In vista del 44esimo anniversario della morte di Mancuso e Terranova, ho deciso di contattare Giovanni Taormina, Commissario straordinario dell'Ansi (Associazione Nazionale Sottufficiali d'Italia) che a sua volta mi ha messo in contatto con il presidente nazionale dell'Ansi Gaetano Ruocco, e con Carmine Mancuso, il figlio di Lenin, ex poliziotto e politico da sempre in prima linea contro la Mafia sia come uomo che come presidente dell' "Associazione per onorare la memoria dei caduti nella lotta contro la mafia".
Questo è quanto dichiarato da Giovanni Taormina durante la nostra conversazione in merito alle prossime iniziative dedicate a Lenin Mancuso: "Ho scelto insieme alla presidenza nazionale, di intitolare una sede Ansi a Lenin Mancuso. Ho scelto un luogo di prestigio, incastonato dentro una Caserma, che a sua volta fu inserita dentro un convento del XVI secolo. La caserma si trova nel cuore pulsante di Palermo. Lenin Mancuso è stata una delle figure storiche dell'antimafia, era un Sottufficiale di vecchio stampo, che quando lo conobbe, il Giudice Istruttore Terranova lo volle al suo fianco anche durante il suo servizio presso i vari tribunali, come Palermo e Marsala. Anche quando dovette imbastire il primo Maxiprocesso, che portò alla sbarra tutta la sanguinaria mafia corleonese, 154 elementi di spicco, che poi furono tutti assolti. Il Giudice Terranova allora si candidò come indipendente nella lista dei comunisti e una volta eletto andò in commissione antimafia. Li fece dare incarico a Lenin Mancuso come consulente della commissione parlamentare antimafia per due legislature. Purtroppo non vengono riportati i fatti su Lenin e lei non trova questi riferimenti poiché una certa stampa lo definì un semplice autista. Con tutto il rispetto per gli autisti perché svolgono un lavoro dignitoso. Le ho spiegato il motivo per cui insieme al Presidente dell'Ansi Gaetano Ruocco e quello di Palermo, Antonio Girgenti abbiamo scelto di intitolare la sezione di Palermo a Lenin. La Mafia sapeva bene chi fosse Lenin. Tanto che la prima pentita di mafia, Serafina Battaglia quando decise di pentirsi andò sotto casa di Mancuso per parlare con lui. Non si fidava di nessuno perché sapeva che la mafia aveva uomini ovunque". Anche il presidente nazionale dell'Ansi Gaetano Ruocco, dopo averlo contattato, ha accettato di partecipare a questo servizio per ricordare Mancuso e Terranova e ci ha fornito ulteriori approfondimenti su quanto scritto in precedenza. Ecco il suo commento: “Questa intitolazione vuole rendere omaggio a un Sottufficiale che si è distinto per le sue capacità investigative ed è stato per due legislature consulente della Commissione Parlamentare Antimafia di cui fu membro il Giudice Cesare Terranova. Il collega Mancuso ha donato la sua vita per la lotta alla mafia e la libertà da qualsiasi organizzazione criminale, ed è stato decorato di Medaglia d’Oro al Valor Civile.” Dopo le dichiarazioni di Giovanni Taormina e di Gaetano Ruocco, quella che segue è una lettera di Carmine Mancuso, che ringraziamo per la disponibilità e per aver deciso di raccontare ai nostri lettori la storia di suo padre Lenin e del suo grande amico e collaboratore Cesare Terranova. "Buongiorno, innanzitutto grazie per avermi concesso questo spazio. Prima di cominciare vorrei citare una celebre frase di Enzo Tortora durante la trasmissione televisiva Portobello al suo rientro dopo tutte le accuse contro di lui che tutti quanti conosciamo: "Dunque, dove eravamo rimasti?... Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta". Mio padre, Lenin Mancuso nasce il 06/11/1922 a Rota Greca (Cosenza), da madre casalinga e padre commerciante, il quale per avversione al fascismo e nutrendo idee socialiste (subendo per questo conseguenze morali e materiali gravissime) impone il nome Lenin al suo primogenito, manifestando con orgoglio il suo coraggio civile. Nutrendo ideali di libertà, legalità e solidarietà il giovane Lenin nel 1940 si arruola nella polizia, e dopo un corso di addestramento presso la scuola allievi agenti di Caserta, viene prima destinato a Torino, poi a Trieste a guerra iniziata in Dalmazia, territorio occupato dalle truppe italiane, e per oltre un anno presta servizio presso l'allora questura di Spalato. Con il precipitare degli esiti del conflitto mondiale viene richiamato in patria ed assegnato alla questura di Palermo, ove per le sue spiccate doti di sagacia ed investigazione, viene assegnato alla squadra mobile, a quel tempo composta esclusivamente da trenta elementi. Durante i numerosi bombardamenti aerei da parte degli alleati si prodiga nell'assistenza dei superstiti ed il recupero delle vittime sepolte dalle macerie. In conseguenza di ciò, contrae in forma violenta il tifo che ne determina per un lungo periodo uno stato comatoso culminante con la somministrazione dell'estrema unzione.
Nonostante ciò il giovane Lenin poco più che ventenne, benché dato per spacciato, si salva miracolosamente e rimessosi in sesto viene immediatamente destinato alla dura lotta contro il banditismo che in quel momento storico flagella la Sicilia ed in particolare la provincia di Palermo avendo come principale esponente il bandito Salvatore Giuliano che con la sua banda, causerà nelle forze dell'ordine diverse decine di vittime e numerosissimi feriti. Superata tale tragica epopea, il giovane Lenin, si unisce in matrimonio con Caterina Del Tufo. Dalla loro unione nasceranno quattro figli: Carmine, Franco, Antonietta e Marco.
Nel contempo il suo ufficio lo destina allo svolgimento di delicate indagini sulle cosche mafiose. Negli anni sessanta per una circostanza miracolosa scampa alla strage di Ciaculli, messa in atto da Cosa Nostra nel 1963, dove furono uccisi 4 agenti dell'Arma dei Carabinieri, 2 uomini dell'Esercito Italiano, e un sottufficiale della Polizia di Stato. Durante questo periodo numerosi sono gli encomi e i riconoscimenti che gli vengono attribuiti. Nel corso di complesse indagini sulla mafia, Lenin Mancuso si imbatte nella prima cosiddetta pentita di mafia, Serafina Battaglia, moglie del boss Stefano Lupo Leale. La donna, riponendo estrema fiducia in Lenin Mancuso fornisce al suo ufficio e poi al giudice Cesare Terranova, approfondite e dettagliate informazioni sulle cosche mafiose. È quel punto che Cesare Terranova chiede al ministero dell'interno la collaborazione totale ed esclusiva del maresciallo Lenin Mancuso, con cui imbastisce il primo maxi processo, denunciando e rinviando a giudizio 114 appartenenti alla mafia. Da Gaetano Badalamenti, a Stefano Bontade, a Liggio, Riina e Provenzano etc. (in pratica tutto quello che ne scaturisce successivamente negli anni ottanta dalle rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta). Il processo dei 114 non per volontà del fato ma della Cassazione viene celebrato per legittima suspicione a Catanzaro, laddove, tutti i denunciati - benché l'istruttoria fosse stata ritenuta col senno del poi più che solida vennero assolti. Terranova e Mancuso non si arresero e continuarono la loro collaborazione prodigandosi sempre nelle indagini tant'è che i successivi mandati di cattura contro questa agguerrita cosca furono emanati sempre da Terranova con la sempre fedele e professionale collaborazione di Mancuso. Quando Terranova viene nominato procuratore della Repubblica a Marsala, avendo chiesto la collaborazione di Lenin Mancuso, entrambi si imbattono nel caso del cosiddetto "mostro di Marsala", tale Michele Vinci, autore dell'uccisione di tre bambine.
Successivamente Terranova viene eletto deputato, e divenuto membro della commissione antimafia, fa sì che Lenin Mancuso per la sua esperienza ne sia uno stretto collaboratore. Ritornato in magistratura, Terranova viene designato dal C.S.M. a Capo dell'ufficio istruzione presso il Tribunale di Palermo. Il mattino del 25 Settembre 1979, Cesare Terranova al volante della sua auto privata e con accanto Lenin Mancuso si sta recando in Tribunale. All'improvviso da una strada laterale sbucano dei killer di mafia armati di pistole e di una carabina che sparano all’impazzata sui due. Ritenendo Lenin Mancuso il più pericoloso poiché abile tiratore, crivellano di colpi il maresciallo il quale non curante delle sue mortali ferite si butta a mó di scudo sul corpo dell'amico Cesare Terranova, per proteggerlo, ricevendo ulteriori colpi di calibro 45, alcuni dei quali, tuttavia, colpiscono Terranova che muore all'istante. Lenin Mancuso per un miracolo inspiegabile sebbene crivellato e esangue riesce a sopravvivere per circa un'ora. Infatti i primi soccorsi lo rinvengono con il busto riverso su Terranova e con la mano destra sulla fondina sua pistola. Nella sua carriera Lenin Mancuso, a prescindere dalle varie promozioni avute, e per i suoi meriti fino a raggiungere il grado di maresciallo maggiore, risulta insignito di medaglia d'oro al valor civile, medaglia d'argento per meriti di servizio, croci di guerra ed inoltre numerosi encomi solenni, benemerenze, parole di lodi. Occorre precisare che il Giudice Cesare Terranova non ha mai usufruito di alcun servizio di scorta da parte del Ministero dell’Interno o dal Ministero della Giustizia, ne’ tantomeno ebbe mai a sua disposizione un auto di servizio da parte di alcuna amministrazione dello stato. Egli era solito effettuare i suoi spostamenti alla guida della sua auto privata (si fa presente che la guida di autovetture di servizio destinate a magistrati è consentita soltanto ad appartenenti al corpo di polizia penitenziaria). Per quanto concerne il rapporto di servizio tra il giudice Terranova ed il maresciallo Mancuso, che peraltro non ha mai svolto mansioni di autista, era stato autorizzato soltanto per la tutela e per la collaborazione alle indagini relative ai processi istruiti dal giudice Terranova.
Da una erronea informazione giornalistica, il maresciallo Mancuso è stato spesso indicato come l’autista del giudice Terranova, che come detto non risulta corrispondente alla realtà. Peraltro, a prescindere dai rapporti personali che nel tempo si erano creati fra i due, il giudice Terranova nelle ore da lui destinate alla sua vita privata, e cioè dopo le ore di ufficio, non si avvaleva della collaborazione del maresciallo Mancuso. Un fatto che fa riflettere e che ci fa capire che molto probabilmente fin dal principio i bersagli erano entrambi. Alla mafia non interessava solamente la morte del giudice Terranova, perché avrebbe potuto eliminarlo in tantissime altre occasioni mentre si trovava da solo oppure con la moglie. Il secondo uomo da colpire era assolutamente Mancuso, probabilmente scomodo per i mafiosi esattamente come il giudice Terranova, che aveva da tempo capito molte cose, come lasciò intendere durante la sentenza contro Luciano Liggio +114 del '65, quando scrisse: "Oltre che nell'omertà la forza del mafioso risiede anche nella rete di alleanze e protezioni specialmente in campo politico che riesce a procurarsi creando obblighi di riconoscenza e impegni di amicizia da sfruttare". In conclusione non posso fare altro che rinnovare di nuovo i miei ringraziamenti, perché non solo mi avete dato la possibilità di ricordare mio padre, ma avete permesso a tanti altri di conoscere la sua storia".