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Oggi per Bruxelles è il giorno dopo, quello dove si cerca di far luce su quanto è accaduto. Identificati i kamikaze e arrestato quello che pare essere stato l'artificiere. Tra le vittime sembra ci sia anche una donna italiana.

Parma, 23 marzo 2016

Bruxelles, oggi è il "the day after", oggi ci si lecca le ferite dopo i due attentati che hanno compito prima l'aeroporto e poi la stazione metropolitana di Maelbeek.

Sono iniziate le lunghe procedure di riconoscimento delle vittime e, stando a quanto comunica la Farnesina anche se ancora in modo incerto, una tra loro potrebbe essere italiana. L'orribile bilancio parla di 31 morti e 250 feriti ma le verifiche sono ancora in corso. L'ambasciata italiana in Belgio, secondo quanto si apprende, è in contatto con la famiglia per l'assistenza relativa alle procedure di identificazione.

Sicura invece l'identità dei kamikaze dello scalo di Zeventem: i fratelli Khalid e Ibrahim El Bakraoui, secondo l'identificazione resa nota dalla polizia. Il terzo uomo, Najim Laachroui l'artificiere del gruppo è stato catturato a Anderlecht. Il suo dna era stato ritrovato sulle cinture esplosive utilizzate al Bataclan e allo Stade de France, il 13 novembre scorso.

Ora la città si trova sotto assedio, livello massimo di sicurezza con perquisizioni a tappeto, controlli in strada e abitazioni private che sono andate avanti per tutta la notte. Si sta cercando anche di ricostruire le ore precedenti agli attentati. Secondo le ultime informazioni, ancora da verificare, i tre uomini responsabili sarebbero arrivati all'aeroporto su tre auto diverse, ma risulta preziosa la testimonianza di un tassista che avrebbe riconosciuto uno dei tre attentatori per averli portati a destinazione.

Una testimonianza che avrebbe dato il via a ispezioni e perquisizioni e avrebbe permesso di ritrovare all'aeroporto una terza bomba inesplosa.

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Mercoledì, 23 Marzo 2016 09:49

Come spiegare ai bambini il terrorismo?

Il sociologo Antonio Marziale, presidente dell'Osservatorio sui Diritti dei minori spiega come affrontare l'emergenza bambini-informazioni sul terrorismo...

Di Alexa Kuhne

Parma, 23 marzo 2016

Il bombardamento di notizie a cui sono sottoposti i bambini è ormai inarrestabile. Non lo si può evitare, nemmeno spegnendo la tv, perché ci sarebbero la radio o le chiacchiere a scuola o al supermercato.
Inevitabilmente, si finisce per parlare, di continuo, di fatti che ormai ci riguardano troppo da vicino e che stanno sicuramente impattando con violenza con la ingenua mente dei nostri piccoli, rendendoli vittime di cose per loro incomprensibili e costringendoli a crescere prima...
La questione che si pone a un adulto che si trovi a dover maneggiare una pletora di informazioni e immagini drammatiche che arrivano senza filtri a un figlio è davvero delicata e va trattata con particolare attenzione. Perché non basta più evitare: è necessario affrontare, con le dovute precauzioni.
Ecco quale potrebbe essere l'approccio più corretto secondo Antonio Marziale, presidente dell'Osservatorio sui diritti dei minori, sociologo e giornalista.

sociologo Antonio Marziale

I più piccoli sono in qualche modo colpiti dalle immagini divulgate dai notiziari?

"La guerra, o terrorismo che dir si voglia, è troppo vicina a noi. È in atto e ne siamo coinvolti. Difficile non rimanere scioccati davanti agli accadimenti, come quello odierno in Belgio, e altresì difficile spiegare cosa sta accadendo ai bambini, che chiedono spiegazioni".

Come comportarsi per aiutarli a comprendere nella maniera meno traumatica?

"Creando, a casa come a scuola, occasioni di spiegazione e dibattito. Un compito in classe per far sì che siano loro a spiegarci da dove cominciare a parlare, a seconda della percezione che essi già possiedono. Da un disegno. Poco importa se si perdono ore di matematica o religione o altre materie. Tutti i docenti sono abilitati ad intraprendere il discorso, perché sono adulti di riferimento, dei quali i piccolini si fidano".

Quindi mai tacere o nascondere?

"I bambini necessitano della verità per imparare a misurarsi con il quotidiano che li circonda, per quanto nuda e cruda possa essere. D'altronde le favole non sono tutte 'belle': si pensi al cacciatore che uccide la mamma di Bambi: sempre la verità davanti alla paura.

Con quali parole?

"Non bisogna certo essere laureati in pedagogia o scienze internazionali: bastano le parole che sentiamo dentro. La nostra verità arriva forte ai bambini, molto di più delle 'balle' rassicuratrici, cui gli adulti siamo abituati pensando di avere davanti 'ebeti' da calmierare".

Tacere sui fatti del mondo significa renderli impreparati?
"Risparmiare la verità ai bambini, pensando che siano troppo piccoli per capire, li trasforma in vittime alquanto impreparate di fronte a qualsiasi trauma la vita li destinerà".

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Bruxelles: questa mattina alle 8, due esplosioni hanno colpito lo scalo internazionale di Zaventem causando 11 morti e 25 feriti. Poco dopo, alle 9,15 un'altra deflagrazione è risuonata alla fermata metropolitana di Malebeek, vicino alle istituzioni europee.

Martedì 22 Marzo 2016 

Terrore a Bruxelles a tre giorni dall'arresto di Salah Abdeslam, l'attentatore ricercato da 4 mesi per gli attentati di Parigi del 13 novembre. Due esplosioni alle 8 di questa mattina hanno colpito lo scalo internazionale di Zaventem causando 11 morti e 25 feriti. La polizia ha subito evacuato la zona ed interrotto i collegamenti ferroviari.
Ancora non si conoscono le cause ma l'incubo terrorismo risuona tra le macerie e fonti governative parlano appunto di attentati.

Ad essere colpita da un'altra deflagrazione alle 9,15 è stata la stata la fermata metropolitana Malebeek, vicino alle sedi delle principali istituzioni europee. Anche in questo caso, la ricostruzione dei fatti è ancora lacunosa, ma alcuni testimoni avrebbero visto numerose persone insanguinate. Tutte le stazioni della Metro sono state chiuse ed è stata evacuata la stazione centrale.

Una situazione che lascia ancora una volta senza fiato, impauriti e inermi, anche se la procura belga aveva lanciato l'allarme per il sospetto di nuovi possibili attentati.

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Le foto della tradizionale fiaccolata svoltasi sabato scorso a Parma in ricordo delle vittime innocenti di mafia, in occasione del 22° anniversario della morte di don Peppe Diana. Da Piazzale Santa Croce, il corteo, organizzato dal Coordinamento provinciale di Libera, ha raggiunto piazza Garibaldi.

Don Peppe Diana venne assassinato a Casal di Principe dalla camorra il 19 marzo del 1994. Sfidò apertamente la mafia tramite una lettera volta a spronare la cittadinanza a non abbassarsi davanti ai Casalesi, un documento intitolato "Per amore del mio popolo".

La fiaccolata, oltre a ricordare il sacrificio di centinaia di donne e uomini liberi, ha voluto ribadire che per amore del proprio popolo a Parma nessuno, istituzioni, Curia, industriali, commercianti, ordini professionali, media, potrà e dovrà ancora tacere ignorando quelle mafie, le collusioni e le relazioni pericolose che stanno mettendo a repentaglio il futuro di questa città.

Ph. Francesca Bocchia

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I carabinieri di Parma hanno arrestato sette operatori socio-sanitari per maltrattamenti ad anziani con gravi disabilità in una struttura di Neviano degli Arduini. All'interno le foto con le frasi agghiaccianti.

di Alexa Kuhne

Parma, 18 marzo 2016

Presi a calci e lasciati a terra, anche per una notte. Qualcuno costretto a mangiare la pasta sul pavimento quale punizione per aver fatto cadere il cibo.
Gli anziani di Villa Matilde erano come sacchi lasciati a terra, svuotati della volontà e della forza. Incapaci di chiedere aiuto. Fragili e inermi.
L'incubo per dodici pensionati con problemi psichiatrici è finito ieri, quando i Carabinieri della Compagnia di Parma hanno arrestato per concorso in "maltrattamenti aggravati", 7 persone, tra i 28 e i 57 anni, tutte assistenti presso la residenza per anziani di Neviano degli Arduini, una frazione di Bazzano.
Un muro di omertà e di scambievole aiuto e protezione tra gli aguzzini era stato innalzato attorno a quella conosciuta residenza che ospita normalmente dai 16 ai 18 pazienti. Anziani, con disturbi mentali. Ancora più indifesi. Nessuno parlava, ma la voce circolava nel piccolo centro, dove tutti sanno di tutti ma spesso scelgono la reticenza. Finchè una giovane tirocinante, non residente in quel Comune, ha deciso di rompere il silenzio e di dire tutto.
L'indagine, delicata e toccante per la qualità delle persone offese, ha preso avvio alla fine di ottobre 2015, a seguito di alcuni precisi spunti informativi ottenuti dai Carabinieri della Stazione di Neviano degli Arduni, relativi in particolare a presunte violenze inflitte ai degenti. Ottenuti alcuni immediati riscontri, è cominciata una delicata e lunga fase investigativa fatta di intercettazioni audio/video negli ambienti frequentati dai pazienti nella struttura assistenziale.
Le immagini che sono state raccolte sono agghiaccianti, di una violenza inimmaginabile.
Gli operatori, invece di svolgere con diligenza e scrupolo i loro compiti, sottoponevano gli indifesi degenti a violenze, quali percosse, schiaffi, calci, tirate di capelli, spinte, frasi terribili.
Centinaia di intimidazioni del tipo "ti do un calcio nelle palle, vattene", "ti prendo e ti butto giù dalla finestra", "prendo il bastone e te lo do in testa" , "ti seppellisco viva" ed atteggiamenti aggressivi, come puntare minacciosamente oggetti verso gli anziani, erano all'ordine del giorno.
Le condotte degli indagati, peraltro, sfociavano anche in ripetute ingiurie, pronunciate con modi e toni offensivi, sprezzanti come "vai a cagare, cretino, vaffanculo, scimmia, sgorbio, cretina, scema, mostro fai schifo", e nel mancato intervento in circostanze che lo imponevano, come, ad esempio, lasciando in terra gli anziani caduti o omettendo di cambiarli, causando situazioni di pericolo e disagio ai malcapitati pazienti, impossibilitati a reagire a causa delle loro condizioni.
Non solo. I degenti venivano derisi, imitati con gemiti o andature barcollanti, mortificati e costringendoli a spogliarsi e cambiarsi alla presenza di altre persone, oppure impedendo loro di riposare, bere o mangiare.
Le acquisizioni investigative sono state sottoposte al vaglio dell'autorità giudiziaria che ha emesso questa mattina i provvedimenti restrittivi. Sono state anche notificate a 5 dipendenti della struttura socio-assistenziale informazioni di garanzia per gli stessi reati contestati agli altri indagati.
La residenza 'Villa Matilde' rimane invece operativa. Il direttore non è coinvolto nelle indagini e i pazienti saranno lasciati nella struttura, assistiti da altri operatori.

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"Operazione GRANDE FIUME" dei carabinieri. Eseguite 9 ordinanze di custodia per spaccio di stupefacenti nella bassa parmense. Gli incontri avvenivano anche sotto i palazzi municipali.

Di Alexa Kuhne

Ci sono voluti quasi due anni di indagini per tagliare la testa ad una organizzazione italo-albanese che spacciava nella bassa parmense.
Alle prime ore di questa mattina l'"Operazione grande fiume" ha avuto il suo epilogo.
I Carabinieri della Compagnia di Fidenza hanno eseguito 9 ordinanze cautelari emesse nei confronti del gruppo italo-albanese ritenuto responsabile di una consistente attività di spaccio di cocaina nella Provincia di Parma e, in particolare, nella zona compresa fra Busseto e Polesine Zibello.

L'attività d'indagine, eseguita dalla Stazione di Polesine Zibello in collaborazione con la Stazione di Busseto ed il Nucleo Operativo della Compagnia di Fidenza, è iniziata nei primi mesi del 2014 a seguito di una serie di notizie che facevano pensare all'esistenza di un'attività strutturata e costante di spaccio nel Comune di Polesine Parmense da parte di alcuni cittadini di origine albanese residenti in quel centro.

Le indagini si sono immediatamente indirizzate verso alcuni sospettati, già noti ai carabinieri della stazione di Zibello, che spesso stazionavano in prossimità di esercizi pubblici frequentati, in concomitanza, da altri soggetti conosciuti come assuntori di droga.
Spesso gli incontri con gli acquirenti avvenivano in posti più insospettabili, come i palazzi municipali di Polesine e di Zibello.
A gestire il ricco traffico di stupefacenti c'era un'intera famiglia di cittadini albanesi che riusciva ad approvvigionarsi di discreti quantitativi di cocaina da diversi canali grazie alla collaborazione di altre persone, italiane e straniere, che svolgevano il ruolo di autisti.
La droga veniva 'lavorata' nell'abitazione della famiglia albanese dove veniva preparata per la vendita al dettaglio in locali pubblici del paese o direttamente a casa degli spacciatori.

Le stesse indagini hanno consentito anche di individuare l'attività illecita dello spaccio di stupefacenti di due fratelli, anch'essi di origine albanese, residenti nel Comune di Busseto, dediti allo spaccio al minuto di cocaina, nei Comuni di Busseto e Fidenza.
Alla famiglia degli spacciatori albanesi erano collegati diversi spacciatori al minuto che costituivano tutti i canali di rifornimento collegati all'organizzazione.

Ricostruendo il commercio illegale è stato possibile trarre in arresto, in flagranza di reato, 3 personee sequestrare 300 grammi di cocaina e 70 grammi di hashish, un piccolo quantitativo di sostanze da taglio e materiale per il confezionamento dello stupefacente lavorato. Il gip, su richiesta del pubblico ministero, ha emesso le ordinanze di custodia cautelare a carico di 9 albanesi, di età compresa fra i 57 e i 25 anni.

Inoltre durante le varie fasi delle indagini sono stati tratti in arresto, di flagranza di reato, per spaccio di stupefacenti anche due italiani, di 26 e 36 anni e un altro albanese di 30.

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Mario Alessi che sequestrò e assassinò il piccolo Tommaso Onofri, potrà godere di momenti di lontananza dal carcere per lavorare all'esterno del penitenziario in cui ora si trova a scontare la sua pena. L'indignazione si solleva dopo l'appello della madre di Tommy, Paola Pellinghelli e dell'associazione 'Tommy nel cuore', anche tra chi fa politica, come Matteo Salvini.

di Alexa Kuhne

Parma, 16 marzo 2016

Può un infanticida alleggerire il suo ergastolo con permessi-premio?
Pare che sia una opzione prevista dalla legge.
Mario Alessi, ergastolano, perché sequestrò e assassinò il piccolo Tommaso Onofri, potrà godere di momenti di lontananza dal carcere per lavorare all'esterno del penitenziario in cui ora si trova a scontare la sua pena.
E l'indignazione si solleva non solo sui social, dopo l'appello della madre di Tommy, Paola Pellinghelli e dell'associazione 'Tommy nel cuore', ma anche tra chi fa politica, come Matteo Salvini, il segretario federale della Lega Nord, che, con un video, ha protestato contro la decisione di alleggerire la prigionia a vita a Mario Alessi con permessi premio.
Perché nessuno, a distanza di dieci anni, riesce a dimenticare quella morte che fece gelare il sangue.
''Pazzesco - scrive Salvini su Facebook -. Sono passati 10 anni e chi ha ucciso il piccolo Tommy uscirà per dei permessi-premio. La bestia che ha massacrato un bimbo di 18 mesi potrà lavorare fuori dal carcere. Io sono contro la pena di morte ma il mio impegno quando sarò al governo è che l'ergastolo sia ergastolo, meglio se ai lavori forzati!''.
La mamma di Tommy, Paola Pellinghelli, presidente della onlus "Tommy nel cuore", fa uscire tutta la sua rabbia e il suo dolore sul profilo facebook e prega di non far uscire Mario Alessi: "Non date permessi premio al killer di mio figlio".
A distanza di dieci anni, il manovale siciliano, condannato all'ergastolo per l'omicidio, potrebbe davvero ottenere di uscire dal carcere di giorno per lavorare.
"Se dovesse succedere – ha detto nei giorni scorsi a TgCom24 - urlerei così tanto che qualcuno, prima o poi, mi ascolterebbe. Vorrei ricordare che fra me e lui sono io che sto scontando l'ergastolo: la mia condanna è non avere più Tommy. Spero che il giudice valuti con responsabilità tutta la storia di questo mostro, tutte le sue bugie".

Per quell'assassinio che fece vivere per giorni e giorni milioni di italiani nell'angoscia, vennero catturati e condannati tre colpevoli: vent'anni di reclusione con rito abbreviato per Salvatore Raimondi, considerato responsabile materiale del rapimento e del delitto insieme ad Alessi, che venne condannato all'ergastolo; mentre ventiquattro anni per Antonella Conserva, complice dei due. Il loro piano era quello di un rapimento lampo per estorcere dei soldi alla famiglia, ma i due uomini dopo essersi dati alla fuga, braccati dalle forze dell'ordine, vennero presi dal panico, forse perché il bambino piangeva, e lo uccisero senza pietà.
Nessuno può dimenticare i racconti, le testimonianze di quelle ore in cui scomparve il bambino. Era l'ora di cena, Tommaso era nel seggiolone, a casa sua, una cascina nella frazione di Casalbaroncolo, alle porte di Parma. I sequestratori staccarono la corrente costringendo il padre del bimbo, Paolo Onofri, a uscire per controllare se fosse stato un guasto. Lo immobilizzarono, entrarono e strapparono Tommy dal seggiolone, davanti alla mamma e al fratellino Sebastiano, 8 anni.
Il piccolino fu ucciso quella stessa sera, pochi minuti dopo il rapimento: lo massacrarono col badile, presi dal panico perché piangeva troppo forte. Lo seppellirono sotto pochi centimetri di terra, lungo la Strada del Traglione, un paio di chilometri in linea d'aria dalla casa della famiglia Onofri. Ma tutto questo si seppe un mese dopo, quando le indagini arrivarono a una svolta e Mario Alessi, muratore che aveva lavorato nella cascina degli Onofri, confessò che voleva chiedere un riscatto e rivelò il piano messo a punto con i complici.
"Nel 2006 - racconta Paola ai giornalisti - me lo sono ritrovato in casa come manovale perché qualche giudice aveva deciso che potesse stare in libertà dopo la condanna per stupro e rapina. Di quelle condanne io non sapevo assolutamente nulla. Non vorrei che qualche altro giudice - afferma - gli desse nuovamente credito".

Di Tommy nessuno dimenticherà mai gli occhioni azzurri. Chi c'era con il pensiero, con il cuore e con le preghiere in quei giorni di angoscia c'è ancora oggi e si indigna, prova rabbia e soffre. Mamma Paola ricorda l'affetto di tutti: «Ogni anno io, gli amici dell'Associazione e gente di Parma che a volte nemmeno conosco, ci ritroviamo nel posto in cui fu trovato il suo corpo. Facciamo l'albero di Natale per lui, portiamo piccoli doni. È diventata una tradizione. I primi anni facevo anche la torta per il giorno del suo compleanno, poi ho smesso. E da quando lui non c'è più ho chiuso anche con i film violenti e con le notizie di cronaca. Non riesco più a sentire o vedere che facciano del male a qualcuno. In tutti questi anni le sole udienze che non ho seguito sono state quelle con i periti, con le fotografie, la ricostruzione della morte. Anche gli atti... Non li ho mai visti»

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Pneumatici usurati e luci non funzionanti le infrazioni più diffuse. Oltre 200 i mezzi controllati dalla Municipale in occasione della campagna finalizzata a verificare l'efficienza e la regolarità dei dispositivi di equipaggiamento dei veicoli.

Modena, 16 marzo 2016

Sono stati oltre 200 i mezzi controllati dalla Polizia municipale di Modena in occasione della campagna finalizzata a verificare l'efficienza e la regolarità dei dispositivi di equipaggiamento dei veicoli che percorrono le strade cittadine.
I controlli mirati sono proseguiti fino al 10 marzo perché l'avvio della campagna, previsto per il 29 febbraio, è stato influenzato dall'ondata di maltempo di quei giorni; proprio le recenti piogge hanno ampiamente dimostrato ai conducenti l'importanza dei dispositivi di sicurezza soprattutto in condizioni di guida resa difficoltosa a causa degli agenti atmosferici.
Durante i dieci giorni della campagna le pattuglie sul territorio hanno quindi proceduto a svolgere sommarie ispezioni ai veicoli fermati finalizzate a verificare il funzionamento di luci, frecce e stop; le condizioni degli pneumatici, delle targhe e il rispetto della revisione dei veicoli.

Su 214 mezzi fermati, 49, cioè più di un veicolo su cinque, sono risultati non in regola con i dispositivi di equipaggiamento e quindi sanzionati: 12 per omessa revisione, tre per mancanza di dispositivi obbligatori, due per dispositivi non conformi (ad esempio pneumatici diversi da quelli omologati per il veicolo sul quale erano installati) e ben 32 per dispositivi inefficienti, l'esempio più diffuso è costituito dalla presenza di gomme usurate fino a perdere l'aderenza, ma anche le luci non funzionanti sono all'ordine del giorno.

Dal Comando di via Galilei fanno notare che i risultati dei controlli suggeriscono come la cura tecnica delle condizioni di efficienza del veicolo, forse in virtù di un generale eccessivo affidamento sulle capacità del parco mezzi circolante, deve essere rinforzata, poiché "i veicoli funzionano bene nella misura in cui sono mantenuti in buono stato". L'efficienza tecnica è infatti di particolare importanza ai fini della sicurezza stradale ed è responsabilità del conducente accertarsi del corretto funzionamento dei dispositivi prima di mettersi in viaggio.

Pubblicato in Cronaca Modena

Rapina con una scusa e poi minaccia con un coltello un minorenne nei pressi della stazione. Rintracciato, reagisce agli agenti: arrestato. Il 31enne pluripregiudicato era indagato in stato di libertà per tentata rapina in concorso commessa all'interno della stazione ferroviaria poche settimane fa. 

Di Alexa Kuhne

Parma, 16 marzo 2016

E' bastata una scusa per ingannare un sedicenne: quella del cellulare per fare una telefonata urgente.
Il ragazzo, che stava passeggiando in via Garibaldi, non ha esitato a darlo in prestito a due nordafricani, forse colto alla sprovvista e impaurito o forse perché, in buona fede, pensava fossero davvero in difficoltà.
Uno dei due, dopo aver preso lo smartphone, si è incamminato lungo via XX Settembre, seguito dal complice, senza dir niente al minorenne che, a un certo punto, ha preteso la restituzione del telefono, ottenendo in risposta di aspettare la fine della chiamata.
Il ragazzo ha continuato a seguire i due uomini, ma, giunto in piazzale Salvo D'Acquisto, ha reclamato con maggiore decisione la restituzione del suo cellulare. Questa volta, però, il nordafricano gli ha intimato di andarsene tirando fuori il coltello.
Impaurito, il giovane è fuggito a casa e ha raccontato tutto ai genitori e ha descritto con precisione alla polizia il suo rapinatore: giovane, maghrebino, con un berretto da baseball di colore viola con scritta frontale, con un vistoso orecchino pendente dal lobo sinistro. Non è stato difficile individuarlo, insieme al suo complice, nei pressi della stazione ferroviaria.
I due si sono accorti di essere stati identificati e sono fuggiti, in due diverse direzioni.
Gli agenti ne hanno bloccato uno in via Palermo. Nonostante fosse stato immobilizzato a terra, egli ha opposto una violenta resistenza con le mani e con calci da terra, senza riuscire però a causare lesioni ai poliziotti, fino ad essere finalmente ammanettato.
Il fermato è stato riconosciuto subito dalla vittima. Si tratta di un 31enne pluripregiudicato tunisino, che è stato più volte in carcere per reati inerenti gli stupefacenti tra cui lo spaccio, poche settimane prima era stato indagato in stato di libertà dalla Squadra mobile per tentata rapina in concorso commessa all'interno della stazione ferroviaria.
Al termine degli atti di rito, l'uomo è stato sottoposto a fermo di indiziato di delitto per il reato di rapina in concorso, arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, denunciato in stato di libertà per aver fornito false generalità al momento del fermo, e condotto in carcere.

Pubblicato in Cronaca Parma

Coppia di cinquantenni, recidivi, deferiti per atti persecutori nei confronti della ex di lui. Con la collaborazione e il coinvolgimento attivo della nuova compagna, questi comportamenti oppressivi e minacciosi avrebbero preso di mira anche il nuovo fidanzato della donna.

Piacenza, 16 marzo 2016

Un anno fa avevano patteggiato la pena per il reato di atti persecutori, ma non è bastato a far desistere un uomo e una donna di circa cinquant'anni, residenti in provincia di Piacenza, dal porre in atto un comportamento persecutorio fatto di inseguimenti, sms, insulti e pubblicazioni lesive sui social network nei confronti dell'ex compagna di lui e del suo fidanzato attuale.

Secondo quanto accertato dalla sezione Giudiziaria della Polizia Municipale, dal racconto della vittima e del suo attuale compagno è emerso che l'ex convivente, padre delle sue bambine, probabilmente preda della gelosia e della rabbia, avrebbe iniziato a tormentarla con l'aiuto della nuova compagna, con una serie di appostamenti, inseguimenti, minacce e insulti. Ogni volta che lei usciva con gli amici, l'ex convivente si presentava nel luogo del ritrovo per ingiuriarla e screditarla in pubblico, arrivando anche a seguirla durante gli spostamenti in auto. Non solo: con la collaborazione e il coinvolgimento attivo della nuova compagna, questi comportamenti oppressivi e minacciosi avrebbero preso di mira, negli ultimi tempi, anche il nuovo fidanzato della donna.

Inoltre, dalle verifiche dei tabulati è risultato che le minacce e le ingiurie telefoniche, così come le pubblicazioni offensive sui social network, venivano inviate e pubblicate utilizzando una scheda telefonica la cui intestazione non era riconducibile ai due cinquantenni.
Le vittime, sempre in sede di denuncia, hanno raccontato di una situazione insostenibile, che comportava per entrambi un perdurante stato di ansia e paura dovuto al continuo ripetersi di simili episodi. La Polizia Municipale, terminate le indagini e sentiti alcuni testimoni, ha deferito all'Autorità Giudiziaria i due cinquantenni residenti in provincia di Piacenza per il reato di atti persecutori.

Pubblicato in Cronaca Piacenza
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