La fotografia di presentazione sul profilo Facebook dell’associazione Al-Amal è dedicata a loro. Una squadra di donne sorridenti in una catena solidale di braccia.
Al-Amal in italiano significa “la speranza”. All’auspicio solenne invocato dal nome si aggiungono parole eloquenti: sfide e opportunità. E ancora: storie di successo italo-marocchine. La parola “sfide” è scritta in carattere maiuscolo: in evidenza rispetto a “opportunità”.
Nabila Mhaidra ha fondato l’associazione, nel 2016, e la presiede. Un gruppo ispirato alla cultura e ai valori del Paese di origine impegnato nella promozione di socialità solidale. Dal sostegno alle persone terremotate in Marocco all’organizzazione di iniziative dedicate a chi vive con difficoltà: ultima, solo in ordine cronologico, la condivisione del rito dell’Iftar, l’interruzione del digiuno durante il Ramadan, con le persone accolte al campo di Martorano.
Una lavoratrice migrante al servizio di chi arriva da lontano.
Giovane donna proveniente dal Marocco con una significativa esperienza di radicamento nel tessuto sociale e nel mercato del lavoro locale, siede dall’inizio del 2024 alla presidenza dell’Anolf di Parma, Associazione nazionale oltre le frontiere, che dà voce e supporto alle persone migranti, nell’alveo del sindacato Cisl.
Un sorriso sicuro. Parole luminose per le donne intorno a lei. Marocchine, italiane e a tutte le donne del mondo incontrate fin qui.
Dalla narrazione dedicata al suo percorso di lavoratrice migrante sbocciano diversi volti, quasi tutti femminili. A partire dal primo viaggio di andata, dal Marocco all’Italia.
Il primo volto è il suo.
Lei, giovanissima, comincia il lavoro come operaia addetta al confezionamento del vetro. Il fine è l’autonomia, sentita come raggiungibile. Il lavoro è il mezzo. “Non avevo la macchina. Non parlavo bene l’italiano. La modalità di ricerca lavoro era diversa. Era necessario presentarsi. Convincere il datore di lavoro. Dimostrare la volontà, l’impegno, la capacità di fare qualcosa che magari non avevi mai visto fare.”
Una ragazza alla ricerca di lavoro. Lo trova. Intraprende il percorso di integrazione in questo modo. Semplicemente lavorando. Intanto osserva il mondo intorno, in movimento. Un fermento di spunti culturali provenienti dagli anfratti sconosciuti del globo.
“L’esperienza di lavoro in fabbrica – commenta - mi ha fatto crescere. Ha segnato un passaggio: da ragazza a persona matura. Rispettare gli orari, le consegne, stare in un gruppo composito. Erano molte le colleghe del nord Africa: uno sguardo sul mondo cadenzato dai ritmi di lavoro e affollato di persone di provenienze e culture differenti.” Dall’Italia rientra in Marocco, dove sono rimasti gli affetti, i luoghi cari. Quindi, di nuovo in Italia. Dove viene richiamata dal datore di lavoro, che le permette di avere il visto per il rientro nel Paese.
Altri volti, si affacciano dalla narrazione. Sono quelli della sua famiglia. E’ per loro che pensa, cerca ed escogita soluzioni organizzative e di lavoro. Anche per loro.
La conciliazione tra vita privata e impegno professionale non è facile da gestire. Il passaggio dalla fabbrica al settore delle pulizie risulta funzionale per un certo tempo. Qualche volta gli orari frammentati delle pulizie rappresentano una risorsa per chi deve coniugare responsabilità diverse. Poi il tempo frammentato si ricompone in orario stabile: “Addetta alle pulizie all’Iren, quindi operaia full time con le stesse mansioni all’Esselunga. Era un modo per mantenere la famiglia.”
La monotonia della mansione la spinge a un bilancio personale: “Mi sono chiesta se davvero fosse quello il mio lavoro. E’ così che ho deciso di iscrivermi alla scuola serale. In Marocco avevo frequentato il primo anno delle scuole superiori. Qui era possibile seguire le serali all’Istituto Giordani. Tre anni in due, poi l’esame per il diploma.“ Impegnativo ma possibile. Raggiunge l’obiettivo, la lavoratrice-studentessa. E subito dopo si ferma. A riflettere. Dedica tempo alla famiglia, ai figli. Il riposo dal lavoro porta consiglio. Rilancia e segue il corso per mediatori culturali e la formazione per conseguire la qualifica di Tagesmutter. Lavori di relazione, per i quali Nabila Mhaidra si sente portata.
E’ questa la direzione professionale. “La mediazione culturale era il mio mondo. Arabo, francese, italiano: ho fatto mediazioni per l’azienda sanitaria locale, per le scuole, per il centro antiviolenza. E per altre organizzazioni della città. Nel frattempo ho iniziato un altro lavoro, come operatrice socio sanitaria. All’epoca non avevo la qualifica. Ma le esigenze di personale da parte delle cooperative sociali erano fortissime. E tendevano ad assumere anche senza qualifica. Ho conseguito la qualifica di operatrice socio sanitaria mentre lavoravo.”
Altri volti, ancora, entrano nel racconto: quelli delle persone assistite. Alle quali dedica attenzione e cura. Loro le fanno conoscere la città. L’accolgono e le regalano spezzoni di Storia italiana, pagine di vita parmigiana. Flash back delle loro biografie compongono l’affresco culturale e sociale della città.
E Parma si rivela con discrezione, a voce bassa, a margine della relazione di aiuto. “Mi sono innamorata di Parma e della sua cultura grazie a questo lavoro. L’umanità del lavoro è cultura. Quando si entra nelle case delle persone, quando si instaura confidenza e fiducia si conosce Parma. Si incontra la città. Parma è una grande casa.”
Forte, ritorna il richiamo allo studio nelle giornate di lavoro. Imperativa l’esigenza di proseguire con la formazione. “Sono ritornata – dice l’intervistata - sulle tracce della mia famiglia di origine. I miei genitori hanno studiato. Vengo da una famiglia che ama lo studio. Ma non volevo ritornare alla scuola serale. Ho conseguito il diploma di maturità nell’ultimo anno nel quale era possibile sostenere l’esame da privatista all’Istituto Sanvitale.”
Una donna migrante con lo sguardo rivolto in alto e i piedi ancorati a terra. Otto anni di lavoro come assistente domiciliare, a prestare cura e pensiero. Che non si spegne una volta usciti dalle case. E che lascia addosso venature di sofferenza, inaspettata visitatrice.
Ombre e luci. Ricordi belli, pennellate pastello nel buio del dolore. “Quella ragazza bella con il fazzoletto. Mi chiamavano così. Le persone mi cercavano.”, ricorda Nabila Mhaidra. E’ entrata nelle case a voce bassa e in punta di piedi. “Io sono di fede musulmana. Sapevo bene che avrei incontrato persone di cultura diversa dalla mia. Ho trovato un compromesso. Al posto del velo indossavo un cappellino. Non ho imposto in modo imperativo una diversità. Il tempo della conoscenza è importante. E una volta conosciuti, tutto è facile.” Cammina spedita la relazione con Parma, fra i muri domestiche, con le persone. Protetta nell’abbraccio metaforico di un sorriso attento e sicuro. Una dimostrazione di affetto, che non confligge con la professionalità richiesta dal ruolo.
Anche Parma si innamora di lei. L’azienda per la quale lavora come assistente domiciliare le propone un ruolo di coordinamento: come responsabile assistenza anziani. Tra le carte dell’ufficio e il coordinamento dei gruppi di lavoro, cambia punto di vista. Vede da un osservatorio più ampio il mutamento in corso. Punta la lente di ingrandimento sui particolari della relazione che le capita di vivere per lavoro.
“L’operatore socio sanitario è un mestiere difficile. Hai a che fare con le fragilità. Le persone hanno bisogno di te per tutto. Ci si sostituisce a loro nella quotidianità. E’ necessario stabilire una relazione di aiuto con gradualità e consapevolezza. Essere delicati.”
Parla di empatia in un anfratto del suo dire, quasi un passaggio scontato. E lascia intendere quanto sia importante modulare comunicazione e relazione. In una società che ha vissuto diverse ondate di migrazioni, composta da lavoratori migranti con il ruolo di assistenti e assistiti migranti diversamente integrati. “Le cose si complicano quando le persone da assistere sono di cultura diversa. Per una persona anagraficamente matura la diversità culturale potrebbe rappresentare un ostacolo, una barriera tra sé e l’operatrice impegnata nel lavoro di cura”.
L’operatrice intuisce il nodo, destinato a diventare centrale nel futuro già iniziato, durante la formazione per il conseguimento della qualifica di responsabile assistenza anziani: “Il percorso formativo dovrebbe essere ripensato. Ormai ci sono molti anziani di origine straniera. Ci sono diverse generazioni di persone migranti, che vivono qui da tempo e che hanno necessità di usufruire dei servizi socio-sanitari. Abitudini, odori del cibo, cibi diversi: è importante prestare attenzione alle differenze culturali. Importante inserire un modulo dedicato al cambiamento culturale, alle diverse provenienze. Quello che non si conosce spaventa. E’ necessario favorire l’avvicinamento delle culture, facilitare la conoscenza.”
L’assistenza impone di entrare e di uscire dalla vita degli altri. Sfiorarla non è sufficiente.
Rispettare la vita degli altri significa riconoscere le sfumature.
Andare e tornare allena la vista a cogliere il dettaglio. Andare e ritornare dai luoghi, dalle culture di riferimento.
Nabila Mhaidra e il suo rapporto con il Marocco: un altro volto di donna alla finestra della grande casa delle donne. “In Marocco, ritorno spesso. Da mia nonna. Un legame forte. Andare e ritornare permette di avere una visione ampia e di diffondere spunti culturali differenti.”
Foto di gruppo al femminile, anche nel futuro prossimo: “Sociologia delle migrazioni, con focus dedicato alle donne immigrate”: uno degli obiettivi della Presidente.
Non è una promessa, ma una dichiarazione di interesse culturale.
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(Link rubrica: lavoro migrante ” https://www.gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=lavoro%20migrante&ordering=newest&searchphrase=exact&limit=30 )