricotta zuccherata di pecora, pan di spagna, pasta reale e frutta candita..
Inizialmente la cassata era un prodotto della grande tradizione dolciaria delle monache siciliane. Un proverbio siciliano recita "Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua" ("Meschino chi non mangia cassata la mattina di Pasqua"). La decorazione caratteristica della cassata siciliana con la zuccata fu introdotta solo nel 1873.
Le radici della cassata risalgono alla dominazione araba in Sicilia quando vennero introdotti a Palermo la canna da zucchero, il limone, il cedro, l'arancia amara, il mandarino, la mandorla. Insieme alla ricotta di pecora, che si produceva in Sicilia da tempi preistorici, erano così riuniti tutti gli ingredienti base della cassata, che all'inizio non era che un involucro di pasta frolla farcito di ricotta zuccherata e poi infornato.

Nel periodo normanno, a Palermo, presso il convento della Martorana, fu creata la pasta reale o Martorana, un impasto di farina di mandorle e zucchero, che, colorato di verde con estratti di erbe, sostituì la pasta frolla come involucro. Si passò così dalla cassata al forno a quella composta a freddo.
Gli spagnoli introdussero in Sicilia il cioccolato e il pan di Spagna. Durante il barocco si aggiungono infine i canditi. L'introduzione della glassa di zucchero coperta di frutta candita che avvolge tutto il dolce come un vetro opaco potrebbe ricondurre il nome all'inglese glass, vetro da cui glassata - classata -cassata.

E poi c'è la Pastiera, la regina delle torte napoletane. Va confezionata con un certo anticipo, non oltre il giovedì o il venerdì santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di bene amalgamarsi in un unico e inconfondibile sapore. Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente. La ricetta tradizionale dice di mescolare alla ricotta semplici uova sbattute; una seconda versione, decisamente innovatrice, raccomanda di unirvi una densa crema pasticciera che la rende più leggera e morbida, innovazione dovuta al dolciere-lattaio Starace con bottega in un angolo della Piazza Municipio non più esistente. Per il resto non è pastiera se non c'è estratto di fiori d'arancio e grano cotto, oltre a canditi.

pastiera dolce pasqua tradizione

Si racconta che Maria Cristina di Savoia, consorte del re Ferdinando II° di Borbone, soprannominata dai soldati "la Regina che non sorride mai", cedendo alle insistenze del marito buontempone, accondiscese ad assaggiare una fetta di Pastiera e non poté far a meno di sorridere. Pare che a questo punto il re esclamasse: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo". La pastiera, forse, sia pure in forma rudimentale, accompagnò le feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente. Per il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare dal pane di farro delle nozze romane, dette appunto "confarratio". Un'altra ipotesi la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all'epoca di Costantino il Grande, derivate dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale. Nell'attuale versione, fu inventata probabilmente nella pace segreta di un monastero dimenticato napoletano. Un'ignota suora volle che in quel dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse il profumo dei fiori dell'arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano, che, sepolto nella bruna terra, germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di mille fiori odorosa come la prima vera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia. È certo che le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno erano reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia.

Arrivando molto più a nord si scopre la Gubana che è un tipico dolce delle valli del Natisone (Udine), a base di pasta dolce lievitata con un ripieno di noci, uvetta, pinoli, zucchero, grappa, scorza grattugiata di limone, dalla forma a chiocciola, dal diametro di circa 20 cm e cotto al forno. Viene servito irrorato da slivovitz, un liquore ricavato dalla distillazione delle prugne. Il dolce è noto fin dal 1409 quando fu servito in un banchetto preparato in occasione della visita di papa Gregorio XII a Cividale del Friuli. Facendo riferimento alla forma della gubana, la derivazione del nome è probabile che sia la sloveno guba, che significa piega.

gubana dolce pasqua tradizione

Spostandoci in Emilia, troviamo la colomba di Pavullo, che non ha molto a che vedere con la colomba pasquale che tutti conoscono, è infatti una focaccia dolce farcita di savor, marsala e frutta secca.

colomba di pavullo dolce pasqua tradizione

Le pardulas o casadinas sono un tipico dolce pasquale della tradizione sarda. Sono piccole tortine con ripieno di ricotta o di formaggio, molto delicate e gustose. A seconda della zona si possono vedere in una versione dolce o salata, all'aroma di arancia o limone e, più rara, una versione con l'uvetta. Nonostante la preparazione identica, il gusto tra le pardulas di ricotta, delicatissime, e quelle di formaggio (formaggio fresco), che hanno un sapore più deciso, è molto diverso.

pardulas dolce pasqua tradizione

La Resta, il cui profumo si avverte durante il periodo pasquale per le vie di Como, è un pane zuccherino. E' il dolce legato alla celebrazione della domenica delle Palme per via di un gesto simbolico: al suo interno viene infilato (nella pasta prima della cottura) un ramoscello di ulivo, mentre sul dorso viene inciso un disegno che ricorda la spiga detta anche "lisca o resca", simboli associati alla rinascita primaverile da cui prende poi il nome questo dolce. Anche questa prelibatezza deve sostenere ben tre lievitazioni.

resta dolce pasqua tradizione

Sul Salame del papa bisogna fare subito una precisazione: non è da confondere con il noto "salame di cioccolato". Si tratta di una ricetta molto antica, tramandata per lungo tempo oralmente e di cui, proprio per questo poco si conosce; esaminando tuttavia gli ingredienti troviamo la presenza di nocciole che fanno pensare quasi tutti all'unisono che il "salam dal papa" sia nato in Piemonte. Questo dolce in origine era prettamente legato al periodo quaresimale e pasquale; ciò perché in questo particolare periodo dell'anno la religione cattolica proibisce (salvo particolari casi) di mangiare carne e dolci.

salame del papa dolce pasqua tradizione

Tra queste bontà non può non mancare una specialità toscana: la Schiaccia, che viene preparata principalmente nelle province di Pisa e Livorno. Dolce povero della tradizione contadina, prevede una lunga lievitazione che si sviluppa in quattro fasi. E' ricco di anice e non è troppo dolce ed è ideale inzuppato in un bicchierino di Vinsanto o accompagnato con un pezzetto di cioccolata.

Un dolce povero ma particolarmente apprezzato è la Miascia o Turta di paisan. E' facile trovarla sulle tavole della Brianza e dintorni. Numerose sono le varianti in cui la si può apprezzare, modifiche dovute al fatto che questo dolce non è radicato e tipico di un unico paese bensì si estende quasi e ben oltre la provincia. E' una torta casalinga fatta di pane raffermo. Tra le tantissime ricette c'è chi la prepara con cacao in polvere e fichi secchi e chi con amaretti sbriciolati e scorze di limone e pinoli.
 Il nome torta paesana deriva dal fatto che un tempo veniva preparata durante il giorno della festa del paese e anticamente veniva cotta in forni comunitari utilizzando il pane che fino a prima della preparazione era conservato nella tradizionale "panadura".

miascia dolce pasqua tradizione

La lista potrebbe essere molto lunga. Sta ai veri golosi uscire dagli schemi delle proprie abitudini e 'tuffarsi' in altre tradizioni dolciarie. L'esperienza può essere davvero sorprendente perché, parlando di dolci, li si associa immediatamente allo zucchero e invece, dalle antiche ricette, si scoprirà che questi sono poveri di ingredienti, visto che lo zucchero era riservato alle tavole dei ricchi e, per sostituirlo, si utilizzavano frutta secca e fresca.

Pubblicato in Cultura Emilia

Un'eccellenza di Parma che va tutelata, se ne è parlato domenica al Workout Pasubio di Parma durante un incontro che ha analizzato i diversi aspetti relativi all'argomento: dagli allevamenti, alla macellazione passando per gli accurati metodi di lavorazione fino a giungere sui banchi delle macellerie.

Parma 21 Marzo 2016 -

Un vero e proprio piatto tradizionale delle Regione Emilia Romagna, una tipicità che per sua natura racchiude qualità, cura nei metodi di lavorazione e selezione, ma soprattutto sicurezza alimentare: il "caval pist".

Si tratta di un'eccellenza da preservare ed è stato proprio questo l'argomento di discussione del meeting che si è tenuto domenica scorsa a Parma al Workout Pasubio, in via Palermo. Un momento di confronto importante per affrontare i diversi aspetti che seguono la filiera della carne equina, dagli allevamenti, alla macellazione passando per gli accurati metodi di lavorazione fino a giungere sui banchi delle macellerie.

Un incontro che si è reso indispensabile per portare alla luce una tradizione culturale e gastronomica che narra la storia di un territorio, ma anche per sopperire alla forte disinformazione degli ultimi anni, attraverso un'energica presa di posizione per tutelare un prodotto di grande qualità, ponendo l'attenzione su una filiera che in realtà è fatta di rigorose regole e particolari accorgimenti sia per gli alimenti, sia per la macellazione.

All'incontro è intervenuto anche l'On. Giuseppe Romanini della Commissione Agricoltura Camera dei Deputati che ha sottolineato l'importanza di favorire gli allevamenti italiani e creare una "Banca Dati della Carne Equina" così come è stato fatto per la carne bovina, perché ci sia una certificazione precisa e controllata per chi opera in questo settore.

Tra i presenti anche alcuni professori dell'Università di Parma che hanno trattato degli aspetti storici (Prof. Stefano Bentley), nutrizionali (Prof. Elisabetta Dall'Aglio) e microbiologici (Prof. Sergio Ghidini). Il Prof Carlo Alberto Alberti dell'Usl di Reggio Emilia ha trattato il tema della Sicurezza alimentare e tracciabilità. Presenti inoltre l'On. Giuseppe Romanini della Commissione Agricoltura Camera dei Deputati e il Cav. Gian Paolo Angelotti, Presidente Fiesa Confesercenti.

Pubblicato in Cronaca Parma

A Rodano, in provincia di Milano, c’è un ristorante molto particolare: un treno inglese del ‘900 parcheggiato sui binari in mezzo a un parco, che promette un viaggio gastronomico alla scoperta di tradizioni nazionali e internazionali. Salite a bordo ed immergetevi in un’atmosfera da Orient Express.

Di Chiara Marando -

Sabato 12 Marzo 2016 -

Pronti per immergervi in un’atmosfera da giallo di Agatha Christie a bordo dell’ormai mitico Orient Express?

No, non sto parlando di un nuovo film ma di un ristorante. Esatto, proprio di un ristorante! Lo trovate parcheggiato sui binari a Rodano, in provincia di Milano (zona Segrate), al centro di un accogliente parco cittadino.

Già, sui binari, perché il ristorante in questione è qualcosa di più di un semplice luogo dove fermarsi a mangiare, è un vero e proprio bistrot nascosto in un treno inglese del ‘900. Al suo interno ancora gli arredi originali di un tempo: dai tavoli al bancone del bar, tutto richiama il fascino di quell’epoca

Si chiama “FuoriBinario” e a gestirlo è Monica Sartoni Cesari, chef, giornalista e insegnante dei corsi di cucina Sale&Pepe. Animo emiliano contagioso, in materia di cucina nazionale e internazionale Monica ha veramente tanto da dire, un curriculum da fare invidia ma soprattutto una grande capacità di proporre piatti che rivisitano e reiventano la tradizione, regalando viaggi gastronomici ed esperienze gustative estremamente particolari.

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Al “FuoriBinario” poi si può mangiare in qualsiasi momento, pranzi e cene ma anche aperitivi e finger food stuzzicanti, il tutto rigorosamente gourmet e ricercato, ma senza esagerare. Il giovedì e il venerdì sono le due serate a tema dedicate ai grandi piatti tipici italiani ed alla cucina etnica.

Insomma, un “treno dei desideri gastronomici”, come ama definirlo Monica, un ristorante dove poter deliziare il palato e provare nuovi sapori riscoprendo ingredienti e preparazioni originali, ricette di altri paesi e culture differenti.

E non pensate che per una sosta golosa sia necessario dare fondo al portafoglio, perché, da buona emiliana, la padrona della casa ci tiene a precisare “Non è vero che per mangiare al top si debbano spendere cifre astronomiche ed entrare timidamente in punta di forchetta, come nei grandi templi della gastronomia. Da noi si può trovare un ambiente informale e con un eccellente rapporto qualità/prezzo, ma soprattutto una cucina con ingredienti di altissima qualità, farcita di conoscenza, amore e fantasia”.

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Il menù spazia da antipasti come il Carpaccio di Prosciutto di Parma con salsa tiepida al balsamico di Modena IGP e pinoli, Quartetto di samosas e dim sum croccanti con le loro salse e chutney oppure Rolls di salmome ripieni con salsa teriyaki. Ed ancora primi piatti tra cui i Tagliolini in nero con ragù di calamari, seppie e pomodorini confit fatti in casa, Pappardelle con sugo di salsiccia a coltello piccantino e Orecchiette integrali con sugo di polpettine. Per i secondi, Tempura di gamberi in panko con salsa teriyaki e sesamo ed ancora Costine laccate cotte a bassa temperatura.

Ma questi, ovviamente, sono solo alcuni golosi esempi di ciò che potrete scegliere tra le tante varianti che seguono la fantasia dello chef.

Sapori per tutti i palati significa anche che tra le proposte del menù sono presenti piatti vegetariani, vegani oppure a basso contenuto calorico per chi deve stare attento alla linea ma senza sacrificare il gusto e mortificare lo spirito.

 

Ristorante FuoriBinario

Via Filippo Turati, Rodano (Milano)
Tel.   380 7521812 -335 7768211

Pubblicato in Dove andiamo? Emilia

Una serata per dire “no” alla liberalizzazione della produzione del Lambrusco paventata dall’Unione Europea: Stralvè Food&Wine, in collaborazione con La Cantina Carra di Casatico, hanno promosso un appuntamento per celebrare questa tipicità territoriale e sottolineare con forza la negatività di questa proposta.

Di Chiara Marando -

Sabato 27 Febbraio 2016 - (Guarda il video in fondo alla pagina)

Non più solo una tipicità locale ma una tipicità globale, o almeno questo è quello che vorrebbe la Commissione Europea. Stiamo parlando del Lambrusco, un vino che si lega strettamente con la tradizione del territorio emiliano, un vero e proprio marchio di fabbrica che accompagna i cibi della cultura culinaria che rappresentano questa regione.

La notizia era arrivata da Bruxelles, in quello che è stato un attacco all’identità del Lambrusco: la commissione Agricoltura dell’Unione Europea, o almeno parte di essa, ha lanciato l'idea di liberalizzare la sua produzione. Perché? Il motivo è assolutamente senza senso ma si legherebbe al concetto che, diversamente da altri vini italiani, il Lambrusco non ha un riferimento geografico, come invece nel caso del Prosecco in Veneto. 

In altre parole, una lenta ed inesorabile morte delle radici enogastronomiche italiane, anche se gli ultimi aggiornamenti mettono in luce il ritiro dell’atto da parte dell’Ue.

Più che ragionevole, quindi, la preoccupazione dell’Emilia Romagna, una preoccupazione che ha portato a proteste e movimenti su larga e piccola scala.

Ed è proprio per celebrare il Lambrusco, e per ribadire la volontà di proteggerne la “paternità” territoriale, che a Parma, città appena nominata “City of Gastronomy UNESCO, si è svolta una serata in onore del rosso frizzante e beverino che non può mai mancare sulle tavole degli emiliani.

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I ragazzi di Stralvè Food&Wine, in collaborazione con La Cantina Carra di Casatico, uno tra i maggiori produttori del territorio, sono riusciti ad organizzare un appuntamento all’insegna della convivialità tutto, nemmeno a dirlo, a base di Lambrusco.

Uno sforzo importante per offrire a tutti, gratuitamente, un assaggio di quello che questo territorio ha da offrire, dell’unicità dei suoi prodotti, legati a doppio filo con la tradizione emiliana più profonda.

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Dall’aperitivo fino al dolce passando per qualche bicchiere di troppo, che in questi casi non fa mai male: una originale Spuma di Lambaroni firmata Stralvè per cominciare, accompagnata da Parmigiano Reggiano 24 mesi, una crema al Lambrusco da gustare con pane e focaccia, ed ancora un cremoso risotto al Lambrusco con pancetta e radicchio, per finire con un dolce da gustare al cucchiaio.

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Insomma, un momento per ricordare la bontà di quanto crea l’Emilia, ma anche e soprattutto di quanto sia importante difendere ciò che ci appartiene e rappresenta, allontanando quanto più possibile l’omologazione delle identità di ogni Paese, territorio e Nazione.

 

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Pubblicato in Cultura Emilia