Antonio Pennacchi ci ha lasciato.
La letteratura italiana oggi è ancora più orfana.
Orfana di un uomo che ha raccontato l’Italia e l’Agro Pontino facendone un capolavoro.
Con Canale Mussolini ha vinto il premio Strega, un libro diventato occhi vivi di ricordi del durante e dopo guerra.
Cosa mancherà di questo uomo e di questa penna?
Le radici.
Antonio Pennacchi nasce come operaio, la sua è una voce ruvida che si incastra tra la terra paludosa e le case basse e dritte di Latina.
Ogni suo libro è la biografia della sua Italia, del dolore, del frastuono e della ricostruzione.
Nel suo sangue scorreva sangue veneto ed umbro, e come tanti veneti sono arrivati in terra Pontina per ricostruirsi la vita durante il periodo fascista della bonifica dell’Agro Pontino.
Dal libro “Il Fasciocomunista”, definito autobiografico, me viene fuori il film “Mio fratello è figlio unico” regia di Daniele Lucchetti.
Rappresenta il suo essere politico, l’avvenenza, l’ardore, la miseria di una scuola di pensiero e quel cuore che ha sempre battuto per la storia, nuda e cruda ed a tratti romanzata, per alleggerirla dal dolore.
Abbiamo bisogno di qualcuno che attraverso i libri ci racconti chi siamo, le radici, appunto, e lui riusciva a farlo come fosse un padre, talvolta duro, altre volte carezzevole, ma sempre amorevole.
In quelle paludi, tra quei campi costruiti dalla fatica del sudore e della speranza, in mezzo all’umidità estiva ed il profumo di mani sporche di terra, mancherà questo uomo.
Pennacchi resterà il grande narratore della nostra grande Italia.
“Siamo, come tutti, fuscelli nel vento del destino. Andiamo dove quel vento ci porta. E arrivati lì facciamo, ogni volta, quello per cui quel vento ci ha portato.”
a cura di Claudia Mancini
(team parliamodilibri.it)