Di Manuela Fiorini 2 agosto 2020 - “Come sarebbe che devi assentarti per almeno una settimana?”. Alma sgranò gli occhi preoccupata, mentre Eugenio, lo spirito del suo bisnonno che non la lasciava un attimo, emetteva una luce azzurrina per la sorpresa. Rodolfo Lapidario assunse un’espressione un po’ colpevole. Anche a lui non piaceva assentarsi dalla sua agenzia di Onoranze Funebri e, inoltre, sarebbe stata la prima volta che gli toccava andare a risolvere una questione tanto lontano.
“In fondo è per questo che vi ho assunto come “segretari”: per sostituirmi e mandare avanti l’agenzia quando io non ci sono”, rispose Lapidario poco convinto.
“Sì, ma ti sei sempre assentato al massimo per un paio d’ore, mezza giornata al massimo…”, protestò Alma.
“Insomma, se ci dovessero essere questioni urgenti, potete sempre farmi una telefonata o mandarmi un messaggio sul cellulare”.
“E dove andrai, di grazia?”, chiese Alma sempre più contrariata.
“A Londra…”
“Che cosa?”, chiesero in coro la ragazza vivente e il suo antenato defunto.
“Avete presente uno di quegli incarichi che non si possono rifiutare, vuoi perché si tratta di un favore a un’amica, vuoi per il compenso…”.
“Ho capito, se si tratta di affari, vai pure. Ci penseremo noi qui, vero nonno?”.
Il soldato Eugenio Poretti annuì con sicurezza. Lapidario si rilassò. Aveva imparato a fidarsi sia di Alma che di Eugenio. L’attività sarebbe stata in buone mani.
La “missione” che lo attendeva a Londra era abbastanza impegnativa. La settimana prima Matilde, una sua cara amica, nonché vecchia fiamma di gioventù, era entrata nella sua agenzia con espressione preoccupata. Lapidario si era dimostrato subito pronto a consolarla, dal momento che chiunque entrasse nel suo ufficio, era assai probabile che avesse perso qualcuno di caro. Matilde, invece, conoscendo il suo segreto, cioè la facoltà di vedere e interagire con le anime dei defunti, aveva chiesto gli aveva chiesto aiuto per una “questione di famiglia”. Anni prima sua figlia aveva deciso di trasferirsi a Londra, dove aveva trovato un ottimo impiego presso un’agenzia immobiliare che trattava case di lusso, tra ville, castelli, antiche magioni…Insomma, un lavoro redditizio, che le aveva garantito una vita agiata e soddisfacente nella capitale inglese. L’ultima vendita, tuttavia, non era andata a buon fine. Si trattava di una villa di epoca vittoriana, venduta per un prezzo molto alto a un ricco imprenditore americano. Fino a quel momento, nulla aveva fatto pensare che si trattasse di una “casa infestata”, almeno finché il magnate non ci aveva trascorso le vacanze estive con la famiglia. Apriti cielo! Da quanto gli aveva raccontato Matilde, da quel momento si era scatenato il pandemonio, tra porte che si aprivano e chiudevano da sole, risate nel cuore della notte, oggetti spostati o caduti senza che nessuno li toccasse, luci accese o spente all’improvviso…Insomma, un incubo degno dei peggiori film horror. Il ricco nuovo proprietario, allora, aveva protestato con l’agenzia, pretendendo indietro i soldi spesi per la residenza londinese.
“Mia figlia dovrà restituire la corposa provvigione…e ha già speso quei soldi, capisci?”.
“Sei sicura che si tratti di una infestazione?”.
“È proprio per questo che mi sono rivolta a te, Rodolfo. Sei il solo che possa confermarla e, nel caso, parlare con lo spirito e cercare di capire che cosa vuole e perché si comporta così”.
“Non ci sono medium a Londra, o qualcosa del genere?”, aveva cercato di dribblare Lapidario.
“Sono tutti dei ciarlatani. Mia figlia e i suoi colleghi hanno chiesto aiuto persino a un’agenzia di “acchiappafantasmi”, che dopo settimane di sopralluoghi con appostamenti, videocamere, registrazioni, sono giunti a un nulla di fatto”.
“Capisco…”, commentò Lapidario serio.
“Ovviamente, avrai tutto pagato, viaggio, albergo…e un compenso adeguato se la faccenda andrà a buon fine. Il ché significa: fantasma fuori dalle scatole”.
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Così, Lapidario si trovò su un aereo per Londra. Aveva visto la capitale inglese solo in fotografia e ne rimase subito affascinato. Un taxi lo portò al suo alloggio, un B&B vicino alla villa vittoriana, circondata da un grande parco, di cui si sarebbe dovuto occupare. Prese subito contatto con Gloria, la figlia di Matilde, che era stata informata sia del suo arrivo che delle sue particolari facoltà.
“Oh, signor Lapidario, lei è la nostra unica speranza. Se dovessimo restituire i soldi della casa all’acquirente americano la mia agenzia rischia la bancarotta…Li ha già spesi per acquistare altre case da rivendere…”.
“Mia cara, farò del mio meglio…però bisogna effettivamente vedere qual è il problema e se ci sia o meno una “presenza” nella casa”.
“Queste sono le chiavi”, gli disse Gloria mettendogli in mano un mazzo di ferraglia pesantissima. “I proprietari si sono rifugiati in un albergo a cinque stelle, terrorizzati dagli strani fenomeni. Ha carta bianca. Se vuole, le faccio fare un tour così che possa familiarizzare con gli ambienti…”.
La casa era veramente enorme, dotata di cantine sotterranee, magazzini, e due piani su cui si sviluppava un dedalo di stanze, tra camere da letto, bagni, salottini e studioli. Per non contare le opere d’arte che facevano parte dell’arredo, tra quadri, vecchi ritratti e fotografie delle persone che si erano succedute nella proprietà della magione, e poi tappeti, mobili antichi…Insomma, più che un’abitazione sembrava un museo.
“Bene, Rodolfo, la lascio libero di fare le sue ricerche…”, tagliò corto Gloria, appena ebbe l’impressione che un tavolino si fosse mosso dalla sua posizione originaria.
“Benissimo. Ci sentiamo non appena avrò raccolto abbastanza informazioni…”.
Gloria se ne andò sgommando. Lapidario prese un libro dalla fornitissima biblioteca, si sedette su una bellissima, ma scomoda poltrona, e cominciò a leggere, nell’attesa che qualcosa succedesse…
Non dovette aspettare molto, per la verità. Aveva appena iniziato il secondo capitolo, quando uno dei soprammobili che era sul tavolino di fronte a lui, una statuetta raffigurante un angelo, cominciò a tremare, prima di rovinare a terra e frantumarsi. Lapidario alzò un occhio dal libro, ma non reagì. Poco dopo, anche il lampadario cominciò a oscillare, come se un forte vento lo scuotesse. Le finestre, tuttavia, erano chiuse…Sempre più indispettito, lo spirito fece rotolare propria davanti agli occhi di Lapidario una pesante sfera di sasso dipinta…
“Buonasera, chiunque lei sia…”, cominciò schiarendosi la voce…
Di colpo, la sfera smise di rotolare e il lampadario di oscillare. In un angolo, Lapidario scorse un uomo sulla quarantina, con un vestito di taglio ottocentesco e una barba curata. Il bagliore azzurrino che emanava la sua figura non gli lasciò alcun dubbio: si trattava davvero di uno spirito. L’entità gli si avvicinò guardinga. Del resto, non era la prima volta che un vivente gli rivolgeva la parola, ma ogni tentativo di interazione era poi andato a vuoto. E questo, nei secoli, gli avevano causato rabbia e frustrazione. Quando il suo viso fu a pochi centimetri da quello di Lapidario, quest’ultimo alzò la testa dal libro e i due si trovarono faccia a faccia. Lapidario gli sorrise, lo spirito compì un balzo all’indietro, incredulo.
“Non spaventarti, ti vedo, sì…e sono qui per aiutarti, per capire perché sei ancora in questa casa…”.
L’uomo lo fissò sospettoso.
“Dici davvero? O sei come tutti i sedicenti medium, ciarlatani, saltimbanchi che, nei secoli, mi hanno sempre fatto credere di potermi ascoltare?”.
“Se vuoi, posso dirti come sei vestito, descrivere il tuo viso, più o meno la tua età, sempre che tu ora abbia l’aspetto di quando sei morto…Oppure è l’aspetto che hai desiderato assumere sotto forma di essenza?”.
“No, ho l’aspetto di quando sono morto. Un maledetto incidente di caccia…ho sempre sperato che qualcuno potesse effettivamente vedermi e aiutarmi in una questione, che a molti potrebbe parere di poco conto, ma per me non lo è affatto…”.
“E sarebbe, questa questione? È per quella che tormenti qualsiasi vivente venga ad abitare in questa casa?”.
“Io non tormento proprio nessuno! Voglio solo farmi sentire per avere un aiuto…sono i viventi che se la fanno sotto appena vedono oscillare un lampadario o aprirsi una porta…”.
“In effetti…mettiti nei loro panni…Ma veniamo al dunque: che cosa ti induce a rimanere ancora qui?”.
“E me lo domandi? Non lo hai forse notato anche tu? Quell’orribile fotografia sopra il camino, l’unico dagherrotipo tra tanti ritratti di miei antenati…”.
Lapidario si alzò e andò nella grande sala del camino. Sopra c’era in effetti una foto ottocentesca dello spirito che ora se ne stava contrariato e sbuffante al suo fianco.
“Ti sembra una bella foto? Eh? Guarda che espressione…”
“Forse sei venuto un po’ pallido, ma sarà il bianco e nero, e hai l’espressione un po’ fissa…oggi sarebbe bastato qualche ritocco con Photoshop…”, commentò Lapidario. Non poteva credere che tutto fosse ridotto a una foto venuta male…
“Guarda meglio…Non noti niente di strano?”.
Lapidario aguzzò la vista, ma poi scosse la testa.
“Non lo vedi che in questa foto sono già morto? Sono stato l’ultimo della mia famiglia a possedere questa casa, e voglio essere ricordato come ero da vivo, nel fiore degli anni, non come un cadavere imbellettato!”.
“Come sarebbe…che ti hanno fotografato da morto…facendoti sembrare vivo?”, chiese Lapidario incuriosito.
“Una pratica in voga ai miei tempi, le fotografie post mortem. Costavano un sacco di soldi, perché i fotografi erano rari, spesso erano gli unici ricordi che rimanevano alla famiglia. E mia moglie ebbe questa bella idea perché i miei figli, piccoli al tempo della mia dipartita, avessero un ricordo di loro padre…”. Il tono questa volta era commosso.“Santa donna”, proseguì riprendendo la sua verve, “Ha speso tanti soldi per un risultato orribile, macabro…”.
“Quel che è fatto è fatto. E indietro nel tempo non si torna…”, rispose Lapidario, che doveva ora trovare una soluzione pratica al problema, accontentare lo spirito e convincerlo a passare oltre, lasciando la sua vecchia abitazione terrena. “Che cosa vorresti che facessi…”.
“Che prendessi quell’orribile fotografia e la distruggessi per sempre…”.
“Posso farlo, questo sì…”
“E la sostituissi con un ritratto…molto più “vivo” e bello…”.
“Posso fare anche questo…basta che tu mi dica dove trovarlo…”.
Lo spirito assunse un’aurea cupa.
“Il fatto è che non lo so…Si tratta di un dipinto che mio padre mi fece fare a vent’anni, quando entrai alla scuola militare, da un ritrattista piuttosto quotato. È stato il periodo più bello della mia vita. Il ritratto rimase nella casa dei miei genitori, ma dopo la loro morte fu venduta. Poi ci fu un incendio e parte della proprietà andò in fumo…In effetti, non so se il quadro ci sia ancora…da qualche parte…”.
“Ma è come cercare un ago in un pagliaio!”, si lamentò Lapidario.
“Possiamo fare almeno un tentativo, no…Oppure io non me ne andrò e continuerò a tormentare chiunque venga a vivere tra queste mura. E poi, tu sei l’unico vivente in grado di vedermi, non ti mollo proprio per niente…”.
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Non fu affatto facile e ci volle anche un pizzico di fortuna. Con l’aiuto di Gloria, Lapidario riuscì a ricostruire più di un secolo di storia della casa di famiglia dello spirito vanesio. In un vecchio inventario di un’eredità di inizio Novecento compariva anche il ritratto del giovane cadetto. La fama del pittore che lo aveva realizzato aveva fatto sì che il pezzo venisse etichettato come pregevole opera di antiquariato e numerata. Venne infine rintracciata nella bottega di un antiquario, che però era in procinto di venderla a una casa d’aste. Gloria dovette faticare non poco per convincere la sua agenzia immobiliare a sborsare il denaro necessario all’acquisto del quadro. Per fortuna la ragazza non mancava certo di fantasia e imbastì una storia surreale, vendendola al suo capo come un “capriccio” del cliente americano, che poneva come condizione per non restituire la casa, e pretendere indietro il denaro speso, che la tela con l’effigie dell’ultimo, nobile proprietario tornasse al suo posto, sopra al camino.
Alla fine, dopo una lunga trattativa, l’immagine dipinta a olio di un giovane rampollo in uniforme militare, con lo sguardo fiero e vivo e le gote rosse venne posizionata dove la sua versione più attempata ed eterea desiderava che stesse.
“E ora accendiamo quel camino e diamo alle fiamme quell’orribile dagherrotipo!”, disse l’entità.
E solo dopo che l’ultimo lembo dell’odiata fotografia post mortem fu distrutto, lo spirito prese a brillare soddisfatto di una rilassante luce azzurra.
“Ora però devi mantenere la promessa e lasciare questa casa. C’è una nuova dimensione, una nuova evoluzione che ti aspetta…”, gli disse Lapidario.
“Giusto…devo passare da quell’arco luminoso che ogni tanto si apre nelle cantine, suppongo…”.
“Sì, penso che sia quello. A ognuno appare in modo diverso…”.
“Allora, lo farò, sono un uomo d’onore e sarò di parola. Poi brillò di una luce talmente forte che Lapidario dovette distogliere lo sguardo. Quando tornò a fissare lo spirito, non aveva più l’aspetto di un quarantenne altero, ma quello di un ragazzo all’alba della vita. Ora, Rodolfo Lapidario poteva tornare a casa.
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