Di Francesco Graziano Bologna, 11 settembre 2022 - Ho letto il bell’articolo di Guendalina Middei apparso oggi su www.gazzettadellemilia.it trovandomi assolutamente d’accordo con Lei; pur tuttavia vorrei aggiungere alcuni argomenti che sono a supporto della tesi che l’autrice porta avanti nel suo elaborato con una sapienza invidiabile .
Partirò anch’io dai miti greci ( che ancora oggi servono a spiegare molto – parere personale ovviamente- ad esempio i conflitti famigliari, ma non è questa la sede per parlarne in quanto l’argomento centrale del discorso è un altro).
Scrive giustamente la Middei citando l’opera di Antigone nella versione Sofoclea ( come gli studiosi sanno sono stati fatti – e di questo ne abbiamo le prove – decine di “ remake “ ante litteram della vicenda, vieppiù scadenti, verosimilmente di bassa qualità e di cui comunque ci sono rimasti solamente pochi frammenti) che : “ Creonte, re di Tebe, prescrive di lasciare estumulato il cadavere di Polinice che imparentatosi ad Argo aveva mosso guerra alla sua città d’origine come Eschilo – il primo vero innovatore del teatro in quanto lo fece uscire da una certa staticità- racconta nei Sette a Tebe.
Antigone però decide di commettere atto di disobbedienza andando contro il decreto dello zio affinché lo spirito del fratello possa avere quella pace che i morti si meritano. Come ben sappiamo in un primo momento la reazione sarà furiosa tanto che la protagonista verrà sepolta viva in una grotta; quando a seguito di una profezia dell’indovino Tiresia viene deciso di liberare la donna, oramai è troppo tardi, Antigone si è impiccata. Prosegue l’autrice: “ Creonte è il difensore della legge (nomos)”, Antigone invece è mossa dalla pietas, dal rispetto dei legami famigliari e di sangue perché “agisce seguendo la legge divina che è più incisiva dei divieti del Potere”.
Sia il fratello di Edipo che la figlia “ si fanno portatori di due concezioni egualmente legittime e al tempo stesso inconciliabili. Creonte giuridicamente parlando aveva l’autorità per imporre un simile divieto”. La nipote protagonista della tragedia, al contrario dello zio che incarna l’intransigenza della Legge che non ammette eccezioni, “ incarna la pietas che è superiore a qualsiasi legge, perché la trascende” Antigone non si sogna di contestare la punizione dovuta ad un traditore ma riconosce che nella morte tutte le colpe vengono espiate.
“ Nella vita di tutti i giorni – conclude l’autrice- possiamo trovare tanti Creonte , individui inflessibili , arroccati nelle proprie certezze e incapaci di aprire un confronto con punti di vista diversi dal loro, di mediare un compromesso. La tragedia Sofoclea ci costringe anche a domandarci come bisogna agire, rispettando ciecamente le leggi che ci sono state tramandate o agendo secondo coscienza?”.
Questo rappresenta una frattura, un conflitto difficilmente sanabile tra ciò che sentiamo giusto fare e ciò che ci viene imposto, un amletico braccio di ferro tra l’individuo e la società che riappare in tutta la sua drammaticità ogni qualvolta l’essere umano finisce per interrogarsi su questioni etiche.
Nel mondo delle favole i legislatori lavorano con alacremente varando norme il cui unico scopo sia quello di migliorare la qualità della vita umana ma questo non accade perché viviamo in un mondo reale in cui – e la Storia l’ha ampiamente dimostrato- legge e morale si sono dimostrate inconciliabili, due rette parallele destinate a non incrociarsi mai se non in casi sporadici.
Ma andiamo con ordine – ben prima di –Sofocle il cui apporto al teatro è stato di fondamentale importanza, basta pensare all’uso diverso che ad esempio viene fatto delle Rheseis; prima messaggi fatti recapitare agli uomini da parte degli Dei e poi monologhi destinati a sottolineare la solitudine del protagonista di fronte all’ineluttabilità del Fato- ci fu Eschilo con l’Orestea, una vicenda che oggi gli addetti del mestiere definirebbero di cronaca nera ma che rappresenta un terribile atto di sangue. Nella prima delle tre tragedie – l’Agamennone, padre di Ifigenia- non esiterà a sacrificare la figlia per consentire la partenza dell’esercito greco con lo scopo di vendicare il rapimento di Elena – moglie del fratello Menelao da parte di Paride, uno dei figli del re troiano Priamo ( in un’altra opera scopriremo che la ragazza all’ultimo verrà salvata e portata in un’isola dove venivano commessi sacrifici umani ma speriamo di aver suscitato l’interesse di qualche lettore e quindi – come si dice oggi non faremo “ spoiler” di più vicende che racchiudono dentro di loro la complessità dell’animo umano).
Nella seconda opera le “ Coefore” Agamennone ritorna vincitore nel palazzo con una schiava in segno di vittoria – Cassandra- la quale lo ammonisce di non entrare nella reggia perché si sarebbe compiuto un drammatico agguato; il protagonista, non ascoltò la schiava e mal gliene incolse perché una volta entrato la moglie Clitemnestra con il suo nuovo amante Egisto compie la sua vendetta di donna arrabbiata contro l’uomo che le aveva sottratto una figlia in nome della ragion di Stato prendendo così il potere al posto del defunto marito.
Nelle “ Eumenidi” il figlio di Agamennone accompagnato dall’amico Pilade diventerà un matricida perché per riparare al torto subito – la morte del padre – non esiterà a trasformarsi in assassino su ordine del Dio Apollo che gli aveva esplicitamente ordinato di vendicare la morte del genitore; mentre Oreste sta per scagliare il colpo fatale contro la madre oramai indifesa, ella in gesto di supplica scopre il seno, di fronte ai tentennamenti del figlio Pilade pronuncerà gli unici versi in tutta la tragedia e ricorderà all’amico l’ordine impartitogli dal Dio del sole, il destino deve compiersi e la donna morire.
Dopo un processo celebrato sul monte dell’Areopago Oreste verrà assolto anche grazie all’intervento di altri Dei perché ha semplicemente ubbidito agli ordini di chi gli è superiore cioè un Dio senza porsi questioni etiche di sorta. Nessuna riflessione sull’atto, solo obbedienza, la banalità del male ben prima dei gerachi nazisti citati dalla Arendt. In un mondo ideale Oreste sarebbe dovuto finire all’ergastolo ma appunto ritorniamo al principio della trattazione: spesso e volentieri morale e, io aggiungerei etica, diventano incompatibili.
Durante il fascismo e nazismo era legge denunciare chi fosse ebreo privandolo dei più elementari diritti e si poteva tranquillamente arrivare al paradosso Kantiano per cui se la vita è dovere io ho l’obbligo morale di confessare al ladro entrato in casa mia dove si nascondono i miei cari; fortunatamente gli anticorpi hanno spazzato via le tossine che lo Stato- organismo aveva prodotto per cui oggi chi teme la dittatura fascista sostenendo che siamo ritornati al 1916 dovrebbe leggersi una paginetta di un libro di storia. Da almeno dieci anni si sente parlare di recrudescenza del fascismo ma – non mi stancherò mai di dirlo con tutti i difetti che ha viviamo sempre in una democrazia – piaccia o no – che impedirà l’avvento di un nuovo Mussolini a palazzo Chigi e basta osservare la storia recente per comprendere ciò che vorrei comunicare al lettore; da vent’anni parliamo di dittatura e di rivoluzione- quasi sempre davanti ad uno dei spritz e dei salatini – e dopo esserci saziati quella rivoluzione e quella dittatura non voglio nemmeno immaginarmi dove vadano costantemente a finire. Con la dittatura ci siamo potuti laureare il più delle volte senza studiare, con la dittatura abbiamo potuto scrivere su Youtube che Berlusconi è un mafioso puttaniere. Stiamo attenti quando tiriamo fuori i concetti di Dittatura e democrazia e magari per fare gli splendidi – in relazione al contesto italiano – citiamo persino Fahrenhei 451 di Orwell che proprio con noi non c’entra una ceppa.
Quando ci furono le stragi del ’92 qualche anno prima si celebrò il maxi processo che portò alla sbarra centinaia e centinaia di mafiosi grazie all’indefesso lavoro di Falcone, Borsellino e di tutto il pool antimafia. Dopo l’incredibile sentenza di primo grado che smontava quella piramide criminale chiamata Cosa nostra composta da capi e gregari arrivò la sentenza d’appello che tutte quelle pene le dimezzò. Per gli appassionati di ricerca d’archivio andate a rileggere gli articoli dell’epoca e di come Falcone cercò di nascondere l’espressione di smarrimento e probabilmente di schifo abilmente dipinta dai cronisti; fortunatamente la Cassazione sconfessò quella sentenza ripristinando tutto il lavoro svolto dai servitori dello Stato che tuttavia finirono uccisi insieme ai famigliari e agli agenti della scorta dal tritolo piazzato dai Corleonesi.
Dopo quella contestata sentenza d’appello che poco sopra ho richiamato Nando Dalla Chiesa, scrisse un editoriale di fuoco su un quotidiano che più di tutti ha trattato il tema mafia e che ha fatto da scuola ai più grandi giornalisti che oggi vediamo in televisione, parliamo de L’ora, fondato se non sbaglio nel 1902 e chiuso – coincidenza strana- qualche giorno prima della strage di Isola delle Femmine dove morì Giovanni Falcone.
Ebbene sapete cosa disse il magistrato estensore di quella odiatissima sentenza: Mi dispiace per Dalla Chiesa, come cittadino non posso fare altro che dolermi ma come sosteneva Cicerone “ Sono schiavo della legge”.
Dispiace dirlo ma oggi la situazione non sembra cambiata molto, si avverte la sensazione sgradevole che appena scrivi la verità in qualche modo – in forme gravi o meno gravi – cerchino di fartela pagare in tutti i modi; questa situazione i giornalisti la vivono sulla propria pelle facendo parte di una categoria di professionisti per nulla aiutata; è triste da dire ma se racconti i fatti puoi finire in tribunale sottraendo così del tempo al tuo lavoro.
Le storture e le disfunzioni del sistema legislativo, della nostra democrazia continueranno ad essere denunciate perché fortunatamente esiste il bene che grazie a questi mali risalta ancora di più, facendo così crescere generazioni di persone sempre più consapevoli – e di questo ne sono sicuro perché avverto la sete di giustizia che gira tra le persone- che nessuno può arrogarsi il diritto di importi una legge ingiusta a guisa di quelle fasciste e naziste e pretendere che tu le rispetti senza ribellarti. Questa è la lezione che ad esempio ci ha lasciato Socrate. Quando i suoi allievi provarono a convincerlo a fuggire, lui con l’intransigenza dei veri intellettuali oppose un netto rifiuto dicendo loro: “ Fino a quando la legge è questa io la rispetterò ma ognuno di voi, con il dialogo e il rispetto reciproco può cambiare le cose, non dimenticatelo”. Ecco , non dimentichiamocelo.