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"I tre giorni di Pompei" è l'ultimo lavoro di Alberto Angela. Un romanzo in cui prendono forma personaggi veramente esistiti. Una documentazione rigorosa, basata su fonti e approfonditi studi. In questi giorni la presentazione del libro. Una parte del ricavato sarà devoluta per la restaurazione dell'affresco Adone Ferito nella casa omonima di Pompei.


di Cigno Nero - 
Pompei è la scena di un crimine, il più colossale dell'antichità. Una tragedia immane dai contorni oscuri. Un enigma che ci ha lasciato la storia, quello più affascinante, drammatico e nebuloso.
Per anni la ricostruzione dei giorni dell'eruzione del Vesuvio è stata complessa e spesso lontana dall'essere risolta perché troppi elementi non hanno coinciso.

Queste numerose incongruenze hanno reso ancora più affascinate e stimolante il mistero attorno alla storia drammatica di una delle città più floride dell'antichità. Con essa morì in pochi istanti anche la vicina Ercolano, dove furono rinvenuti 300 morti. La furia del Vesuvio non diede loro tregua. Le distrusse, ma con modalità diverse, inaspettate. E 'scavare' fra le fonti è diventata un'impresa difficile ma sorprendente, visti i risultati.

Alberto Angela, uno dei più famosi divulgatori televisivi, ha, con passione e grande attenzione delle fonti e degli elementi raccolti, ricostruito quella escalation mortale cercando di sfatare i falsi miti che sono nati attorno alla distruzione di Pompei e di Ercolano. Ne è venuto fuori un romanzo, "I tre giorni di Pompei" , in cui si muovono personaggi realmente esistiti che vivono storie vere, doviziosamente documentate,
Il Vesuvio, che un tempo non era come lo vediamo noi adesso perché aveva una morfologia completamente diversa, aveva lanciato dei messaggi anni prima. E nel romanzo vengono fatti dei collegamenti fra i vari elementi raccolti per comprendere proprio questi segnali.
Prima di tutto bisogna dipanare un punto: le date dell'eruzione del Vesuvio non coincidono con quelle ricostruite. Lla catastrofe non avvenne il 24 agosto del 79 d.C. ma il 24 ottobre del 79 d.C. Molti elementi rinvenuti, come i resti di melograni e castagne, bracieri e indumenti pesanti, hanno fatto capire che era autunno inoltrato.

I tre giorni di Pompei

Sarà interessante scoprire nel racconto alcuni indizi come quelli dei lavori in corso. Alcuni cumuli di calce sono stati trovati in diverse case: dovevano servire per restaurare affreschi. Questo ha fatto dedurre che ci doveva essere stata precedentemente una scossa forte che li aveva rovinati .
Anche gli stili degli affreschi non sono omogenei: ce ne sono di più recenti proprio perché rifatti su quelli distrutti da terremoti precedenti.
Un altro punto chiarito nel libro è quello dell'esodo di massa degli aristocratici dalla città: i patrizi erano già fuggiti, in seguito alle avvisaglie che erano già state date dal vulcano. La città, infatti, era in mano ai nuovi ricchi : schiavi bravi nel commercio che erano stati affrancati e si erano arricchiti.

Ma cosa ha significato per la popolazione che viveva alle falde del Vesuvio trovarsi in quei luoghi nel giorno eruzione?

La ricostruzione fatta da Angela e dalla sua equipe di esperti districa la matassa.

E' il 24 ottobre. Un venerdì mattina. Pompei incomincia la sua attività ma qualcosa è diverso dal solito . Il monte che domina il Golfo di Napoli si chiama Vesuvius, ma all'epoca era 'piatto', coperto di boschi .
Ha un aspetto non usuale: tutte le pendici sono rivestite di polvere chiara. Nell'aria si percepisce un forte odore di zolfo. C'è una nebbia strana, come se fosse una nuvola bassa . In lontananza si avvertono dei brontolii, come tuoni. Il vulcano sta per esplodere. I vulcanologi confermano che prima della grande eruzione era già successo qualcosa di molto evidente. A riprova di questa tesi ci sono anche i lavori in corso del Foro che stava per essere ricostruito proprio perché sedici anni prima c'era stato un forte terremoto. Attorno all'una una deflagrazione. Agghiacciante. L'eruzione è paragonabile a quella di migliaia bombe atomiche di Hiroshima fatte esplodere in più giorni!

I numeri della tragedia sono impressionanti: dieci miliardi di tonnellate di magma. Quattordici chilometri è l'altezza che la colonna di gas e vapori raggiunge in un' ora... Plinio il giovane, la fonte più autorevole, vide tutto e racconta di un crepitìo e di una grandine di lapilli. Leggerissimi. Con essi, si abbatterono sui territori circostanti pezzi di rocce strappate dai lati del vulcano: sassi grandi che cadono da 14 chilometri di altezza, bombe letali .
Per salvarsi si doveva scappare nelle prime due ore. Dopo, i tetti cominciarono a crollare per il peso insostenibile dei pomici. La gente si asserragliò, rimase chiusa in casa per più di 24 ore, sperando che l'ira del Vesuvio si placasse, ma senza conoscere le conseguenze di quell'esplosione che furono imprevedibili.

Della furia del vulcano fu vittima anche Ercolano, la più vicina alle sue pendici . In questa città non sono stati rinvenuti corpi, se non qua e là: gli abitanti sono riusciti a scappare perché non hanno avuto la pioggia di pomici grazie al vento. Si sono rifugiati sotto le rimesse delle barche. In questo punto prospiciente il mare è stato trovato un cimitero di 300 persone, morte all'istante.
Il corpi delle vittime si sono letteralmente vaporizzati. 500-600 gradi sono devastanti. Dopo aver compiuto la sua missione di morte, la colonna letale 'si è seduta', accasciata su se stessa. In pochi minuti tutto è stato coperto da una valanga nera preannunciata da bagliori rossastri . Ercolano è morta all istante. Ma delle cose non quadrano. Gli archeologi hanno trovato un berretto di lana sotto la rimessa . Com'è possibile che ci siano resti di corpi vaporizzati e poi un indumento di lana ancora intatto? La tragedia, hanno supposto, pare sia avanzata a 'macchia di leopardo' . La gente è morta in modo diverso. Dopo i vapori assassini sono arrivate le colate di fango: la cenere è stata trasformata in melma dalla pioggia . Il mare deve essere arretrato e il vulcano deve essersi gonfiato . Un paesaggio stravolto, un incubo infinito. Quella notte Ercolano è completamente scomparsa . All'alba Pompei è interamente sepolta .

L'ipotesi angosciante è che alcuni pomepiani fossero in casa barricati. In un primo momento la colonna di 'angeli della morte' deve essersi arrestata alle mura di Pompei. Quelle mura non avevano funzionato contro Silla ma contro il Vesuvio sì. Un sollievo per i pochi superstiti che, spinti dalla speranza di salvarsi, hanno tentato di scappare dal primo piano delle abitazioni. Fuori lo scenario è terrificante. La città è irriconoscibile, sprofondata come in un deserto. Quelle poche anime spaventate camminano senza riuscire a orientarsi, stordite e silenziose. Ma il vulcano non ha pietà nemmeno di loro. Aspetta il momento in cui l'illusione di salvezza spinge quella povera gente a tentare la fuga. Fa partire un'altra valanga che, stavolta, supera le mura, entra in città e uccide i superstiti, che sono quei poveri resti conservati nelle teche.

Vesuvius non è ancora appagato: la terza ondata è più forte ed è in grado di abbattere definitivamente le mura. Un mietitrebbia . Il vulcano implode creando un'ondata di cenere che arriva a Capri e a Miseno dove c'era Plinio il giovane con la flotta più potente dell impero romano .
E' la fine.

Ercolano letteralmente vaporizzata e Pompei schiacciata, crollata e colpita dai lapilli. I suoi abitanti, gli ultimi, sono morti asfissiati. Tutto, alle pendici del Vesuvio si è addormentato. Nelle teche poste nell'anfiteatro di Pompei, rimane la memoria agghiacciante di quegli ultimi tre giorni: persone che fuggirono dalle finestre per rimanere sepolte vive. Uomini e donne rannicchiati in posizione di difesa: gas e cenere sprigionano anidride solforosa che, a contatto con le mucose si trasforma in letale acido solforico . La cenere compattata che ha fatto morire chi pensava di poter ancora scappare dall'inferno, ha fatto di quei poveri resti un calco, macabra testimonianza di quello che accadde.

Questa è la sintesi del racconto delle ultime ore di Pompei. Una fiorente città di dodicimila abitanti che viene annientata con la sua gente indifesa e poi lasciata dormire per secoli, diventando un bosco, chiamato Civita. Nell'Ottocento ci sono stati i primi scavi che hanno riportato alla luce una società che fu viva, le cui memorie devono essere conservate per le generazioni che verranno, perché grazie ad esse si conosce la storia e, attraverso di essa, anche il nostro mondo.

Il messaggio dell'autore è stato questo. E l'intento di Alberto Angela e dell'editore é quello di devolvere una parte dei proventi ricavati dalla vendita per restaurare l'affresco Adone ferito nella casa omonima di Pompei.

Alberto Angela firma autografo 1

Pubblicato in Cultura Emilia
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