Il gruppo di Piacenza è uno dei più importanti gruppi italiani attivi nel campo della musica antica e tradizionale, in particolare dell'area dell'Appennino Nord Occidentale. Dalle esibizioni live al cinema, il repertorio è vario e viene eseguito con strumenti antichi. L'intervista a Maddalena Scagnelli, voce e violino.
Di Manuela Fiorini
Piacenza, 19 novembre 2016
Il nome del gruppo è stato ispirato al castello di Erbia, che si trova presso San Boceto in Val Perino, nel comune di Bettola (PC). Gli Enerbia è un ensemble attivo da più di quindici anni ed è uno dei più importanti a livello nazionale nel campo della musica antica e tradizionale, in particolare dell'area dell'Appennino nord occidentale, tra le province di Piacenza, Genova, Pavia e Alessandria, culturalmente e storicamente legate da un passato comune. In queste zone, il canto, il ballo, la musica accompagnavano i momenti più importanti della vita, come il fidanzamento, il matrimonio, le nascite e le morti, ma anche il passaggio tra le stagioni. La mission degli Enerbia, composti da Maddalena Scagnelli, voce e violino, Franco Guglielmetti, fisarmonica, Gabriele Dametti, piffero, Claudio Schiavi e Davide Confalonieri, contrabbasso, Davide Cignatta e Massimo Visalli, chitarra, è quello di fare rivivere gli antichi balli come la Giga, la Piana, l'Alessandrina o il Perigurdino, alternati a quelli più moderni, come il valzer e le polke, a anche i canti e le musiche che, ancora, oggi, grazie alla tradizione orale, ancora risuonano tra le valli delle Quattro Province. Dietro a ogni brano, c'è una vera e propria ricerca storica e anche gli strumenti sono il frutto di una tradizione antica.
Ne abbiamo parlato con Maddalena Scagnelli, voce e violino, che si occupa anche della ricerca storica e musicale dei brani e cura gli arrangiamenti musicali.
Come avviene la scelta dei vostri brani?
"Scegliamo sia quelli tramandati oralmente, da musicista a musicista, sia quelli colti, che magari sono conservati in giacimenti culturali importanti. Per esempio, per quelli dei repertori più antichi o medievali, è importante il Monastero di Bobbio, uno dei fulcri religiosi e culturali dell'Appennino emiliano-ligure, che ha un archivio molto importante. Poi ci sono le melodie dei grandi artisti e la tradizione popolare. Noi cerchiamo di valorizzare questi antichi repertori, che hanno un filo conduttore: nelle tradizioni popolari, un crogiolo di gruppi vocali, musicisti, tradizione orale, si è conservata la memoria di questi canti antichi. Ed è una memoria viva".
Anche gli strumenti musicali che utilizzate nelle vostre esibizioni hanno una storia?
"Sì, oltre alla musica, ci sono stato tramandati anche gli strumenti originali, che si sono conservat nonostante l'arrivo di strumenti "moderni". Tra i più interessanti c'è la piva emiliana, che è una zampogna fatta con la pelle di pecora e la sua esistenza è attestata da testimonianze fotografiche fino agli anni Sessanta. Un altro strumento interessante è il piffero, che non è un flauto, ma un oboe, e ha un suono molto pieno, ad ancia doppia. Nella zona estrema dell'Emilia Romagna, cioè le antiche terre del Ducato di Parma e Piacenza, che confina con Piemonte, Liguria e Oltrepò pavese si è conservata ancora viva la tradizione di eseguire musiche con questi strumenti".
La ricerca storica dei brani invece come avviene?
"Ci basiamo sulla memoria, sulla tradizione orale, che è stata però tramandata con mille varianti. Registriamo gli anziani musicisti e i cantori, poi dalle registrazioni prendiamo i brani e li riproponiamo. Siamo andati a registrate in tutto l'Appennino. Si parte quindi con una ricerca antropologica "dal vivo", poi ci basiamo sulle trascrizioni fatte negli anni 50 e 60, quando i grandi etnomusicologi stranieri registravano le tradizioni italiane".
Come li riproponete al pubblico di oggi?
"Facciamo un restauro conservativo. Utilizziamo solo strumenti acustici e antichi. E non ci sono arrangiamenti. Il risultato sono musiche molto più piacevoli. Cerchiamo di mantenere il suono il più possibile vicino alla sua struttura originaria e utilizzando solo strumenti originali e le voci naturali"
Alcune delle vostre musiche sono state utilizzate anche al cinema.
"Sì. Ermanno Olmi ha utilizzato due valzer popolari, Il valzer dei disertori e E c'era una ragazza, nel film I cento chiodi, ambientato lungo il Po, nella scena di pathos amoroso tra la giovane fornaia protagonista e il misterioso giovane. Giuseppe Bertolucci ha invece utilizzato alcuni brani tratti dal CD Così lontano l'azzurro nel suo documentario televisivo con Edmondo Berselli Un paese chiamato Po, andato in onda su Rai Due, per sottolineare l'intima e immediata connessione tra la musica e i paesaggi".
Per approfondire: www.enerbia.com