Non erano certamente al mare o in montagna gli emiliano romagnoli disertori delle urne quel memorabile 23 novembre 2014.
di Lamberto Colla -
Parma, 30 novembre 2014 -
23 novembre 2014 è una data da tenere in mente. Una data che segna uno spartiacque tra cittadini e politica come non si era mai visto.
Prima fu il voto alla Lega Nord e la raccolta di consensi dell'Umberto Bossi prima maniera, a segnalare il disagio della base oltre 20 anni fa. Poi venne Grillo e il Movimento 5 Stelle che, dalla sera alla mattina, divenne il primo partito nazionale.
Fu un vero e proprio choc per i politici di professione e, molto probabilmente, lo fu ancor più per Piero Fassino - oggi presidente della associazione dei sindaci d'Italia ma all'epoca ai piani alti della corazzata PDS. La sfida lanciata da Fassino nel 2009 fu, per certi versi, profetica: "Se Grillo vuol fare politica fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende".
E così fu, dal web al M5S, la magia si realizzò. Il voto di reazione trovò nuova accoglienza dopo la delusione della Lega e del berlusconismo con una sinistra che, oltre a minacciare la smacchiatura dei leopardi, non era capace di esprime una politica originale, così concentrata a schermare di fioretto con Silvio Berlusconi, in persona, tralasciando di parlare e soprattutto di fare politica.
Quasi inevitabilmente venne il commissariamento da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e i governi tecnodemenziali di Monti e Letta, che diedero il "la", finalmente, per un cambiamento radicale sia in termini di vetustà sia nella comunicazione politica. L'energia emozionale di Matteo Renzi, anch'egli imposto dal "coach della nazionale dei politici" Napolitano, ha scaldato i cuori di tantissimi e raccolto la fiducia in men che non si dica. Ma alla luce degli ulti avvenimenti e delle opposizioni interne e esterne al suo partito sta rischiando, altrettanto rapidamente, di perdere il consenso se non rivolterà l'Italia come un calzino.
L'italiano ha fretta di cambiamento. Ha bisogno di lavoro, di sicurezza, di dignità, di speranza nel futuro.
E i linguaggi per farsi intendere il popolo li ha usati tutti come abbiamo visto. L'urlo del silenzio, espresso dall'astensionismo soprattutto emiliano, ne è una riprova se ancora ce ne fosse stato bisogno.
Mai, nemmeno nelle corse alla bocciature dei referendum si era assistito a un simile risultato. Solo il 37,7% della laboriosa, democratica e sanguigna Emilia Romagna è andato a votare.
Un urlo di rabbia che ha squarciato i cieli. Gli emiliano romagnoli, fieri di andare a esprimere il loro "voto" coscienti di contribuire a consolidare la democrazia sono invece, questa volta, rimasti a casa. Non c'era la scusa di mari o dei monti, quel 23 novembre 2014 gli italiani hanno deciso per lo sciopero dell'urna. Ma i votanti avrebbero potuto essere ancora meno. Molti si sono quasi fustigati per partecipare all'esercizio democratico del voto e, forse, si sono pentiti di non aver contribuito a ridurre ancor più quella percentuale votante.
E, alla luce di questo risultato, il Premier osa dichiarare che l'"Affluenza è un problema secondario".
Sogno o son desto! Quello che non avrebbe dovuto dire l'ha detto. Si potrebbe anche interpretare che quel 37,7% che è andato, per di più malvolentire, a votare poteva anche starsene a casa. La vittoria e la riconquista delle due regioni da parte del Pd era l'obiettivo da raggiungere, con o senza voti.
Bene, con o senza voti, qualcuno prima o poi conquisterà il Campidoglio, il Quirinale, l'Aventino e tutti i sette Colli e al voto non verrà più chiamato nessuno. Questione di Spending review ovviamente.
Attento Matteo! Non montarti la testa.
Ormai gli italiani le hanno provate tutte per dichiarare "democraticamente" il loro disappunto. Non resta che l'uso della irragionevole "forza".