Mercoledì, 12 Marzo 2014 17:23

Reggio Emilia - Lo spettacolo "Angelo della gravità (un'eresia)" al Teatro Cavallerizza

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"Angelo della gravità (un'eresia)", di Massimo Sgorbani, con Leonardo Lidi, regia Domenico Ammendola, produzione Nove Teatro.

Lo spettacolo sarà in scena al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia, nell'ambito della rassegna 'Progetto in scena, idee per il futuro' organizzato dalla Fondazione I Teatri, sabato 15 (ore 20.30) e domenica 16 marzo (ore 18).

Reggio Emilia, 12 marzo 2014 -

Stati Uniti: un detenuto nel braccio della morte in attesa dell'impiccagione.
Colpo di scena: esecuzione sospesa per obesità. Il condannato, troppo grasso, avrebbe spezzato la corda del boia. Paradossi tragici della pena di morte.
Da questo fatto di cronaca Massimo Sgorbani ha tratto un monologo dal punto di vista del detenuto, imprigionato, oltre che nella sua cella, in una situazione surreale quanto verosimile.
Il testo, che si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria Riccione 2001 "Bignami-Quondamatteo", viene ora portato in scena con la regia di Domenico Ammendola, fondatore di NoveTeatro, e l'interpretazione di Leonardo Lidi.

Ne l''Angelo della gravità' la personale ricerca registica di Domenico Ammendola si arricchisce attraverso il sodalizio artistico con Massimo Sgorbani. La scena ricrea uno spazio asettico e il regista inserisce un collage di emissioni sonore e luci, enfatizzando lo scorrere del tempo e la potenza della parola, quasi a voler schiaffeggiare il pubblico. La scenografia è l'appiglio per l'attore-personaggio per non lasciarsi trascinare dalla corrente della morte: è una cella, ma potrebbe essere un qualsiasi luogo davanti o almeno nelle vicinanze di Dio.

Il fatto di cronaca originario è rimasto un semplice spunto. "Angelo della gravità" è la storia di un obeso, un uomo con evidenti problemi di disordine alimentare e di immaturità psicologica, un animo infantile intrappolato in un corpo cresciuto a dismisura la cui sola consolazione è il cibo. E proprio inseguendo il cibo l'uomo approda nel paese da favola dove i supermercati sono aperti a tutte le ore e i panini sono come quelli dei fumetti: gli Stati Uniti. Qui, in terra straniera, consuma l'efferato ma candido delitto per il quale viene condannato all'impiccagione. Il monologo è il resoconto che l'uomo fa delle sue vicende mentre attende di essere appeso alla corda del boia.
"Angelo della gravità", però, è soprattutto la storia di un'eresia. Eresia paradossale, figlia di una cultura essenzialmente laica e materialista, nella quale lo slancio religioso è sempre mischiato a elementi profani. Eresia di un'epoca in cui il consumo stesso è diventato la più diffusa delle religioni.

Da qualche anno NoveTeatro porta avanti un percorso di ricerca sulla drammaturgia contemporanea. "Angelo della gravità" è il primo testo scritto da un autore italiano mentre i testi precedentemente affrontati erano di autori anglosassoni. La scelta è ricaduta su questo testo per due motivi: la sua grande forza drammaturgica che si sposa perfettamente con un'idea di teatro vicina alla Compagnia e il grande impatto sociale di un testo che non volendo esserlo è, suo malgrado, di forte denuncia sociale e riflessione collettiva. In questo lavoro in particolare NoveTeatro ha condotto una ricerca attoriale tra attori e nuovi talenti usciti dalle accademie. Dalle note di regia: 'Non è solo un attore che stiamo cercando, ma un corpo che lo contenga e trattenga. Un Angelo tra quelli meno volatili'.

Si segnala che lo spettacolo non è consigliato ai minori di 16 anni

Note dell'Autore Angelo della gravità è un testo nato in seguito alla lettura di una notizia riportata anni fa dai giornali: negli Stati Uniti, un detenuto nel braccio della morte era in attesa che la sua condanna venisse eseguita tramite impiccagione. L'esecuzione, però, era stata sospesa perché il condannato in questione era grasso al punto che il suo peso avrebbe spezzato la corda del boia.
Da qui l'idea di mettere in forma di monologo un fatto che, accostando in modo così bizzarro tragedia e paradosso comico, travalicava da solo la realtà e si poneva nella dimensione del verosimile.
Il fatto di cronaca originario è rimasto un semplice spunto. "Angelo della gravità" non è la storia di quell'obeso, ma di un obeso, un uomo con evidenti problemi di disordine alimentare e di immaturità psicologica, un animo infantile intrappolato in un corpo cresciuto a dismisura.
La sua sola consolazione è il cibo. Il cibo, un tempo ricevuto dalla madre, è il solo, più alto dono d'amore che lui conosca. E proprio inseguendo il cibo l'uomo approda nel paese da favola dove i supermercati sono aperti a tutte le ore e i panini sono come quelli dei fumetti: gli Stati Uniti. Qui, in terra straniera, consuma l'efferato ma candido delitto per il quale viene condannato all'impiccagione.
Il monologo è il resoconto che l'uomo fa delle sue vicende mentre attende di essere appeso alla corda del boia.
"Angelo della gravità", però, è soprattutto la storia di un'eresia. Eresia paradossale, figlia di una cultura essenzialmente laica e materialista, nella quale lo slancio religioso è sempre mischiato a elementi profani. Eresia di un'epoca in cui il consumo stesso è diventato la più diffusa delle religioni.
Nel corso del monologo, il condannato a morte costruisce la sua personale visione del mondo, la sua cosmogonia, e lo fa utilizzando i soli elementi di cui dispone: cresciuto nel culto delle merci e della televisione, disegna una delirante concezione dell'ordine universale e morale nella quale la pornografia coincide con l'agape e l'indigestione con l'eucaristia. Forte di questa fede, l'obeso approda alla visione celeste degli "angeli della gravità" che grazie alle loro ali vincono il peso della materia e si elevano verso Dio. Nella certezza di entrare a far parte della schiera di questi angeli, il condannato affronta con serenità la sua morte imminente e si consegna a una paradossale ma autentica santità. (Massimo Sgorbani)
Il testo ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria al Premio Riccione Teatro ed.2001)

 

Così la Stampa


La regia attenta e misurata di Domenico Ammendola sottolinea i passaggi di tempo e di spazio, ricorrendo, grazie all'abilità di Lorenzo Savia, ad un suggestivo gioco di luci e di suoni diffusi. (...) Una parola scenica che scorre come un fiume in piena. Un testo surreale che racconta la storia di un uomo con evidenti problemi di disordine mentale, ossessionato dal cibo.(...) E l'angelo che era in scena, Leonardo Lidi, con gesti pacati e misurati, attento a tutte le sfumature, ha saputo dare corpo e voce alle visioni, ai pensieri scenici, dell'autore e del giovane regista. (Angela Villa, Dramma.it)
La messa in scena pone l'accento sulla fragilità di questo individuo, solo in un mondo che lo sovrasta e di cui non capisce le dinamiche (...) Le musiche e le luci creano una dimensione di straniamento, rimandando qua e là all'influenza dei media. La scenografia crea una dimensione non realistica (...) La narrazione si svolge su due piani, abitando due spazi scenici differenti, quello sussurrato al microfono e quello dei ricordi, resi vivi dai movimenti e dalla mimica di Lidi. (Serena Lietti, Sipario)

Cibo a dismisura, pornografia, religione si muovono in un iperspazio ideale in cui la gravità è assente (...). Il testo di Massimo Sgorbani è un monologo dai toni forti, traduce in fondo l'ossessività consumistica di un mondo distratto e distorto dal potere mediatico, in cui tutto pare galleggiare allo stesso livello, ed è interpretato da uno straordinario Leonardo Lidi che sa coniugare, nel racconto della vita del protagonista, i momenti di tragicità e quelli di una candida quanto disarmante follia. La scelta registica di addobbare il palco di palloni bianchi, cangianti al pari del costume dell'attore, conferisce l'aspetto protettivo del grasso come la levitazione degli angeli agognata dal condannato consentendo, attraverso un adeguato disegno luci, di tradurre cromaticamente gli stati d'animo del personaggio al centro. (Claudio Elli, PuntoeLinea Magazine)

(...) Quel che c'è è la spiazzante contradditorietà fra eventi di una grevità tale da sconsigliarne la visione ai minori di 16 anni e una leggerezza ed oniricità. Quasi, del registro narrativo. Da riportare l'ossimoro ad un livello altro. Così qui a stridere – in senso intenzionale e costruttivo – è l'efferato candore con cui vengono raccontati i fatti. (...) La tragedia reale è il suo essere goffamente inadeguato ad un mondo da cui, pur tutti i suoi 'spessi strati di ciccia' non riescono a proteggerlo, quella sua scolla inconsapevolezza, quel suo pensiero bambino intrappolato in un corpo morbido ma possente. (Francesca Romana Lino, PlateaLmente)
Confrontarsi con un testo di questa portata è un'impresa eroica e il regista è riuscito nell'intento, e così anche l'attore che ha tenuto testa al flusso di parole, emozioni, immagini e odori di questa perla della drammaturgia contemporanea. (Francesca Sangalli, GIOVIO15)

MASSIMO SGORBANI, drammaturgo e sceneggiatore, si è diplomato in drammaturgia alla Scuola Civica P.Grassi. In teatro ha collaborato con Franco Branciaroli, Antonino Iuorio, Ivana Monti, Sabrina Colle, Patrizia De Clara, Lucia Ragni, Ruggero Cara, Federica Fracassi. Nel 2001 ha vinto il Premio Speciale della Giuria Riccione 2001 "Bignami-Quondamatteo", con il testo Angelo della gravità. Nel 2003 si è classificato secondo al Premio Fersen con il testo Il tempo ad Hanoi. Sempre nel 2003 ha ottenuto la "segnalazione di continuità" al Premio Riccione per il testo Le cose sottili nell'aria. Nell'agosto del 2008 ha ricevuto il premio Franco Enriquez per la drammaturgia. Nel maggio 2008 il Teatro Franco Parenti ha organizzato il "Focus su un autore: Massimo Sgorbani", dieci giorni nel quale sono stati rappresentati sette suoi spettacoli a cura di Andrée Ruth Shammah. Nel marzo 2013 il suo testo Blondi è andato in scena al Piccolo Teatro Studio di Milano mentre nel settembre è andato in scena lo spettacolo Fuck me(n), scritto insieme a Giampaolo Spinato e Roberto Traverso, e vincitore del premio Giovani Realtà del Teatro. I testi di Massimo Sgorbani sono pubblicati da Ubulibri, con il titolo di Teatro di Massimo Sgorbani, da Editoria&Spettacolo con il titolo Due pezzi quasi comici, e da Titivillus con il titolo Innamorate dello spavento.

DOMENICO AMMENDOLA, frequenta il D.A.M.S. di Bologna indirizzo lettere, filosofia e disciplina dello spettacolo. E' assistente alla regia di G. Cobelli per Un patriota per me di J. Osborne prodotto da ERT e assistente alla regia di Gigi Dall'Aglio per La bottega del caffè di C. Goldoni prodotto da ERT e dal Teatro Stabile della Sardegna. Nel 1998 diventa direttore artistico del Centro internazionale ART, ed è assistente alla regia di Cesare Lievi per The Rake's progress prodotto dal Teatro Comunale di Modena. Nel 2004 fonda il Centro Teatrale MaMiMò, centro di formazione permanente per Reggio Emilia e provincia in qualità di presidente e direttore artistico. Nel 2007 fonda e tutt'ora dirige NoveTeatro. Nel 2008 cura la regia dello spettacolo Clizia prodotto dal Teatro Stabile di Sardegna. Nel 2009 cura la regia dello spettacolo Bianca Morte, spettacolo semifinalista al Premio Scenario–Ustica 2009. Nel 2011 dirige ed interpreta Processo a Giulio Cesare spettacolo con Paolo Bonacelli e Urbano Barberini.

LEONARDO LIDI, giovane attore (1988), diplomato al Teatro Stabile di Torino, ha lavorato al cinema con Francesco Paladino ('Where the Rivers runs 'Miglior Thriller Psicologico" New York International Indipendent Film e Maurizio Losi.( 'In direzione Ostinata e contraria' - Prix du meilleur scénario al Festival " Les Mureaux" – Parigi ).
A teatro è stato diretto da registi quali Andrea De Rosa, Valter Malosti, Carmelo Rifici, Paolo Rossi.

NoveTeatro, che ha sede a Novellara (Reggio Emilia), è centro teatrale fondato nel 2007 dal regista Domenico Ammendola che ne è anche il direttore artistico. E' ente di produzione di spettacoli di prosa con professionisti diplomati alle principali accademie nazionali, coinvolge personalità importanti del panorama teatrale italiano. All'attività di produzione si affianca la scuola teatrale di NoveTeatro e un'intensa attività di teatro civile. Tra le produzioni annovera Processo a Giulio Cesare con Paolo Bonacelli per la regia di Domenico Ammendola.
Info e prenotazioni
0522 458811
Biglietti: Intero 15 euro – ridotto 12 euro over 65 – ridotto Tessera Zeroventisette e universitari 10 euro

 

(Fonte: ufficio stampa leStaffette)

 

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