Partiamo da quello di "essentia", "essenza" in lingua italiana, ossia la "quidditas", ciò che rende quell'ente quello che è. Per Tommaso l'essenza non è solo la forma, ma anche la materia: ad esempio, nell'ente uomo l'essenza è data non solo dalla "ragionevolezza" (forma), bensì pure dalla "animalità" (materia). In altri termini, l'essenza, che Tommaso chiama anche natura, comprende tutto ció che è espresso nella definizione della cosa. Ora, precisa l'Aquinate nel trattato trinitario "De potentia" (q. 3, a. 5, ad. 2), "l'essenza, prima di avere l'atto d'essere, non esiste ancora".
L'atto d'essere, o "actus essendi" in lingua latina, è, dunque, l'ultima perfezione metafisica dell'essenza, la sua causa (non l'effetto), ciò che fa in modo che l'essenza venga ad esistenza. Esso, pertanto, continua il Dottor Angelico, sta all'essenza come l'atto sta alla potenza. Il semplice fatto dell'esistenza di un ente, cioè la presenza reale e positiva dello stesso nella realtà, non va confuso con l'atto d'essere. Infatti, l'esistenza si può predicare anche dei difetti, delle malattie, della morte, dei peccati: tutti danni o deficienze degli enti, ma non certo perfezione di enti o enti in senso proprio. Tommaso, quindi, diversamente da Aristotele (384 a.C./322 a.C.), non si ferma alle essenze, non è un essenzialista, ma va oltre, giunge all'atto d'essere come perfezione dell'essenza.
Nel pensiero aristotelico, invece, è assente il concetto di atto d'essere e l'esistenza delle cose si presenta come un dato ovvio, una categoria interna o immanente a quella di sostanza (del resto per il mondo greco la materia è eterna).
Ovviamente per Tommaso è Dio, quale "Ipsum Esse Subsistens", ossia l'atto d'essere per essenza, che, attraverso la creazione, è in grado di far partecipi gli altri enti dell' "actus essendi". Per non risalire all'infinito, precisa Tommaso, dovrà esserci, allora, una realtà che sia causa dell'essere per tutte le cose. Gli enti, dunque, in quanto creati da Dio, hanno il loro atto d'essere per "partecipazione". In essi l'"actus essendi" assume un significato non identico, ma analogo, o meglio simile all'essere di Dio (la c.d. tesi della analogicità dell'essere).
"Allo stesso modo che quanto è infocato (ignitum) e non è fuoco" (cfr. S. Th., I, q. 3, a. 4), così ció che possiede l'atto d'essere è non è l'essere, è ente per partecipazione.
(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
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