Sono le proposte lanciate dal sostituto procuratore di Palermo e dalla presidente della Provincia nel corso dell'ultima giornata del Festival della legalità di Reggio Emilia -
Reggio Emilia, 7 aprile 2014 -
Leggi più severe per i reati di corruzione, rivedendo anche un regime di prescrizione che “oggi produce una sostanziale impunità”, e la richiesta di un “giuramento antimafia” da parte dei candidati a tutte le prossime, imminenti elezioni. Sono le proposte lanciate sabato mattina da Reggio Emilia - nel corso della giornata conclusiva di “Noicontrolemfaie 2014”, il Festival della legalità proposto per il quarto anno dalla Provincia - dal magistrato Antonino Di Matteo, il sostituto procuratore della Repubblica al Tribunale di Palermo titolare dell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia, e dalla presidente della Provincia di Reggio Emilia, Sonia Masini.
“La repressione contro l’ala militare di Cosa nostra è stata fatta, grazie anche a leggi severe, ma oggi che molti boss sono in carcere serve un passo in avanti per recidere i rapporti tra mafia e politica – ha detto Antonino Di Matteo - Non possiamo più accettare un regime normativo che non sanziona adeguatamente i reati contro la pubblica amministrazione, dalla corruzione alla turbative d’asta negli appalti pubblici. E bisogna rivedere un regime della prescrizione che porta a una sostanziale impunità. E’, questo, lo scatto in avanti che dobbiamo compiere, perché è proprio attraverso questi reati che la mafia riesce a penetrare la politica. Dobbiamo cominciare a pensare che lotta alla mafia e alla corruzione sono due facce della stessa medaglia, non possiamo più accettare due velocità diverse“.
La presidente Sonia Masini ha invece lanciato un appello affinché "la lotta alla mafia non venga delegata solo a chi vive sotto scorta", indirizzando a partiti, movimenti e candidati, in vista della composizione delle liste per le elezioni del 25 maggio, una richiesta ben precisa: "Vorrei che i candidati – ha detto - giurassero sulla Costituzione di non aver mai avuto consapevolmente legami con la malavita organizzata, di impegnarsi a non averli in futuro e di denunciare fatti di cui eventualmente verranno a conoscenza nell'ambito della loro attività amministrativa".
Condotto dal giornalista Cesare Giuzzi del Corriere della Sera, il dibattito su “Sconfiggere le mafie: una sfida possibile?” è stato aperto dall’assessore provinciale all’Istruzione, Ilenia Malavasi: “E’ un grande onore ospitare magistrati così impegnati contro la mafia in questa ultima giornata di un Festival della legalità molto impegnativo, che ci ha permesso di ascoltare testimonianze importanti e ha rappresentato un momento di crescita per tutti, a partire da tantissimi studenti, ai quali ricordiamo sempre che conoscenza, memoria e impegno diano sono valori fondamentali e che non dobbiamo mai arrenderci all’indifferenza”, ha detto.
Non è andato per il sottile, come sempre, il direttore scientifico del Festival della legalità, lo studioso di organizzazioni criminali Antonio Nicaso: “Le mafie sono un male da cui ancora non riusciamo a guarire, ammorbano l’aria con un tanfo di stalla, ma per paura o convenienza molti non lo sentono. Come possiamo sconfiggerla? Imparando, e lo dico soprattutto a voi studenti, a dire no alle tante scorciatoie che la vita ci offre ogni giorno: solo i sacrifici rendono liberi, solo la conoscenza, e per questo è fondamentale studiare, porta a essere consapevoli. Non fatevi rubare il futuro da persone che non valgono un soldo bucato e sparano alle spalle di don Puglisi perché non hanno nemmeno il coraggio di guardare in faccia le loro vittime: sogniamo un mondo senza mafie e cominciamo a costruirlo, giorno dopo giorno, con i nostri comportamenti e insieme a persone come Conte, Di Matteo e Gratteri”.
“Sono veramente felice di essere qui a confronto con tanti cittadini, soprattutto giovani studenti, perché questi incontri, per noi magistrati, rappresentano una boccata d’ossigeno e ci ricordano lo spirito che deve animare il nostro lavoro: essere al servizio della collettività, a partire da più deboli e indifesi”, ha esordito Antonino Di Matteo. Che, riferendosi alla delicata indagine che sta coordinando e sulla quale ovviamente non ha potuto sbilanciarsi, ha detto: “Nel nostro Paese, negli ultimi 30 anni, facendo saltare in aria palazzi e pezzi di autostrada sono stati uccisi magistrati,uomini politici, prefetti della repubblica, forze dell’ordine, sacerdoti, giornalisti, imprenditori e, con le bombe di Firenze e Milano, inermi cittadini: come si fa a rimanere indifferenti, a non avere la pretesa di conoscere tutta la verità su quei fatti? L'indifferenze uccide quanto il tritolo, significa rassegnarsi a un futuro da sudditi inconsapevoli e non da cittadini partecipi.
Lo sforzo di verità è compito di tutti, non di pochi magistrati e investigatori : dobbiamo capire se accanto ai boss mafiosi c’erano altri che hanno collaborato, ispirato, o semplicemente fatto capire che certe stragi facevano piacere al potere”.
Di fronte a questa ricerca della verità, ovviamente, non ha alcun senso parlare di “spreco di risorse pubbliche o di strumentalizzazioni politiche della magistratura, anche perché
queste investigazioni che hanno portato ai processi di Palermo sono indicate come necessarie in sentenze definitive dei giudici di Caltanissetta e Firenze che, condannando gli esecutori mafiosi delle stragi, hanno accertato ulteriori fatti da indagare”.
Circa i rapporti tra Stato e mafia, Di Matteo ha aggiunto: “Dobbiamo renderci conto che ogni volta che lo Stato o parte delle istituzioni hanno cercato il dialogo con i mafiosi, come subito dopo lo sbarco delle truppe alleate o ai tempi del bandito Giuliano, si è enormemente rafforzato il prestigio e la potenza mafiosa. Perché dialogare con la mafia significa riconoscerla come interlocutrice, aumentarne il potere verso i cittadini e gli strumenti di ricatto verso le istituzioni stesse. La storia ci insegna che senza agganci e rapporti con la politica e il potere in generale Cosa nostra non sarebbe Cosa nostra e non avrebbe mai potuto pensare di attaccare lo Stato. Lo stesso Riina, stando alle parole del collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi, diceva che senza agganci con la politica la mafia sarebbe stata “una banda qualunque di sciacalli destinata a essere sopraffatta”. Dunque anche lo Stato deve essere altrettanto consapevole della necessità di recidere alla radice ogni possibile rapporto o contatto con la mafia”. Da qui la richiesta di leggi più severe contro la corruzione e di un diverso regime della prescrizione, perché “proprio attraverso questi reati contro la pubblica amministrazione riesce a penetrare la politica”.
“Io ci credo – ha concluso il magistrato di Palermo rivolto agli studenti - perché comincio respirare nell'opinione pubblica, specie tra voi giovani, quella voglia di giustizia che certe volte non colgo quando penso alla realtà istituzionale . Voi potete fare moltissimo per sconfiggere definitivamente la mafia, innanzitutto rifiutando la mentalità mafiosa del favore e della raccomandazione, così diffusa in tutto il Paese e che pervade pezzi anche delle istituzioni: vi troverete di fronte a un bivio, con la strada breve che passa dalla richiesta di favori per trovare lavoro o accedere all’università a numero chiuso, dall’altra una strada più lunga, ma più dritta, che passa solo attraverso il vostro impegno e le vostre capacità. Se, di fronte a quel bivio, compirete una scelta di legalità vera, e non semplicemente declamata, darete un calcio nel sedere alla mafia”.
L’importanza degli studenti e della scuola nella lotta alla mafia, è stata ribadita da Mario Conte, consigliere di Corte d’appello a Palermo, che ha esordito ricordando la citazione di Gesualdo Bufalino con la quale Giovanni Falcone aveva deciso di rispondere a chi, per l’ennesima volta, gli domandava quando e da chi sarebbe stata sconfitta la mafia: “Da un esercito di insegnanti elementari…”. “Questo per capire cosa possono fare i giovani, e la scuola, per combattere le mafie”, ha aggiunto Conte, riportando poi l’esempio di Libero Grassi e, soprattutto, di “quei quattro ragazzi, tra 20 e 25 anni, che una mattina tappezzarono Palermo con adesivi con su scritto “un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. “Terminati gli studi e non trovando lavoro, quei ragazzi avevano deciso di aprire un pub, erano andati da un ragioniere chiedendo di conoscere le cifre che sarebbe servite, e quello tra le varie voci avevano candidamente inserito ‘mille euro al mese per pizzo’: da lì è nato il comitato “Addiopizzo”, che oggi conta migliaia di iscritti, più di duemila solo fuori Palermo”.
“Siamo stanchi di commemorare gente che faceva il proprio dovere, dobbiamo capire che solo con il gioco di squadra la mafia può essere sconfitta”, ha concluso Conte invitando gli studenti a essere “i primi garanti della legalità nel quotidiano” e definendo il “bullismo utile, perché se voi ragazzi vi alleate a combattere il bullo, che altro non è che un mafioso in erba, da grandi sarete bravissimi a combattere la mafia…”.
Dalla Sicilia alla Calabria, da Cosa nostra alla ‘ndrangheta – “che ha il monopolio dell’importazione di cocaina ed è diventata la mafia più ricca e potente perché ha utilizzato una strategia diversa” - attraverso l’intervento di Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria: "Le mafie per esistere hanno bisogno del consenso popolare", ha osservato, citando importanti intercettazioni in cui gli stessi capimafia ammettevano che,sparando alle serrande e bruciando le macchine, il popolo li avrebbe abbandonati. Da qui il cambio di strategia. Ma sconfiggere le mafie è possibile? "Nel breve periodo – ha detto Gratteri - abbiamo bisogno di un codice penale, di un codice di procedura penale e di un ordinamento penitenziario diversi. Che rendano non conveniente delinquere".
Ha concluso i lavori la presidente della Provincia di Reggio Emilia, Sonia Masini, rivolgendo un messaggio ai magistrati in prima linea nella lotta contro la mafia: "Soffriamo nel vedere persone, uomini dello Stato, condurre una vita da prigionieri, mentre i delinquenti sono liberi. La lotta alla mafia non si può delegare solo a chi vive sotto scorta. Credo che dobbiamo unirci in questa difficile battaglia. Grazie al lavoro dei magistrati, delle forze dell'ordine, dei rappresentanti dello Stato oggi abbiamo nuovi strumenti per leggere il fenomeno mafioso. Da parte nostra, come Provincia di Reggio Emilia, abbiamo rigettato licenze per l'autotrasporto e revocato autorizzazioni a ditte colpite da interdittive del prefetto.Tuttavia è ancora difficile capire fin dove arriva la zona grigia: ci vuole il coraggio di denunciare e dire la verità”.
(fonte: ufficio stampa Provincia di Reggio Emilia)