Sembra quasi che quest’anno, l’orologio della corruzione politica, sia l’elemento che scandisce il tempo delle amministrazioni, e l’anno e gli appuntamenti elettorali, non sono ancora finiti.
I primi mesi del 2024 vengono cadenzati da alcuni eventi elettorali cominciati a febbraio con il rinnovo dell’Assemblea sarda, che ha alcuni dei suoi principali ex rappresentanti destinatari di procedimenti penali in corso, per passare poi ad altre elezioni regionali e comunali, segnate dalle inchieste giudiziarie di Bari, di Torino, di Palermo e di Avellino.
Ma le cronache da maggio ad oggi hanno continuato a raccontare di una magistratura che lavora per stanare la malapolitica, parlando di una presunta corruzione che ha colpito la Regione Liguria, mandando dapprima agli arresti domiciliari il presidente Giovanni Toti, che alla fine sta patteggiando.
Ma quando la politica o meglio i politici cercano voti, non si faranno qualche domanda?
Vero è che bisogna essere garantisti, ma è anche vero che molte di queste inchieste si concludono poi, a distanza di tempo da quando sono state rese pubbliche sulle cronache dei giornali, con la formula de: “il fatto non sussiste”.
Bisognerebbe “ricalcolare” la sproporzione tra i fenomeni corruttivi e le conseguenze immediate delle inchieste, perché istantaneamente si va a creare un vulnus che è rappresentato dallo squilibrio che riceve il potere democratico con la lentezza della giustizia.
Siamo comunque di fronte a delle realtà che rappresentano il malaffare diffuso, costituito dall’agglomerato delle liste dei candidati che rispecchiano tutte le lobby locali, in una sorta di borghesia prevaricatrice che controlla i territori, perché la politica non riesce più a selezionare le persone giuste.
Il voto lo si dovrebbe raccogliere sulle idee e non sullo scambio di favori, ma soprattutto sul ritorno etico del fare politica.
Quello che sembrerebbe emergere da queste inchieste è che fare politica sia un problema economico che, attraverso un mercato dei voti garantito da portatori di interessi locali, si possa determinare lo scambio politico della vita democratica.
Se ciò si realizzasse il primo grave problema ricadrebbe sull’economia, perché si va ad immaginare un’economia legale di un territorio, ma che di fatto, è stata creata da uno sbilanciamento realizzato attraverso “l’acquisto” di pacchetti di voti.
Sembra quasi di essere tornati alla fine dell’Ottocento con il notabilato, persone che sono di riferimento del territorio, e che rappresentano il trasformismo degli affari politici, per far sparire il sistema partiti.
Ma sembra anche che negli italiani vi sia un’assuefazione del linguaggio delle inchieste nella politica, perché è come fosse diventato nomale accettare questo malcostume, ma non combatterlo significa aprire una grande finestra che lascia entrare una larga vulnerabilità della democrazia.
Proprio tutto questo dovrebbe allarmarci non poco perché queste inchieste, non sono una qualche “prova di forza” esibite per conto di, ma puntano a fermare una escalation mai vista prima, di un vero attacco al potere democratico del popolo italiano.
Interroghiamoci oltre il solito mantra di “giustizia ad orologeria”, che spesso rappresenta lo scudo che consente alla politica di non affrontare il vero problema, che riguarda soldi ed etica pubblica.
Fino a quando continueremo a tollerare tutta questa sozzeria e bassezza morale, anziché difendere questo saccheggio della democrazia rappresentativa?