Giovedì, 14 Maggio 2020 10:59

"Un popolo senza terra, i Saharawi” In evidenza

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Introduzione di Nicola Comparato Felino 14 maggio 2020 - Il 27 febbraio del 1976, il Fronte Polisario, a Bir Lehlu, che allora si trovava nel Sahara Spagnolo, proclama la nascita della Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi.

 

I Sahrawi sono un popolo senza terra, originario del deserto, nati da secoli di fusione tra tribù berbere, arabo/yemeniti e mauri. La lingua parlata è un dialetto arabo chiamato hassanya e come nel resto del nord Africa la religione praticata è l'Islam Sunnita. Molti di loro sono costretti a fuggire e a vivere in esilio nel campo profughi a Tindouf nel deserto algerino, chi resta invece deve sopportare l'oppressione del Marocco che rivendica da anni l'intero controllo sul territorio. Abbiamo contattato l'associazione di Reggio Emilia "Jaima Sahrawi", che nella persona di Caterina Lusuardi, la presidente, ci ha spiegato in una lettera dettagliata la situazione e le richieste di questo popolo dimenticato.

Da Caterina Lusuardi.
Quello che oggi si chiama Sahara Occidentale un tempo non aveva confini, poi le mire espansionistiche della nazioni europee con la Conferenza di Berlino del 1884-1885 si spartiscono l'Africa come fosse una torta. Con riga e matita tracciano confini improbabili e creano il Sahara Spagnolo. Gli spagnoli ci impiegano molti anni ad occuparlo interamente e a scoprire le risorsa naturale da sfruttare che diventeranno la causa principale degli eventi futuri. Nel frattempo l'Onu si esprime a favore per la decolonizzazione del Sahara Spagnolo e il 10 maggio 1973 nasce il Fronte Polisario che lotta contro l'occupazione spagnola, ma che nel giro di pochi anni, si vede costretto a reagire contro l'invasione del Marocco al nord e della Mauritania al sud. Nel 1975 la Spagna invece di andarsene in virtù del processo di decolonizzazione avviato dall'Onu e realizzare il referendum di autodeterminazione firma l'accordo segreto di Madrid consegnando quel territorio al Marocco e alla Mauritania chiedendo in cambio la possibilità di poter continuare a sfruttare le risorse naturali principalmente i fosfati, ma anche le risorse marine come il pesce. Intanto il Marocco aveva già portato a termine una grande operazione di propaganda sostenendo che liberava quei territori, organizzando la Marcia Verde che tutto il mondo vide, mentre dall'altra iniziò a bombardare insieme alla Mauritania le carovane nel deserto e a cacciare i saharawi dalle case della città. Inizia una guerriglia che ben presto si trasforma in guerra vera e propria che vede la fuga di donne, bambini e anziani verso l'Algeria e gli uomini e anche alcune donne impegnate sul campo di battaglia. Nel '78 si ritira la Mauritania e il Marocco invade anche il sud e per fermare l'avanzata costruisce un muro di sabbia lungo 2720 km disseminato di mine antiuomo e anticarro che separerà e separa tuttora i territori occupati da quelli liberati.

La guerra prosegue fino al cessate al fuoco del '91 con l'intervento delle Nazioni Unite che creerà la missione Minurso per tenere monitorata la situazione e con l'intento di portare i saharawi al referendum.

Da allora sono state deposte le armi e si è perseguita la via diplomatica internazionale e l'azione nonviolenta. I saharawi conoscono le lingue necessarie per interloquire con i vari organismi mondiali che si occupano della difesa dei diritti e dall'altra le manifestazioni nei territori occupati prevedono sit-in, lanci di bandiere su fili elettrici stradali per rendere difficile il recupero, ma la repressione rimane dura: gli attivisti vengono incarcerati, condannati con false accuse e torturati, tanti sono gli scomparsi prima e dopo la guerra. Di tutta questa storia si sa poco e nemmeno viene contemplata sui libri di geografia o storia quando si parla di decolonizzazione dell'Africa e non si cita l'ultima colonia: il Sahara Occidentale, così si chiama oggi. La svolta mediatica inizia nel 2005 perchè internet dà la possibilità di informare velocemente facendo intensificare le manifestazioni che vengono filmate di nascosto nel momento in cui vengono violentemente represse, ma immediatamente divulgate in rete. Dall'altra parte ai campi profughi in Algeria durante la guerra, le protagoniste sono le donne che danno vita alla RASD in esilio costruendo tutto il possibile per vivere dignitosamente nel deserto dell'Hammada. Si organizzano in comitati dalla salute alla cultura, imparano a fare i mattoni, costruiscono scuole e ospedali e tutto il necessario e anche quando sono ritornati gli uomini alla fine della guerra hanno continuato ad avere un ruolo determinante sia nella politica con un'alta percentuale di cariche, sia nella vita quotidiana . Nel 2020 sono 45 anni che i saharawi vivono sotto l'occupazione e la situazione non è ancora cambiata, nonostante le varie sentenze internazionali siano a favore dei saharawi. Una delle ultime è quella della Corte di Giustizia Europea che si esprime sulla questione degli accordi di pesca e agricoltura che dichiarano che non possono essere compresi i territori occupati negli accordi. L'Europa non segue queste indicazioni e lascia che il Marocco includa anche il Sahara Occidentale negli accordi 2019.

L'associazione Jaima Sahrawi nasce nel 2000 ma già l'anno precedente aveva iniziato ad accogliere i piccoli ambasciatori e le piccole ambasciatrici di pace saharawi. Un primo importante passo che ci permette di conoscere da vicino la cultura e il mondo sahrawi e mette in contatto cittadini italiani e cittadini saharawi. Una parte dell'accoglienza prevede anche un periodo in famiglia e questo consolida gli importanti valori della convivenza di una società evoluta che guarda oltre ai propri confini. Oltre all'ospitalità in famiglia le associazioni saharawi del nord Itali contribuiscono con l'organizzazione di attività estive in gruppo nelle varie località di sede della associazioni come Padova, Rovigo, Udine, Novara, Bologna e altre.

Quest'anno però questo progetto cambia forma e luogo a causa dell'emergenza Covid 19 che trasforma l'accoglienza in un progetto ai campi profughi, vista la chiusura delle frontiere, dove i saharawi formati potranno lavorare con i bambini e le bambine in un campo giochi estivo che dovrà tenere conto delle alte temperature estive e si finanzieranno progetti per la ristrutturazione delle scuole. A fianco dell'accoglienza ci sono altri importanti progetti che rimangono stabili nel tempo e che vanno di pari passo con le esigenze umanitarie e politiche di questo popolo. Ai campi profughi l'associazione sostiene da sempre progetti sulla salute e tuttora partecipa ai bandi insieme al comune di Albinea, ora capofila, per rendere autonome le farmacie con la produzione di medicinali utilizzando principi attivi presenti nella vegetazione del deserto che risulta riccia di sostanze anche di uso medicale. Si sostengono le scuole collaborando in progetti educativi realizzati ai campi insieme ai volontari e ai giovani che vogliono conoscere quella realtà e si consegna materiale scolastico con il progetto Jalla Gumu. Si sostiene il progetto “Rete Tifariti” nei territori liberati per permettere ai figli dei nomadi di andare a scuola. Sempre ai campi siamo in stretta collaborazione con l'Unione delle Donne Saharawi con il centro Al-Shuhada Al-Najah per sostenerle nei loro progetti di autonomia e apprendimento. Più difficile e complesso è il lavoro politico che in questi anni ha dato voce ad alcuni attivisti dei territori occupati e che sono stati invitati a Reggio Emilia e nella regione per raccontare la loro difficile realtà. L'associazione ha potuto anche fare alcuni viaggi in quei territori quando ancora era possibile, ma nel 2016 alla presidente Caterina Lusuardi insieme a Fabiana Bruschi e a Silvia Prodi è stato impedito di scendere dall'aereo arrivato nella capitale del Sahara Occidentale Layoune e sono state costrette a ritornare indietro. Da allora nessuna delegazione è riuscita ad entrare. C'è anche un grande lavoro di coordinamento con le altre associazioni regionali come Kabara Lagdaf di Modena, Elouali di Bologna e Help for Children e Tutti i Mondi di Parma e altri enti come il Cisp di Bologna, Nexus della Cgil, UISP e altri per condividere progetti ed eventi. Ora sta prendendo vita la Rete Saharawi di Solidarietà con il Popolo Saharawi che unisce molte delle associazioni italiane sempre con l'intento di mettere a frutto un lavoro coordinato.

C'è anche un grande lavoro internazionale europeo sulla causa saharawi che vede le associazioni riunirsi e decidere campagne comuni nell'evento chiamato Eucoco che in questi ultimi anni si svolge in Spagna dove è presente una grande comunità saharawi. Nel 2019 l'associazione Jaima Sahrawi ha avuto l'opportunità di partecipare alla IV commissione sul tema della nazioni da decolonizzare a New York, dove abbiamo rappresentato le associazioni del nord d'Italia.

Il faticoso viaggio alla sede dell'Onu insieme a Antonella Incerti come rappresentante parlamentare, a Federica Cani come assessore di Fabbrico in rappresentanza dei comuni italiani che sostengono la causa saharawi e a Giuliana Doria in rappresentanza delle associazioni del sud d'Italia ci ha permesso di conoscere i meccanismi della democrazia internazionale. Sono 17 le nazioni da decolonizzare nel mondo tra cui il Sahara Occidentale. Inizialmente vengono ascoltate le petizioni di cittadini e rappresentanti politici come noi prima di poter sentire le mozioni delle nazioni che danno un parere favorevole, contrario o neutro. Il verdetto finale della commissione non fa altro che prorogare per un altro anno la missione della Minurso che vuol dire che rimarrà uno status quo che non farà avanzare il processo di decolonizzazione e ancora una volta la Minurso non ha il mandato per intervenire in caso di violazione dei diritti umani nel Sahara Occidentale.

Sollecitare amministrazioni ed organismi nazionali e internazionali perché vengano applicati principi e diritti internazionali è un ulteriore importante obiettivo dell'associazione per rendere possibile la soluzione giusta e non violenta del referendum di autodeterminazione per il popolo saharawi.

 

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