Un incontro molto partecipato
Non solo la call to action ‘Insieme contro la violenza sulle donne’, con cui soci e dipendenti di Coopservice, a partire dallo scorso 8 marzo e fino al 14 aprile, hanno partecipato attivamente ad una campagna di raccolta like per sostenere il progetto NORA promosso da ActionAid per aiutare concretamente le donne che hanno subito violenza. Ma anche un webinar, rivolto ai dipendenti del Gruppo, che ha registrato la partecipazione di oltre 400 persone collegate in diretta dalle diverse sedi aziendali, durante il quale è stato approfondito il tema della violenza maschile sulle donne per comprendere quali siano le cause e le possibili contromisure che ciascuno può mettere in atto per prevenirla e contrastarla.
Il percorso intrapreso da Coopservice per un mondo più giusto e inclusivo
Le iniziative contro la violenza di genere non vanno però interpretate limitatamente alla celebrazione dell’8 marzo, bensì rientrano in un progetto di più ampio respiro che assume particolare significato in un’azienda che – come ricorda il Presidente Roberto Olivi – “si fonda per gran parte sul lavoro delle donne”. Perché Coopservice ha deciso di investire con sempre maggiore decisione sulla costruzione e condivisione di una cultura aziendale inclusiva, così come di proseguire nel percorso intrapreso per la promozione di azioni di valore volte a creare un mondo più giusto, equo e sostenibile, percorso che è stato recentemente avvalorato dal conseguimento di importanti attestazioni, quali la certificazione per la Parità di Genere e Family Audit.
Coopservice sostiene il progetto NORA
In questo contesto il webinar con ActionAid ha costituito un momento importante di sensibilizzazione e formazione, finalizzato a rafforzare la conoscenza e la comprensione della natura della violenza di genere e delle sue cause (stereotipi, disuguaglianza di genere, ecc..) per poi individuare quali azioni concrete possano essere messe in campo per contrastare il fenomeno sia nella fase di prevenzione che di sostegno a chi ne è stato vittima. Soprattutto, ci si è concentrati sul progetto NORA (‘Network of Organisations for Rights and Autonomy against gender-based violence’) che, finanziato dall’Unione Europea, si propone di prevenire e contrastare la violenza di genere attraverso il supporto e il rafforzamento di piccole e medie organizzazioni della società civile attive in tale ambito.
Che cosa è il progetto NORA
Con Nora, in particolare, saranno attivati sul territorio nazionale oltre 50 progetti dedicati a prevenire e contrastare gli stereotipi di genere e supportare l’empowerment socio-economico delle donne sopravvissute a percorsi di violenza. Con la previsione di questo target di destinatari:
- 500 donne fuoriuscite da percorsi di violenza;
- 50 organizzazioni locali impegnate nel contrasto e nella prevenzione alla violenza di genere;
- 1.500 cittadine e cittadini coinvolti nel progetto.
Le 3 parole d’ordine di NORA
Finalità essenziale di NORA è il sostegno alle donne che hanno subito, subiscono o rischiano di subire situazioni di violenza. Con 3 parole d’ordine: sostenere, potenziare, sviluppare. Sostenere le organizzazioni locali nella prevenzione, individuazione e risposta ai casi di violenza. Potenziare la comprensione della natura del fenomeno insieme con la capacità di networking delle organizzazioni locali con le aziende del territorio allo scopo di massimizzare l’impatto delle loro azioni. Sviluppare le interazioni tra le organizzazioni e altre parti interessate rilevanti.
Le 6 parole chiave per comprendere la violenza maschile sulle donne
Un aspetto centrale del webinar è consistito nella riflessione intorno a 6 parole chiave che sono servite ad introdurre e ad inquadrare il tema, a dimostrazione di come anche il linguaggio abbia un peso specifico importante quando si parla di violenza. Vediamole una ad una:
- Patriarcato, inteso come modello di società in cui il potere, l’autorità e il privilegio sono detenuti da uomini e in cui le donne spesso occupano invece posizioni subalterne o subordinate nella sfera sociale, economica e politica.
- Violenza maschile nei confronti delle donne, dove si sottolinea l’aggettivo qualificativo ‘maschile’ per comprendere tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o possono provocare danni o sofferenze di natura non solo fisica o sessuale ma anche psicologica o economica (dall’art.3 della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa, considerato il ‘framework’ della violenza di genere).
- Femminicidio, omicidio a causa del genere di appartenenza, cioè non l’uccisione di una donna per qualsivoglia circostanza ma di una donna perché tale.
- Prevenzione, suddivisa in primaria (volta a mutare norme sociali e comportamenti), secondaria (intercetta la violenza già avvenuta, intervenendo su chi rischia di subirla nuovamente), terziaria(garantisce la sicurezza delle donne che hanno subito violenza e riduce il tasso di recidiva degli autori di violenza).
- Violenza domestica, che si attua cioè all’interno del nucleo familiare e che ricomprende diverse azioni e comportamenti che mirano all’affermazione del potere e del controllo sull’altra persona, esercitandosi nelle 4 forme già citate: fisica, sessuale, psicologica, economica.
- Intersezionalità, da intendersi quale richiamo alla complessità multidimensionale che definisce l’identità delle persone e i loro bisogni, elemento importante sia per individuare le molteplici forme di oppressione e discriminazione a cui sono eventualmente sottoposte che i possibili interventi risolutivi.
Occorre intervenire sulle radici culturali del fenomeno
Le 6 parole chiave aiutano a definire e inquadrare compiutamente la tematica, individuando gli aspetti che ne sono alla base e mettendo in risalto quello che secondo ActionAid rappresenta l’elemento primario che caratterizza il fenomeno, e cioè il suo carattere culturale. Perché, è stato più volte sottolineato, è il cambiamento dei comportamenti che riproducono la violenza di genere il presupposto per il suo superamento, attraverso iniziative quali campagne di sensibilizzazione, formazione nelle scuole ecc: “Solamente intervenendo in maniera sistematica sulle radici culturali del sistema patriarcale, che governa tutti gli ambiti della quotidianità delle donne e degli uomini, è possibile produrre un cambiamento e garantire alle bambine, alle ragazze e alle donne il diritto di vivere una vita senza violenza”.
Se la violenza è un problema culturale bisogna investire sulla prevenzione primaria
Una priorità, quella del cambiamento culturale, che è suffragata dai dati statistici che riportano come, a fronte di una crescente produzione legislativa e di un costante incremento dei pur insufficienti fondi pubblici dedicati (+156% in 10 anni, con un incremento del 67% concentrato negli ultimi 3), il numero delle donne vittime di femminicidio è rimasto sostanzialmente stabile nel tempo. Questo perché, hanno spiegato Valentina Monini e Cinzia Penati di ActionAid, si interviene ancora prevalentemente a valle invece che a monte del problema: l’80% delle risorse è destinato ad interventi di protezione per donne che hanno già subito violenza, mentre solo il 13% è destinato ad attività di prevenzione e addirittura solo il 5,6% ad azioni di prevenzione primaria (educazione e sensibilizzazione su larga scala).
E invece alla prevenzione primaria si destinano le briciole
Una cattiva impostazione, questa, che purtroppo sta caratterizzando anche l’attività degli attuali organi politici nazionali: nel Parlamento in carica, infatti, sono stati presentati 48 disegni di legge che riguardano le attività di punizione, protezione e prevenzione. Di questi solo il 29% prevede una copertura finanziaria, percentuale che scende al 3% se si considerano le sole proposte normative fondate sulla fondamentale attività di prevenzione. “Quello che sta succedendo - ha ricordato Cinzia Penati - è che il cambiamento culturale tanto invocato dalle forze politiche della vecchia e nuova legislatura ogni qualvolta si registra un caso di violenza o femminicidio dovrebbe essere attuato a costo zero per lo Stato”.
Luoghi comuni versus dati reali: le false credenze della violenza di genere
Una discrasia tra affermazioni di principio, impegni politici e la realtà dei fatti che in qualche modo riproduce il divario tra i luoghi comuni di cui è impregnata la tematica e ciò che viene invece restituito dalla principale fonte statistica nazionale, i dati Istat. Alcuni esempi, riportati nel webinar:
- luogo comune, ‘siamo nel 2024, la violenza è retaggio di una mentalità vecchia, non riguarda le ragazze’. I dati: il 35,4% delle donne che ha subito violenza ha tra i 25 e i 44 anni;
- ‘la violenza riguarda famiglie povere e poco istruite’. I dati: il 42% delle vittime ha una istruzione post-secondaria e una posizione di lavoro elevata;
- ‘non è un fenomeno poi così diffuso, non mi riguarda’. I dati: il 31,5% delle donne in Italia ha subito forme di violenza (nelle 4 tipologie viste prima), ovvero 1 donna su 3. 1,4 milioni di donne hanno subito molestie o ricatti sul posto di lavoro
- ‘chissà con chi ha a che fare, un po' se l’è cercata’. I dati: il 70,5% dei femminicidi avviene in ambito familiare.
La convenzione ILO per eliminare la violenza e le molestie nel mondo del lavoro
Eppure, come si diceva, il quadro normativo si è molto evoluto, a partire dal primo strumento giuridico vincolante per il nostro Paese, la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa (2011, ratificata dall’Italia nel 2013) sulla prevenzione/lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, per arrivare alla Convenzione ILO n.190 del 2019 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro. Si tratta, quest’ultimo, di uno strumento messo a punto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro che riconosce che la violenza e le molestie sono incompatibili con il lavoro dignitoso e il rispetto dei diritti umani ed evidenzia le ripercussioni sulla salute psicologica, fisica e sessuale delle persone colpite. Non solo, rileva che la violenza e le molestie sul luogo di lavoro sono incompatibili con lo sviluppo di imprese sostenibili e hanno un impatto negativo sull’organizzazione del lavoro, sui rapporti nei luoghi di lavoro, sul coinvolgimento partecipativo delle lavoratrici e dei lavoratori, sulla reputazione e in ultimo sulla stessa produttività delle imprese.
La Convenzione ILO va nella giusta direzione perché punta sulla prevenzione
La Convenzione varata dall’Agenzia delle Nazioni Unite, ratificata dall’Italia nel 2021, rappresenta quindi uno strumento di grande importanza perché ha un approccio innovativo, non vittimistico e basato sulla prevenzione: lo Stato e il datore di lavoro hanno l’obbligo di affermare una cultura del lavoro basata sul rispetto reciproco e sulla dignità dell’essere umano promuovendo gli ambienti a tolleranza zero contro comportamenti e pratiche di violenza e di molestie. Un obbligo da attuarsi attraverso l’adozione di leggi, regolamenti e risorse ad hoc, ma anche direttamente all’interno delle aziende attraverso misure specifiche di orientamento, formazione, sensibilizzazione nonché promuovendo meccanismi di ricorso e di risarcimento per le vittime. Con alcune buone regole, comunque, da adottare nell’ambiente di lavoro, quali:
- non avere o sostenere comportamenti sessisti/violenti;
- promuovere e mantenere quotidianamente un ambiente di lavoro sicuro e accogliente;
- fare attenzione ai segnali che una collega in difficoltà può dare.
Comportamenti virtuosi che un’azienda che si vuole caratterizzare quale inclusiva e sostenibile deve necessariamente promuovere e sostenere.