La Camera di Commercio punta a rafforzare ulteriormente le esportazioni reggiane verso la Germania: vale 250 milioni su un export totale di 1 miliardo in Germania -
Reggio Emilia, 5 febbraio 2015 -
Dopo l'exploit del 2014 (circa il 13% in più), la Camera di Commercio punta a rafforzare ulteriormente le esportazioni reggiane verso la Germania, primo Paese di riferimento per la nostra economia, con un export che vale oltre 1 miliardo di euro.
Nell'ambito dell'intenso programma di incoming di operatori varato anche in vista di Expo 2015, una intensa giornata di confronti ha infatti interessato 15 imprese reggiane e una decina di operatori tedeschi, interessati, in particolare a macchinari e lavorazioni in subfornitura.
Del pool di operatori provenienti dalla Germania facevano parte anche esponenti di imprese note a livello internazionali, alla ricerca di nuovi fornitori in una provincia che proprio in Germania nel 2014 ha registrato un tasso di crescita delle esportazioni più che doppio rispetto alla media generale.
"Il dato più interessante riscontrato nel corso degli incontri – spiega il presidente della Camera di Commercio, Stefano Landi – è rappresentato da una domanda che in Germania si mantiene particolarmente forte: siamo, infatti, di fronte ad un mercato che assorbe rilevanti volumi di componenti e macchinari finiti sia per un uso diretto che per le lavorazioni".
"Le produzioni meccaniche (macchinari e componenti) realizzate a Reggio – prosegue Landi – sono peraltro particolarmente apprezzate in Germania per la qualità che da sempre le contraddistingue e per la flessibilità dei processi produttivi che gli imprenditori reggiani sanno realizzare".
Non a caso proprio queste produzioni hanno rappresentato circa un quarto dell'export reggiano in Germania.
(Fonte: ufficio stampa Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Reggio Emilia)
L'economia reggiana sta decisamente giocando la carta dell'innovazione per riprendere la via della crescita, e lo fa con un'intensità che non ha uguali in Emilia-Romagna -
Reggio Emilia, 4 febbraio 2015 -
I dati del 4° Rapporto Innovazione presentato dalla Camera di Commercio di Reggio Emilia evidenziano, che nell'ultimo triennio due imprese su tre hanno investito in innovazione di processo e di prodotto, e solo il 30,6% ha dichiarato di non aver introdotto alcuna innovazione, mentre la media regionale si colloca al 39%.
Il Rapporto, oltre che dalle 219 interviste dirette alle imprese reggiane, trae i dati da diverse fonti, fra le quali soprattutto dall'Osservatorio Innovazione Unioncamere Emilia-Romagna, strumento progettato e realizzato per rilevare il grado di innovazione delle imprese emiliano-romagnole, studiandone i punti di forza, le aree di miglioramento e altresì le criticità e volto, più in generale, a cogliere le esigenze delle imprese del territorio.
"Insieme all'importanza di un dato generale che vede la nostra provincia ai vertici della graduatoria regionale per capacità di innovazione – sottolinea il presidente della Camera di Commercio, Stefano Landi – gli aspetti più interessanti sono legati alle linee di investimento scelte dalle aziende reggiane, che vedono in buon equilibrio quelli finalizzati all'incremento della produzione e quelli che generano innovazioni radicali di prodotto, con cambiamenti che incidono profondamente nelle caratteristiche del tessuto produttivo e vanno a cogliere nuove opportunità di mercato".
"Emblematico, in tal senso – prosegue Landi – è il fatto che i maggiori tassi di innovazione connotano le imprese rivolte ai mercati internazionali, mettendo insieme due fattori – internazionalizzazione e innovazione – sui quali si sono concentrati crescenti volumi di risorse da parte della Camera di Commercio a beneficio del nostro sistema imprenditoriale".
Quanto l'innovazione incida sullo sviluppo delle imprese è attestato dal dato riguardante la crescita del fatturato registrato all'interno delle imprese intervistate: nel periodo 2010-2013, l'11,1% delle società che hanno innovato ha registrato incrementi di fatturato, mentre la crescita riguarda solo il 4,1% delle imprese non innovative".
Fra le imprese che hanno innovato nell'ultimo triennio, il 24,2% ha introdotto innovazioni di prodotto di tipo incrementale ed una percentuale pari al 20,1% ha introdotto innovazioni di processo, sempre di tipo incrementale. Ha realizzato innovazione radicale di prodotto (l'innovazione ritenuta più pregiata) ben l'11,4% delle imprese del campione di Reggio Emilia contro il 9,7% di quelle del campione emiliano-romagnolo, mentre l'innovazione radicale di processo ha interessato una quota più ridotta di casi, anche se pur sempre superiore alla media regionale: il 5,9% a Reggio Emilia contro il 5,5% regionale.
Una quota più elevata di imprese innovative appartiene ai settori della meccanica, della ceramica, del chimico/farmaceutico e della gomma-plastica. Le differenze non riguardano soltanto il settore produttivo bensì la dimensione di impresa, con le imprese più grandi che si dimostrano maggiormente in grado di innovare.
Una relazione strettissima – come si diceva - emerge poi tra capacità d'innovazione delle imprese e apertura al mercato internazionale.
Fra le imprese con mercati di sbocco collocati esclusivamente a livello locale, infatti, non ha innovato il 43% delle imprese del campione, mentre fra quelle con un maggior grado di apertura a paesi esteri, tale percentuale scende fino al 7,3%.
E' cresciuta rispetto al passato, raggiungendo il 16,3%, la percentuale di imprese reggiane che ha deciso di investire acquistando nuovi macchinari e attrezzature (quasi 6 milioni di euro investiti dal campione di imprese). Al secondo posto, in linea con il dato regionale, salgono gli investimenti per lo sviluppo/design di nuovi prodotti all'interno dell'azienda - 23 milioni di euro investiti in generale per attività in grado di sviluppare il know how interno aziendale a Reggio Emilia - seguiti dagli acquisti dell'area informatica (oltre 1 milione di euro di effettivo investimento).
Oltre un terzo (37,1%) delle imprese del campione provinciale ritiene che le innovazioni introdotte in azienda abbiano portato benefici anche per la collettività e il territorio di riferimento (32% medio regionale). Si tratta di benefici che riguarderebbero in primis l'eco-sostenibilità ed in seconda battuta le ricadute socio-occupazionali.
Il focus sui temi dello sviluppo sostenibile e della green economy, evidenzia che oltre un quarto (25,7%) delle imprese reggiane si è già convertito alla green economy (dato in netta crescita rispetto al 13,3% della precedente rilevazione) e superiore a quello medio dell'Emilia-Romagna (19,8%). Reggio Emilia si posiziona seconda fra le nove province della regione preceduta solo da Forlì-Cesena (27,8%). La conversione al green ha riguardato innanzitutto il tema dell'energia (impianti fotovoltaici, fonti rinnovabili, macchinari a minore consumo, maggiore efficienza energetica, ecc.).
(Fonte: ufficio stampa Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Reggio Emilia)
Ancora fortemente penalizzate le microimprese del commercio e del turismo: i dati dell'Osservatorio Confesercenti -
Parma, 3 febbraio 2015 -
I dati sulle dinamica territoriale dei prestiti bancari alle imprese commerciali e turistiche dell' Emilia Romagna evidenziano a settembre 2014, una forte asimmetria in base alla dimensione delle impresa: mentre per le imprese che occupano almeno 20 addetti il cosiddetto "credit crunch" si è esaurito definitivamente (+5,1% su base annua), si è invece fortemente inasprito per le microimprese fino a 5 addetti (-7,5%).
Fortemente differenziati anche i dati relativi alla dinamica tendenziale delle sofferenze lorde per le imprese dello stesso comparto in Regione: mentre la crescita media del complesso delle imprese del settore è pari al 23,4% su base annua, sempre a settembre 2014, le microimprese fino a 5 addetti, fanno registrare una crescita del 12,1%, solamente la metà rispetto al dato complessivo del comparto.
"Le microimprese del commercio e del turismo fino a 5 addetti sono ancora fortemente penalizzate nell'accesso al credito – sottolinea Stefano Bollettinari, direttore regionale di Confesercenti commentando i dati dell'Osservatorio – e in misura meno accentuata ne sono colpite quelle da 6 a 19 addetti, mentre il credit crunch è stato completamente superato per le imprese con almeno 20 addetti.
E' necessaria quindi un'attenzione particolare con politiche e sostegni mirati per l'accesso ai finanziamenti a favore delle imprese di più piccole dimensioni che rappresentano circa il 95% del totale, che sono così importanti per la tenuta del tessuto economico e sociale; ma sono anche quelle che, operando quasi esclusivamente sul mercato interno, hanno pagato il prezzo più alto durante questa lunghissima crisi che speriamo finalmente di lasciarci alle spalle nel corso di quest'anno".
(Fonte: L'Ufficio stampa Confesercenti Regionale Emilia Romagna)
In sette anni perso oltre il 35% del fatturato, ma mancano iniziative di sostegno al settore, penalizzato, al contrario, dalle nuove norme come
lo "split payment" -
Modena, 2 febbraio 2015 -
Nel giro di sette anni l'edilizia modenese ha lasciato sul campo il 35,5% del proprio fatturato. E se qualcuno pensa che la crisi sia finita, basta citare la flessione del 10,9% che il settore delle costruzioni ha segnato a giugno 2014 rispetto a dodici mesi prima, dati certificati dalla minuziosa analisi dell'indagine TrendER di CNA regionale.
"Un simile calo di fatturato ha una conseguenza diretta in termini di chiusure di aziende e perdita di occupazione. E anche se poi molti lavoratori tentano la carta dell'attività in proprio, il risultato netto di questo processo è il depauperamento della professione". E' un vero e proprio grido di allarme quello lanciato da Paolo Vincenzi, presidente di CNA Costruzioni Modena, per la crisi pluriennale che condiziona un settore che ha importanti ricadute su tutta l'economia. "Edilizia ferma significa anche un rallentamento degli investimenti nel settore e quindi conseguenze negative anche per l'industria estrattiva o la meccanica, tanto per fare un paio di esempi".
Come uscire da questa impasse? "Servono investimenti – continua Vincenzi – a cominciare dal settore pubblico. Pensiamo alla tutela del territorio, e noi sappiamo quali siano le implicazioni dell'assenza di manutenzione dei fiumi e delle montagne, ad esempio. Non meno importante è l'edilizia scolastica, e la riqualificazione delle città. Azioni per lee quali esistono anche risorse, la cui utilizzazione, però, è spesso ostacolata dalla burocrazia e da vincoli ispirati dalle norme per la finanza pubblica, come il patto di stabilità".
E' paradossale, secondo il presidente degli edili di CNA, chiedere ai cittadini e alle imprese di investire, quando al contrario le istituzioni sono le prime a tagliare. Si tratta di una linea di rigore a senso unico che non fa certo bene all'economia nel suo complesso e al settore costruzioni in particolare.
"Come se ciò non bastasse, le recenti norme introdotte dalla Finanziaria vanno a rendere sempre più difficile la vita delle imprese che, malgrado la crisi, in questi anni hanno resistito". E' il caso dello "split payment" e del "reverse charge", due norme che prevedono che l'azienda non riscuota l'iva dal cliente (il pubblico nel caso dello "split", il privato per ciò che riguarda il "reverse") ma che debba attendere il rimborso da parte dell'erario, se a credito.
"Ciò significa meno liquidità da parte delle imprese, e un livello di burocrazia ancora maggiore, per tutti gli adempimenti necessari al rimborso".
Una complicazione che si aggiunge al raddoppio, dal 4 all'8%, della ritenuta applicata sui bonifici bancari collegati alle operazioni di ristrutturazione ed efficientamento energetico delle abitazioni e degli immobili delle imprese, l'unica modalità di pagamento ammissibile per avere diritto alle relative detrazioni fiscali.
"La banca dati degli studi di settore dimostra che su 100 euro di ricavi il reddito per l'impresa è intorno ai 10 euro. Portare all'8% la ritenuta significa, per le imprese, anticipare l'80% di quest'ultima allo Stato. Reddito che dovrebbe servire, tra l'altro, a pagare i dipendenti ed i fornitori. L'effetto di questo provvedimento, dunque, potrebbe essere quello di costringere le imprese a presentarsi in banca per reperire la liquidità necessaria ad onorare i propri impegni, con le difficoltà ed i costi ben noti a tutti".
"Si tratta – conclude Vincenzi – di norme davvero inique, che vanno in direzione opposta al sostegno del settore, che, al contrario, avrebbe bisogno di misure fiscali agevolative, ad esempio a favore delle giovani coppie, e di un allentamento del patto di stabilità che favorisca la ripresa degli investimenti".
(Fonte: Ufficio Stampa CNA MO)
Prima, durante e dopo. Le dichiarazioni anti-euro non fanno bene alla borsa di Atene il cui indice è crollato prima e dopo il voto che ha confermato le previsioni dell'ascesa di Tsipras al governo ellenico.
di Lamberto Colla - Parma, 1 febbraio 2015 -
Sono bastate le proiezioni di una vittoria della sinistra antieuro di Tsipras per scatenare le ire della finanza internazionale sulla già martoriata Grecia, messa in ginocchio prima dai suoi governi rei di essersi intossicati dai prodotti finanziari di Goldman Sachs e poi dal colpo di grazia dalla Troika, a suon di ribassi in Borsa. - 11% prima e -10% post voto il crollo dell'indice borsistico di Atene accompagnato dai consueti commenti della "portinaia del condominio Europa" sempre pronta a dire la sua su tutto e tutti ma senza mai pagare dazio.
"Il salvataggio della Grecia è costato molto di più all'Italia che non alla Germania e alla Francia." A sostenerlo è il numero uno di UNICREDIT Giuseppe Vita presente alla trasmissione "Fischia il Vento(*)" di Gad Lerner del 21 gennaio scorso. "I soldi, prosegue il presidente del CDA di Unicredit spa, della Germania dati alla Grecia sono tornati nelle banche tedesche, i soldi della Francia sono tornati, in parte, a pagare i debiti delle banche francesi e i soldi dell'Italia sono rimasti lì, in aiuto alla Grecia".
Fatto sta che il popolo greco ha tutti i diritti di rialzarsi anche e soprattutto a fronte delle dichiarazioni dello stesso FMI (Fondo Monetario Internazionale) e componente della Troika che in più occasioni ha riconosciuto la gravità degli errori commessi in Grecia.
Tra il 2008 e il 2013 la Repubblica Ellenica ha lasciato per strada il 24% del proprio Pil, di gran lunga la contrazione più grave rispetto a quella accumulata in qualsiasi altro Paese di Eurolandia. Negli stessi anni i consumi sono sprofondati del 26% e gli investimenti si sono ridotti di quasi due terzi. Non solo: secondo un rapporto dei ricercatori delle Università di Cambridge, Oxford e Londra pubblicato a inizio anno dalla rivista medica britannica The Lancet, in Grecia la mortalità infantile nei primi mesi di vita dei bambini è aumentata del 43% a seguito dei tagli alla spesa pubblica e al dimezzamento del bilancio della Sanità imposti dall'Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale.
Val la pena perciò di gioire dello 0,7% di incremento del PIL greco frutto della "cura" imposta dall'UE?
Meno male che il "B" all'epoca, quand'era ancora presidente del consiglio italiano, avesse con tutte le sue forze contrastato e rifiutato gli "aiutini" del FMI ben conscio di quello che sarebbe accaduto: l'abbraccio mortale della troika!
Ed oggi il premier greco tenta il tutto per tutto alleandosi con l'estrema destra con buona pace dei nostri irriducibili e romantici comunisti i quali, ben attrezzati da sessantottini, cantavano "Bella Ciao" sotto il palco di Tsipras la scorsa domenica. Un esempio e un modello per tutta europa commentavano; poi il silenzio dopo la feroce notizia raccolta già durante il viaggio di ritorno. Altro che "Patto del Nazareno".
____________________
(*)Fischia il vento è un programma di Gad Lerner nato dalla collaborazione tra Repubblica e laeffe Tv e prodotto da Pulsemedia. In onda il mercoledì alle 21 in contemporanea su Repubblica.it e laeffe (canale 50 del digitale terrestre e 139 di Sky)
Si allentano le tensione sul frumento duro. Le informazioni dal Canada attenuano le pessimistiche previsioni di fine anno scorso pur rimanendo in netta flessione rispetto al 2013.
di Lgc - Parma, 29 gennaio 2015 -
Il mercato cerealico, nel suo complesso, continua a mostrare segnali di tensione e le reali intenzioni degli investitori rimangono ancora oscure, almeno stando all'osservazione dell'andamento dei grafici dei contratti a termine.
Da un lato le tensioni geopolitiche (Russia e Ucraina ad esempio) dall'altro gli andamenti climatici non consentono di avere uno scenario ben definito del panorama mondiale de cereali.
Ai sopracitati elementi di negatività però se ne stanno sovrapponendo altri, di natura più positiva, che potrebbero sensibilmente attenuare gli effetti negativi dei primi.
Primo fra tutti i dati che provengono dal Canada. Le previsioni funeste sulla produzione e sulla qualità, soprattutto connessa al più piccolo mercato del frumento duro smentiscono, in parte, le catastrofiche previsioni di dicembre scorso. Sarebbero ben 800.000 gli ettari in più che verrebbero destinati al frumento canadese raggiungendo quindi l'impensabile soglia dei 10 milioni di tonnellate di produzione cerealicola ben lontano dalla riduzione del 27% previsto. Tuttavia, la I.G.C. (International Grains Council) parla di una riduzione mondiale delle scorte soprattutto da parte dei grandi esportatori, come UE e Russia, ma con tutti gli altri paesi produttori, Stati Uniti compresi, pronti e disponibili a sopperire alla domanda di cereali.
Restando nell'ambito geopolitico con le prossime elezioni in Argentina potrebbero venir meno gli impedimenti all'export dei cereali nel caso si dovesse concretizzare un'uscita di scena dell'attuale presidente Cristina Fernández de Kirchner. Un'ipotesi che si tradurrebbe, secondo i dati diffusi dal Dipartimento dell'Agricoltura USA con sede a Buenos Aires, in un incremento di 500.000 tonnellate rispetto alle previsioni ufficiali per un totale di 6.5 milioni di tonnellate.
In conclusione, secondo i dati forniti dall'agenzia IGC, si stima una produzione di grano mondiale nel 2015 intorno ai 701 Mil. di tonnellate in calo di 16 Mil. di t. dallo scorso anno ma ancora superiore alla media degli ultimi cinque anni di circa il 2%. L'incertezza riguarda solo le stime da parte di Russia e Ucraina dove è ormai preso in considerazione il peggioramento dei raccolti da parte degli operatori agricoli.
Mantenuti gli impegni per la delimitazione dei terreni agricoli con l'esenzione.
Roma - Sono stati mantenuti gli impegni assunti a rivedere anche per il 2014 i criteri individuati per la delimitazione dei terreni agricoli con l'esenzione per tutti nei comuni montani e a favore dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali, o a chi a loro affitta, in quelli parzialmente montani.
E' quanto afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel commentare positivamente l'esito del Consiglio dei Ministri straordinario sull'Imu agricola montana che, con il lavoro del Ministro per le Politiche Agricole Maurizio Martina e su proposta del premier Matteo Renzi, ha fissato nuovi criteri per il pagamento con esenzione totale per 3456 comuni (prima erano 1498) e parziale per 655. Il premier Matteo Renzi e il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina – sottolinea Moncalvo - hanno dimostrato grande sensibilità nei confronti di quanti vivono e lavorano nelle aree di montagna dove svolgono un ruolo di presidio del territorio insostituibile per l'intera collettività.
Il testo prevede che a decorrere dall'anno in corso, 2015, l'esenzione dall'imposta municipale propria (IMU) si applica:
· ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei Comuni classificati come totalmente montani, come riportato dall'elenco dei Comuni italiani predisposto dall'Istat;
· ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, di cui all'articolo 1 del decreto legislativo del 29 marzo 2004 n. 99, iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei Comuni classificati come parzialmente montani, come riportato dall'elenco dei Comuni italiani predisposto dall'Istat.
Tali criteri si applicano anche all'anno di imposta 2014.
(Ufficio Stampa Coldiretti 23 gennaio 2015)
I "correttivi anticrisi" non sono più sufficienti. Dall'analisi di un campione di 9.342 studi di settore effettuato da Confesercenti Emilia Romagna si evince come, nonostante la crisi, sia sempre maggiore il numero di soggetti congrui ma anche l'indebolimento sensibile dei ricavi per talune categorie.
di LGC - Parma, 28 gennaio 2015 -
Pizzerie e ristoranti ma non solo. E' tutto il comparto della somministrazione e dei servizi che sta soffrendo una costante riduzione di ricavi.
A rilevarlo è l'ufficio economico di Confesercenti Emilia Romagna che nei giorni scorsi ha diffuso i dati relativi all'analisi svolta su un campione di 9.342 aziende operanti nell'ambito del commercio, turismo e servizi in tutta la regione, relativi all'anno di imposta 2013 e confrontati con gli anni precedenti.
L'indagine si è concentrata in modo specifico sugli studi di settore evidenziando come, rispetto all'anno precedente (2012), le ditte cosiddette congrue siano rimaste invariate passando dal 77,2% al 76,8% (-0,4%) del 2013. Aprendo il campo di osservazione all'anno pre-crisi, nel 2006 era pari al 65,5%, con il 76,8% del 2013, si evince che nel periodo c'è stato un aumento dell'11,3% di ditte che rispettano gli studi di settore.
In ogni caso, negli ultimi 4 anni, la somma delle ditte congrue più adeguate si è attestata sempre su una media superiore al 75%.
"Per quanto riguarda l'incidenza dei correttivi anticrisi - scrive Confesercenti Emilia Romagna - sugli indici di congruità delle ditte, si riscontra una diminuzione del dato che era del 43,1% nel 2012 ed è passato al 41,6% nel 2013; ciò significa che si è tenuto conto, ma in modo insufficiente, della situazione molto pesante che stanno vivendo le imprese che vedono i costi aumentare, mentre la redditività si è ridotta ai minimi termini, tanto è vero che molte sono costrette a chiudere."
Infine dall'analisi emerge il costante e diffuso ridimensionamento dei ricavi in particolare su alcune categorie del commercio, della somministrazione e dei servizi. Ad esempio i ristoranti e pizzerie hanno registrato un ricavo medio diminuito del 2,2% tra il 2013 e il 2012, il commercio ambulante del -6,1% e settore dei generi di monopolio il ricavo medio è diminuito del 5,5% in un anno.
Una situazione che ha spinto l'organizzazione di categoria, attraverso il direttore regionale Stefano Bollettinari, a sollecitare l'abbattimento della pressione fiscale. "Ancora una volta i dati dimostrano il grande impegno delle p.m.i. a rispettare gli studi di settore nonostante la pesantezza della crisi e la flessione dei fatturati – sottolinea Stefano Bollettinari, direttore di Confesercenti Emilia Romagna – ma nello stesso tempo si evidenzia che fanno sempre più fatica a farlo e che gli stessi 'correttivi anticrisi' non sono ormai più sufficienti. E' quindi indilazionabile l'abbassamento in forma strutturale e permanente della pressione fiscale generale e locale su imprese, famiglie e lavoro, se vogliamo veramente uscire dalla crisi nel corso del 2015".
Il terzo trimestre del 2014 mette in evidenza molti fattori di positività in merito all'export dei distretti industriali dell'Emilia Romagna. L'analisi elaborata dal centro studi di Carisbo mette in luce che 14 distretti su 20 del territorio emiliano romagnolo hanno chiuso in positivo.
di LGC, Parma - Ben 14 dei 20 distretti produttivi dell'Emilia Romagna hanno segnato positivamente nel terzo trimestre del 2014 per quanto riguarda l'export. A metterlo in evidenza è stato il rapporto sui distretti elaborato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo per Carisbo, Cariromagna e Banca Monte Parma che ha messo in evidenza una crescita dell'export complessiva del 3,7% ben superiore alla media nazionale attestata al 2,2%. Una crescita sostenuta dalle buone performance dei mercati maturi (+4,8%) dove spiccano USA e Paesi Bassi ma anche da quelli emergenti (+1,9%) Hong Kong e Indonesia soprattutto.
Nello specifico, la crescita dell'export segnato dalla meccanica non ha ricevuto il contributo del distretto di Reggio e Modena per quanto riguarda la meccanizzazione agricola che invece perde un -2,8%. In crescita le macchine utensili di Piacenza (+19,1%), la food machinery di Parma (+10,6%), i ciclomotori di Bologna (+6,1%), le macchine per il legno di Rimini (+7,2%) e anche per le macchine per l'industria ceramica di Modena e Reggio Emilia (+6,5% secondo i dati ACIMAC).
Dati maggiormente contrastanti derivano dal settore alimentare dove alla sensibile crescita dell'alimentare parmense (+14%), dei salumi del modenese (+9%) e di Reggio Emilia (+3%) affiancati da un +0,6% realizzato dal lattiero caseario di Reggio Emilia, l'ufficio studi di Carisbo registra una perfomance negativa per lattiero-caseario parmense (-2,1%), dei salumi di Parma (-3,7%) e il crollo dell'ortofrutta romagnola (-18,3%) che sconta gli effetti del maltempo che ha colpito il territorio nel 2014.
Anche nel settore moda ai fattori di positività si affiancano alcuni dati negativi che provengono in particolare dall'abbigliamento di Rimini (-8,4%) e le calzature di Fusignano-Bagnacavallo (-14,2%). Al contrario note assolutamente positive arrivano dall'abbigliamento e maglieria di Carpi (+4,8%) e le calzature di San Mauro Pascoli (+9,1). Notevole la crescita registrata nel settore della casa con un +14,2% realizzato dai mobili imbottiti di Forlì.
In ripresa (+0,9%) il distretto biomedicale di Mirandola (MO) mentre risulta ancora in perdita l'export del distretto biomedicale di Bologna (-6,5%)
Gli imprenditori incontrano Fabrizio Togni, Direttore di BPER, mercoledì 28 gennaio presso la Sala Arcelli, alla CNA Provinciale -
Modena, 26 gennaio 2015 -
Nel giro di pochi anni la crisi economica ha cambiato radicalmente la situazione finanziaria generale, andando a modificare nel profondo i rapporti tra istituti di credito ed imprese, rapporti vitali in un'economia come quella italiana, dove il peso dei prestiti bancari nei finanziamenti alle imprese è ben più elevato che in altri paesi.
Per fare il punto su questi rapporti CNA ha invitato Fabrizio Togni, Direttore Generale del Gruppo BPER, banca tra le più importanti sul nostro territorio e tra i più dinamici e importanti gruppi bancari a livello nazionale.
L'incontro, in programma mercoledì 28 gennaio alle 20.30 presso la CNA Provinciale, sarà l'occasione per analizzare questi cambiamenti e tracciare le linee di sviluppo per il futuro, anche alla luce del prossimo riassetto delle banche popolari.
Parteciperà al dibattito il presidente di CNA Modena Umberto Venturi.
(Fonte: Ufficio Stampa CNA MO)
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