Domenica, 31 Dicembre 2023 07:12

LA LEGGE NELLA POSTMODERNITÀ In evidenza

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Il termine "modernità" viene spesso interpretato come sviluppo, progresso, avanzamento di civiltà.

Di Daniele Trabucco (*) Belluno, 31 dicembre 2023 - La "modernità", infatti, è l'epoca della Rivoluzione scientifica (prima Bacone e poi Galilei), della Riforma protestante ("sola fide, sola gratia, sola scriptura, solus Christus, soli Deo gloria"), della nascita dello Stato modernamente inteso (Vezio Crisafulli) e della politica, svincolata da qualunque presupposto religioso, quale ricerca del consenso e del mantenimento del potere etc.

Tuttavia, la "modernità" è anche il periodo dell'affermazione della sovranità soggettiva, del pensiero quale condizione dell'essere sul piano teoretico (pensiamo a Cartesio ed al suo "cogito") e della elevazione sul piano gnoseologico del metodo della scienza positiva a legge di ogni conoscenza e dell'opzione personale a fonte della morale.

La "Postmodernità", a sua volta, porta alle estreme conseguenze il nichilismo proprio della "modernità": essa dissolve persino la sovranità soggettiva, facendo del soggetto non l'ente che impone la propria volontà, ma o il frutto delle sue passioni e dei desideri, o il frutto di un blocco storico/sociale per utilizzare una terminologia tanto cara ad Antonio Gramsci (1891/1937), o il prodotto "effimero" dei contingenti riconoscimenti sociali.

Una cosa è certa: il soggetto non è più sostanza individuale razionale, bensì un mero fenomeno. È evidente, allora, la concezione di legge che ne consegue: una legge patteggiata. Che cosa significa questa espressione? Significa che la legge non è un comando razionale, richiesto dalla giustizia e conforme al diritto naturale, ma frutto di quegli interessi esteriori e materiali di cui sono portatrici certe categorie di cui spesso le forze politiche sono espressione. Insomma, la negazione del significato autentico di legge che è quella di aiutare gli uomini ad essere migliori, a realizzare pienamente la propria essenza.

Ecco perché, se guardiamo al penoso panorama politico italiano (e non solo), è indifferente votare per un partito anziché per un altro: entrambi "abbracceranno" quegli interessi di cui sono espressione. Certo: una parte potrà essere più sensibile dell'altra su alcune questioni etiche, ma nessuna avrà il coraggio di abrogare leggi ingiuste e degradanti perché, per entrambe, la legge è selezione di interessi e non una "ordinatio rationis ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet, promulgata".

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(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.

Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.

Sito web personale

www.danieletrabucco.it