Di Giulia Bertotto Roma, 8 giugno 2023 (Quotidianoweb.it) - L’opera si apre mostrando le differenze (planetarie anche se avvenute in una manciata di anni terrestri!) tra quelli che l’autore chiama regime disciplinare -il quale ha governato il mondo fino alla seconda metà del Novecento- e il regime dell’informazione.
Il primo si reggeva economicamente sul capitalismo industriale, il secondo prospera sul capitalismo dei dati. La sua filosofia è il dataismo: nulla che non sia in forma di dato quantificabile esiste realmente.
Il regime disciplinare vincolava il cittadino con obblighi e coercizioni, quello dell’informazione rinforza l’obbedienza con stimoli positivi, che fanno leva su meccanismi emotivi arcaici: il like è un assenso ringhiato del branco.
Il regime disciplinare sottometteva con la paura, il regime dell’informazione seduce con il piacere: non solo, spinge i suoi cittadini, ormai utenti-consumatori, a offrire se stessi e la propria sfera privata spontaneamente. Nel regime della disciplina si fuggiva dalla sorveglianza, ora la si cerca mediante la brama dell’esposizione, come vediamo sui social. Il cittadino ha interiorizzato l’esibizione che favorisce il sistema di potere che lo domina, profilandone gusti e bisogni (più o meno indotti) meglio della mamma o della fidanzata. Al contempo, mentre la sua vita privata diventa illusoriamente importante agli occhi del panottico social, la sua identità civica subisce una rovinosa e inconsapevole depoliticizzazione. Il cittadino del regime dell’informazione non è isolato, è iper-connesso, eppure tra i lavoratori non c’è alleanza in virtù dell’interesse collettivo, i sindacati sono associazioni di facciata, le piazze sono vuote. La politica diventa superflua perché secondo i dataisti l’Intelligenza Artificiale sa meglio della volontà popolare di cosa ha bisogno l’umanità. Il problema esiziale è che gli elettori, delusi, ci hanno creduto, sono caduti nella trappola dell’antipolitica.
Scrive il filosofo Paolo Ercolani: “Se l’uomo in quanto tale avesse un nome, al di là dei singoli individui che ne posseggono uno proprio, questo sarebbe Narciso. Non solo e non tanto il personaggio mitologico condannato a innamorarsi della propria immagine, quanto piuttosto quello che la psicologia ha fatto proprio per definire icasticamente una patologia specifica”. L’umanità-Narciso “non riesce a vedere la bellezza che porta dentro di sé” e perciò, seguendo ancora il docente italiano, “si autocondanna al culto dell’esteriorità”.
A differenza di quanto affermato da Foucault non siamo già più nell’era della biopolitica -paradigma che fondava il suo dominio sul controllo del corpo- ma siamo già approdati, attraverso dispositivi tecnologici sempre più invasivi, all’epoca della psicopolitica. Le informazioni, scrive letteralmente Han, vengono usate come armi.
In questo scenario cambia il modo di percepire il tempo, mutano così le più profonde dinamiche cognitive della specie umana. Scrive Han: “questa crisi comincia già a livello cognitivo. Le informazioni hanno un ristretto margine d’attualità: manca loro la stabilità temporale, in quanto vivono del fascino della sorpresa. A causa della loro instabilità temporale esse frammentano la percezione: gettano la realtà in un vortice permanente di attualità. E’ impossibile soffermarsi sulle informazioni: così, esse, mettono in agitazione il sistema cognitivo”.
Questo contribuisce alla perdita della razionalità e a quella che il filosofo chiama tribalizzazione del discorso pubblico. La ragione ha bisogno di tempi lunghi per ponderare, la reazione istintiva è invece immediatamente pronta all’assalto dell’altro e alla barbarie mediatica. Il regime infocratico sbandiera parole di civiltà, parla continuamente di diritti, ma alimenta le pulsioni più basse dell’animalità umana.
Han ci riporta un esempio solenne:
“Il discorso politico del XIX secolo, plasmato dalla cultura libraria, aveva tutt’altra estensione e complessità. Un esempio lampante è dato dal famoso confronto pubblioc tra tra il repubblicano Abraham Lincoln e il democratico Stephen A. Doiuglas. In un duello oratorio del 1854 Douglas parlò per primo per ben tre ore. Lincoln ebbe a sua volta tre ore per replicare. Entrambi gli oratori illustrarono complessi fatti politici mediante formulazioni in parte estremamente complicate. Anche la capacità di concentrazione del pubblico era straordinariamente alta. La partecipazione al discorso pubblico era, per i cittadini dell’epoca, una componente stabile della loro vita sociale”.
Han parla di “cultura libraria”, infatti l’oggetto forte del regime della disciplina era il libro, con la sua maestosa fatica cognitiva; oggi la fatica di inseguire ogni sussulto di notizia twittata è perfino aumentata, ma il valore di quanto appreso e compreso è gravemente diminuito. Non ci si può soffermare, il regime ha bisogno di carburante cinguettante. Il cittadino era (e)lettore, oggi il cittadino è avatar virtuale di se stesso.
Muta il modo di recepire e abitare il tempo e la qualità dello stesso.
La classe dirigente ostacola l’attenzione, contrasta la concentrazione, ostracizza la partecipazione politica; la complessità viene sostituita da formule lapidarie, sintesi infantili, accuse puerili e strumentalizzazioni violente. In città ci sono i no vax e i si vax, al fronte c’è un aggredito e un aggressore, il resto deve essere tagliato via dal rasoio di Occam 2.0.
Come non pensare alle parole della filosofa, attivista e mistica francese Simone Weil sul ruolo sociale e spirituale dell’attenzione? L’attenzione è svuotamento dell’io, in una società naricisistica di insicuri cronici.
“L’attenzione è distaccarsi da sé e rientrare in se stessi, così come si inspira e si espira” scrive in Attesa di Dio. “Il pensiero deve essere vuoto, in attesa, non deve cercare alcunché ma essere pronto ad accogliere nella sua nuda verità l’oggetto che sta per penetrarvi” aggiunge Weil con il suo appassionato trasporto. L’attenzione è apertura al mistero, adesione kenotica a ciò che è incoscibile, arcano. A quella dimensione apofatica che sarà sempre oltre la portata conoscitiva umana. Il limite gnoseologico è allora liberazione nella Grazia.
La dimensione religiosa è rovesciata: dalla fede in ciò che è magnificamente inaccessibile al dogma della limpidezza commerciale. Tutto deve essere disponibile. Il diritto diventa capriccio, l’utero diventa incubatrice su commissione, aggiungiamo noi.
La Ka’ba islamica è nera, chiusa, oscura e misteriosa, le sedi Apple sono bianche, apparentemente aperte, e obbediscono al comandamento della trasparenza, osserva Han guardando in direzione de La Mecca. “I dataisti credono che i Big Data e l’AI ci garantiscano uno sguardo divino onnicomprensivo, che rilevi con precisione tutti i processi sociali e li ottimizzi nel bene di tutti” prosegue. Lo sguardo onnisciente si irradia da La Mecca circolare dell’Apple Park.
Non deve più esserci alcun mistero, peccato che in fondo l’esistenza non sia altro che mistero. Oggi le nuove generazioni digitali, che non hanno conosciuto relazioni analogiche, trovano al posto della scuola che li tempri ed educhi al pensiero critico, un’azienda che li prepara al lavoro. Lavoro che poi probabilmente non avranno, sostituiti da macchine molto più performanti di loro.
“Gli studenti (...) devono amare ogni materia di studio perché tutte fanno crescere quell’attenzione che, orientata verso Dio, è la sostanza stessa della preghiera” scriveva ancora la mistica. La preghiera è qui intesa come processo meditativo, sforzo di concentrazione estatica, capacità di distacco dal cannibalismo del mondo.
“Nella nostra anima c’è qualcosa a cui ripugna la vera attenzione molto più violentemente di quanto alla carne ripugni la fatica. Questo qualcosa è molto più vicino al male di quanto lo sia la carne. Ecco perché ogni volta che si presta veramente attenzione si distrugge un po’ di male in se stessi” ci dice una profondissima Weil.
Secondo una certa tradizione, la Pietra Nera all’interno del più sacro sito islamico, sarebbe un meteorite bianco che, caduto sulla terra, avrebbe assorbito tutti i peccati dell'uomo, assumendo così il colore nero. I pellegrini roteano come la terra intorno alla reliquia cosmica.
A voler essere anche noi sbrigativi potremmo dire che l’Attenzione si volge al bene, e la frettolosa ansia dataista si inchina al male?
Forse, all’ospite extraterrestre, potremmo dire che l’umanità è In attesa di Dio.
Testi consultati e riportati:
Buyng-Chul Han, Infocrazia Einaudi 2021
Simone Weil, Attesa di Dio Adelphi 2008
Paolo Ercolani, Nietzsche l'iperboreo: il profeta della morte dell'uomo nell'epoca dell'Intelligenza artificiale Il melangolo 2022
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