Martedì, 26 Aprile 2022 07:39

Il dramma del pensiero moderno "ateo" In evidenza

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Di Daniele Trabucco (*) Belluno, 26 aprile 2022 - All'inizio del pensiero moderno (Cartesio) più che il cogito, c’è il dubbio (metodico ed iperbolico), o meglio c’è la scelta di iniziare dal proprio atto, da sé come atto. Detto in altro modo, non si parte dalla coscienza, ma dal porre della coscienza.

Agli albori, dunque, della modernità non sta il contenuto del pensiero, ma l’atto del pensare. In questo modo, la modernità si pone come auto-postulatoria, in quanto pretende di far scaturire dall’atto del pensiero la realtà e l’agire. Cornelio Fabro (1911-1995), a riguardo, parla opportunamente di "autofondazione della ragione".

Eppure, non ci si accorge che questa capacità di sé è assunta come supposta, ma non è argomentata, è posta ma infondata. Siamo, dunque, di fronte ad punto di partenza soggettivamente forte ma oggettivamente debolissimo.

Lo sviluppo cogente del pensiero, una volta fatto il primo passo nel principio di immanenza della modernità, perviene ad una filosofia "atea", che, espulso il "trascendente", deifica i "finiti" dell'uomo (la scienza, la tecnica, i grandi capitali finanziari etc...) i quali però, come tali, non possono che "partecipare" della natura finita del suo autore, rilevando il loro carattere di "immutabili" illusori.

 

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Daniele Trabucco (Costituzionalista)