Innanzitutto occorrerebbe investire parte dei fondi del PNRR (Piano nazionale ripresa resilienza) nella ricerca, per una duplice ragione: migliorare lo stato di salute dei pazienti e inaugurare percorsi scientifici innovativi, che avrebbero una ricaduta sicuramente positiva sulla formazione e sulla salute pubblica. Approfondire tali patologie anche in ambito scolastico consentirebbe di proporre metodologie didattiche alternative, flessibili e funzionali all’apprendimento dell’intera classe.
Le sindromi rare, in quanto tali, non possono e né devono essere considerate un problema “marginale” della società; in uno Stato civile soprattutto le persone più svantaggiate dovrebbero essere sostenute e poste in condizione di sviluppare le proprie potenzialità; per esempio, divulgando, quanto più è possibile, gli aspetti peculiari delle patologie docenti ed educatori potrebbero rapportarsi in maniera più efficace con i propri studenti.
Le patologie rare sono ancora poco conosciute e le iniziative in merito a tale argomento sono davvero poche e invece dovrebbero avere massima risonanza anche da parte di tutti i canali informativi; inoltre lo studio delle stesse può costituire un’avanguardia educativa di sperimentazione e applicazione di nuove prassi e metodologie didattiche in ambito scolastico.
A tal proposito, urge un ammodernamento delle aule / laboratori dedicati al sostegno per favorire l’apprendimento. Molte segnalazioni pervenute al nostro CNDDU evidenziano situazioni di carenze infrastrutturali rispetto alle necessità rilevate.
Il ruolo dell’insegnante di sostegno va riformulato: l’osservazione dello studente con patologia rara deve essere condotta non solo in orario scolastico, ma anche in altri contesti. Il percorso sperimentale da inaugurare comporterebbe un impegno serio e costante, e l’azione didattica dovrebbe essere sviluppata nel tempo senza troppe sostituzioni di figure che si alternano senza un filo logico sulla cattedra preposta. Occorre continuità didattica anche per infondere fiducia nel proprio studente e stabilire relazioni di empatia, necessarie alla costruzione di un dialogo educativo efficace.
Gli studi più avanzati dimostrano che i progressi sono possibili, anche in casi molto gravi, e possono radicalmente cambiare la vita di una persona fragile.
La riabilitazione e l’approfondimento delle ricerche in atto sono fattori irrinunciabili di civiltà. L’inclusione non comporta solo miglioramenti per le famiglie interessate, ma costituisce una forma di progresso per tutta la società, in termini di avanzamento dei diritti umani e di educazione alla cittadinanza responsabile.
Il paziente fragile deve diventare autonomo quanto più è possibile e per ottenere un simile risultato occorre una sinergia efficiente tra scuola, strutture specializzate e interessamento delle autorità competenti.
La vita umana va tutelata e protetta; garantire un futuro meno incerto e oscuro, soprattutto ai giovanissimi, i quali possono beneficiare in misura maggiore di interventi tempestivi appropriati, è un imperativo categorico.