La risposta a questo interrogativo è affermativa e dipende dal fatto che l'uomo è persona. Questa nozione implica l'esistenza nell'uomo di diritti dovuti in forza di un titolo naturale.
L'uomo presenta, infatti, una precisa caratteristica che ne costituisce la perfezione entitativa: è in grado di dominare il proprio essere ed è ontologicamente impossibile appartenga ad altri. Questo significa che tutti i beni inerenti al suo essere sono oggetto del suo dominio, sono suoi nel senso più vero di questa espressione: il diritto alla vita, il diritto all'integrità fisica, il diritto al buon nome etc.. Su questi gli altri non possono interferire e non possono appropriarsi se non per mezzo della forza e della violenza che, però, lederebbero lo statuto ontologico della persona.
Questi diritti o beni, che sono parti integranti del suo essere, generano negli altri il dovere del rispetto e, in caso di danno o lesione ingiusta, il dovere della restituzione o, se questa è impossibile, della compensazione. Se questi diritti "naturali" venissero considerati in una prospettiva meramente positivistica, essi sarebbero il frutto di una concessione fatta dalla legge positiva sia pure attraverso il loro "riconoscimento" (si pensi all'art. 2 della vigente Costituzione italiana del 1948). Pertanto, la causa di ingiustizia nascerebbe esclusivamente e solamente dalla legge positiva scritta. Anteriormente ad essa, è questa la assurda conclusione cui perviene il positivismo giuridico, l'assassinio non sarebbe un gravissimo delitto, né sarebbero delitti le lesioni o l'ingiuria o la diffamazione.
Prima, dunque, della legge positiva l'uomo non sarebbe padrone della propria vita, della sua buona reputazione etc. Caino stesso, di cui si legge nel capitolo 4 del libro della Genesi, non avrebbe commesso alcuna ingiustizia nell'uccidere Abele suo fratello. Non esisterebbero regimi tirannici, sistemi oppressivi etc.
Il positivismo, come si è cercato di dimostrare, conduce all'assurdo eppure la politica contemporanea ne è immersa, imbevuta. Soltanto ammettendo l'esistenza di diritti naturali, preesistenti alle decisioni della società ed alla legge positiva, si può gridare all'ingiustizia e concordare con Tommaso d'Aquino (1224/1275) che "lex iniusta non est lex, sed corruptio legis".
(Immagine Caino e Abele - Il Tintoretto)
(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
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