Dalle prime luci dell'alba i militari del Nucleo Speciale Polizia Valutaria in collaborazione con personale dei Comandi Provinciali di Bologna, Pescara e Vibo Valentia stanno eseguendo, su disposizione della Procura della Repubblica di Velletri, un'ordinanza di custodia cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di nr. 7 persone tutte accusate,
unitamente ad altre 8 denunciate a piede libero, della commissione, in tutto il territorio nazionale, di reati inerenti l'illecito utilizzo di carte di credito clonate.
L'indagine ha tratto spunto da una comunicazione inviata dall'Ufficio sicurezza della società NEXI s.p.a. (già Cartasì S.p.A), che gestisce il circuito di pagamento con moneta elettronica, con la quale venivano segnalati dei tentativi di pagamento effettuati presso un'azienda di autotrasporti di Pomezia risultati anomali per l'entità dell'importo e l'origine estera della banca che aveva emesso le carte di credito utilizzate. L'informazione, così pervenuta al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, è stata inquadrata in un contesto più ampio in virtù delle specifiche informazioni istituzionalmente demandate al reparto.
L'analisi condotta dagli specialisti del Gruppo Antifalsificazione Monetaria e degli altri mezzi di pagamento (GAM) si è orientata ad esaminare le modalità con cui è stata eseguita l'operazione, approfondendo il profilo dei soggetti emergenti. E' stato così subito appurato che alcune carte di credito utilizzate nella circostanza erano state già adoperate per effettuare pagamenti, in frode, in altre località d'Italia. Sul versante soggettivo gli indagati, molti dei quali di origine calabrese, erano già noti al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, sia per alcuni precedenti specifici, sia perché presenti nell'archivio delle segnalazioni di operazioni sospette antiriciclaggio assegnate per gli sviluppi investigativi al predetto reparto che, come noto, su tale versante opera a livello nazionale. Fin dalle prime indagini, quindi, l'analisi accentrata dei flussi finanziari ha consentito di correlare le singole condotte illecite ed i relativi responsabili con le informazioni provenienti dagli istituti di credito e con quelle istituzionalmente esaminate in relazione alle segnalazioni di operazioni sospette. Proprio dall'esame di alcune di esse si trovava conferma dell'operatività del gruppo criminale: risultava, infatti, una movimentazione anomala per una somma pari a novemila euro, bonificata da un agriturismo (punto compromesso) in favore di uno degli indagati in possesso di una carta di credito clonata.
Le informazioni così contestualizzate consentivano di rappresentare all'Autorità Giudiziaria un quadro completo delle frodi commesse e di avviare più penetranti attività di intercettazione che hanno consentito di ampliare il novero dei soggetti compiacenti e di disvelare il modus operandi attuato dai membri del sodalizio.
Nello specifico, l'attività criminale veniva realizzata attraverso la preliminare individuazione dell'esercente compiacente titolare di P.O.S. presso il quale effettuare i consistenti
"pagamenti" e, contestualmente ottenere dal medesimo la restituzione del denaro relativo alla transazione eseguita decurtato di una percentuale che veniva trattenuta dal titolare dell'esercizio.
Successivamente venivano effettuati tentativi di pagamento con diverse carte di credito dapprima per importi irrisori tesi a verificare il funzionamento dello strumento di moneta elettronica e, solo in caso positivo, per importi più consistenti. In una circostanza i criminali avevano provato ad eseguire, senza successo, presso un rivenditore di auto, un pagamento da 500.000 euro con una carta intestata ad un cittadino degli Emirati Arabi.
Le risultanze delle attività tecniche eseguite, in questo caso, venivano immediatamente riscontrate presso i gestori dei circuiti di pagamento con i quali il GAM ha quotidiani rapporti istituzionali e ciò, molto spesso ha consentito di bloccare il pagamento in frode, oltre che identificare i punti di pagamento compromessi. I codici relativi alle carte di credito clonate non hanno interessato soltanto vittime italiane ma anche soggetti residenti in paesi dell'Unione Europea ovvero in altre parti del mondo. Anche
in questo senso, la conoscenza dei meccanismi della cooperazione internazionale ha consentito di risalire agli intestatari delle carte e ricostruire i loro spostamenti in Italia per confermare ulteriormente che nel periodo in cui erano state utilizzate, i soggetti non si trovavano in Italia.
In sostanza l'operazione odierna ha portato alla luce un sistema ben strutturato dedito al reperimento – sui canali nazionali e internazionali – di codici relativi a carte di credito clonate a danno di ignari titolari, poi utilizzati presso esercenti compiacenti i quali permettevano di "strisciare" le carte restituendo in contanti parte delle somme percepite. Il totale delle somme illecitamente transate ammonta a circa un milione di euro. Le indagini, svolte mediante il ricorso ad appostamenti, pedinamenti, analisi di segnalazioni di operazioni sospette inviate dagli istituti bancari, intercettazioni telefoniche e telematiche, hanno consentito di raccogliere numerosi indizi di colpevolezza in ordine a numerosi casi di frode perpetrata.
Il contenuto degli elementi di prova si è arricchito ulteriormente a seguito delle perquisizioni effettuate in tutta Italia, nel corso delle quali sono stati rinvenuti e sottoposti a sequestro diversi notebook, smartphone e tablet dalla cui analisi i finanzieri hanno potuto reperire nuovi elementi di dettaglio. L'esito delle investigazioni è stato riferito
all'Autorità giudiziaria inquirente che ha ritenuto di avanzare richiesta di misura cautelare per interrompere la commissione dei delitti in argomento.
L'operazione conclusa rappresenta il culmine dell'importante attività di tutela del cittadino nell'utilizzo dei moderni mezzi di pagamento.
Agenzia delle entrate e Gdf individuano un giro di fatture false per 30 mln di euro Coinvolte anche imprese fornitrici di varie Pubbliche Amministrazioni
La Guardia di Finanza di Milano e la Sezione Lombardia del Settore Contrasto Illeciti dell'Agenzia delle entrate hanno individuato un articolato sistema di frode in materia di Iva che vede implicate diverse aziende, sia nazionali che comunitarie.
L'attività di indagine ha preso le mosse da controlli mirati dell'Agenzia delle entrate nei confronti di imprese abilitate al Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione (Me.P.A.), operanti nel settore della fornitura di carta e prodotti per ufficio.
Si tratta di società che rifornivano, soprattutto, diverse Amministrazioni Pubbliche, tra cui la Guardia di Finanza di Milano, varie Aziende Sanitarie Locali, alcuni Comuni lombardi e piemontesi e la stessa Agenzia delle entrate.
I controlli effettuati hanno consentito di portare alla luce un sistema di evasione dell'Iva, con la conseguente alterazione del normale funzionamento del mercato e delle regole della concorrenza. Le attività di verifica sono state eseguite con il coordinamento della Procura della Repubblica del Tribunale di Milano, anche attraverso perquisizioni e sequestri di documentazione. Il sistema di frode, comunemente noto come "frode carosello", ha assunto una dimensione transnazionale, con il coinvolgimento non solo di 13 imprese nazionali, ma anche di 5 aziende comunitarie, operanti in Francia, Spagna, Belgio, Austria e Germania.
Nel corso delle analisi svolte congiuntamente dalla Guardia di Finanza e dall'Agenzia delle entrate, sono state individuate 10 società che hanno ricoperto il ruolo di "missing traders", ossia di società fantasma interposte tra i fornitori comunitari ed i reali acquirenti della merce.
L'ideatore della frode, F.S., anni 39 di Monza, poneva a capo delle compagini fittizie diversi "prestanome", sprovvisti di qualsiasi conoscenza dei meccanismi aziendali, alcuni dei quali già gravati da pregiudizi in campo penale tributario.
La creazione di questi sodalizi era finalizzata a emettere fatture per operazioni soggettivamente inesistenti nei confronti di tre società, reali beneficiarie della frode, le quali si sono avvalse consapevolmente di un giro di false fatture per un imponibile di 30 milioni di euro. L'importo complessivo dell'Iva evasa dal 2010 al 2015 è di circa 14 milioni di euro.
L'attività investigativa ha portato a 14 denunce per violazioni della normativa penale tributaria e una per il reato di favoreggiamento, per le quali la Procura ha già chiesto il rinvio a giudizio.
L'operazione congiunta OLAF e Guardia di Finanza di Chiavari - dipendente dal I Gruppo Genova - ha disvelato un intricato sistema di frodi, attraverso il quale sono stati sottratti oltre 1,4 milioni di euro di fondi dell'Unione europea.
Genova 16 febbraio 2018 - L'attività d'indagine - a carattere internazionale e che ha visto coinvolto società stabilite in Italia, Francia, Romania e Regno Unito - ha consentito di ricostruire il complesso meccanismo fraudolento anche grazie a una stretta cooperazione internazionale, assicurata tra il II Reparto del Comando Generale della Guardia di Finanza e l'Ufficio Europeo Anti-Frode (OLAF) della Commissione Europea, che aveva avviato un'indagine su presunte irregolarità in un progetto di ricerca e innovazione, finanziato con fondi dell'UE e gestito da un consorzio europeo.
Dalle investigazioni eseguite dalle Fiamme Gialle liguri e dagli investigatori OLAF è emerso che il gruppo di società interessato, guidato da una coppia di coniugi italiani, con partner in Francia, Romania a Regno Unito, avrebbe dovuto realizzare due prototipi di hovercraft, da utilizzare come veicoli nautici di emergenza in caso di incidenti ambientali.
A seguito di un controllo sul posto, eseguito in Italia dall'OLAF unitamente ai militari della Guardia di Finanza di Chiavari, non sono stati rinvenuti hovercraft perfettamente funzionanti, ma soltanto parti di uno scafo in vetroresina, un motore e vari componenti disassemblati.
Nel corso delle indagini è emerso che, per ottenere i finanziamenti, i due coniugi avevano falsamente attestato la sussistenza dei requisiti richiesti per l'esecuzione del progetto, a fronte di quella che in realtà era un'oggettiva inadeguatezza strutturale ed economica delle società a loro riconducibili.
Ulteriori attività, condotte nel Regno Unito dall'OLAF, hanno rivelato che il partner britannico esisteva solo sulla carta: la società era stata infatti costituita e gestita dalla stessa coppia di coniugi italiani che ha agito come leader del consorzio. Una volta ottenuti i fondi UE, i beneficiari italiani hanno utilizzato altre società, gestite da "prestanome" e sempre a loro riconducibili, per sottrarre le somme.
Per simulare l'effettivo sviluppo del progetto e distrarre i fondi, erano stati contabilizzati costi fittizi, attraverso l'indicazione nei bilanci delle società riconducibili alla coppia italiana, di falsi acquisti di carburante e rimborsi nei confronti dei soci. In pratica, gli imprenditori italiani utilizzavano degli artifizi contabili, creando documentalmente dei "falsi" debiti da parte delle società nei loro confronti, che poi venivano ricompensanti con prelevamenti "reali" di contanti.
L'analisi della documentazione bancaria eseguita dai finanzieri, attraverso l'esame di oltre 12.000 transazioni finanziarie e pagamenti effettuati nel progetto, ha confermato che parte dei fondi UE, ricevuti dai partner italiani e britannici del consorzio, era stata utilizzata per estinguere un'ipoteca accesa su un castello, oggi oggetto di sequestro da parte della Procura di Genova.
II castello apparteneva ufficialmente ad un'altra società britannica, originariamente costituita dalla stessa coppia italiana, le cui quote venivano, poi, cedute a una società statunitense, costituita nel Delaware.
In tale contesto, l'OLAF accertava che anche quest'ultima società statunitense era sempre riconducibile agli stessi coniugi italiani. Sulla base delle informazioni direttamente acquisite e di quelle fornite dall'OLAF, la Guardia di Finanza ha sottoposto a verifica fiscale le varie società riconducibili ai due coniugi-imprenditori.
Tra queste, anche una società di diritto inglese, che era stata fittiziamente localizzata all'estero per beneficiare di un regime fiscale più
vantaggioso di quello nazionale.
Le attività ispettive hanno consentito di constatare complessivamente quasi 2 milioni di euro di base imponibile sottratta a tassazione.
Gli indagati, che rischiano fino a trent'anni di reclusione, dovranno rispondere di malversazione e truffa ai danni dell'UE, falso in bilancio, bancarotta fraudolenta e dichiarazione fraudolenta.
Nei prossimi giorni la Guardia di Finanza invierà una segnalazione alla Corte dei Conti, al fine di quantificare il valore del danno erariale.
(In allegato le slide della conferenza stampa)
Nella mattinata odierna, il Comandante Regionale dell'Emilia Romagna della Guardia di Finanza, Generale di Divisione Giuseppe Gerli, ha visitato il Comando Provinciale di Reggio Emilia, dove ha incontrato gli Ufficiali ed i militari appartenenti ai Reparti alla sede. Inoltre, l'alto Ufficiale, accompagnato dal Comandante Provinciale, Colonnello Roberto Piccinini, si è recato in visita dal Prefetto di Reggio Emilia, S.E. Dott.ssa Maria Forte, dal Presidente del Tribunale, Dott.ssa Cristina Beretti e dal Procuratore della Repubblica f.f., Dott.ssa Isabella Chiesi, i quali hanno espresso il loro apprezzamento per l'apporto alla legalità fornito dai Finanzieri di Reggio Emilia.
La visita ha contemplato, altresì, l'incontro ed il saluto ai vertici delle Forze di Polizia locali: il Questore, Dott. Antonio Sbordone ed il Comandante Provinciale dei Carabinieri, Colonnello Antonino Buda. Successivamente il Gen.D. Gerli si è recato in visita presso la Tenenza della Guardia di Finanza di Guastalla, ove si è intrattenuto con il Comandante del Reparto ed il personale in servizio a quella sede. Il Comandante Regionale Emilia Romagna, al termine della visita ispettiva, ha espresso il proprio apprezzamento per il lavoro quotidianamente svolto dai Finanzieri della provincia di Reggio Emilia.
Un commerciante all'ingrosso non ha dichiarato redditi, scoperta evasione fiscale da oltre 33 milioni di euro.
Reggio Emilia 7 febbraio 2018 - Aveva costituito una società per il commercio all'ingrosso di saponi e detersivi, ma da 10 anni ometteva sistematicamente di dichiarare i propri redditi al fisco.
Con questa accusa il Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Emilia ha denunciato alla Procura della Repubblica di Reggio Emilia un sessantottenne di origini marchigiane residente a Reggio Emilia, socio unico e legale rappresentante della società reggiana investigata.
Più in particolare è stato accertato che detta società, in questo lungo lasso di tempo, ha nascosto al fisco ricavi per circa 27 milioni di euro e violazioni all'IVA per quasi 6 milioni di euro, qualificandosi come evasore totale, avendo omesso la presentazione di tutte le dichiarazioni obbligatorie a fini fiscali.
Le indagini dei Finanzieri, scattate a seguito del rilevamento di numerosi indizi di pericolosità fiscale, si sono sviluppate attraverso l'analisi delle banche dati in uso al Corpo ed accertamenti presso fornitori e clienti della società.
Trattandosi di società unipersonale, oltre alla segnalazione degli imponibili sottratti a tassazione, è stato proposto all'Agenzia delle Entrate di traslare sulla persona fisica dell'unico socio, gli effetti fiscali dei recuperi a tassazione.
Agenzia delle Entrate, Gdf, Anci e Ifel hanno firmato il nuovo protocollo d'intesa per una più efficace partecipazione dei Comuni all'accertamento.
Roma 8 febbraio 2018 - Segnalazioni qualificate, formazione mirata con l'utilizzo delle best practice e delle nuove tecnologie, rafforzamento della rete dei referenti a livello territoriale che lavoreranno in sinergia in ogni fase del processo, coordinamento e indirizzo strategico-operativo da parte del gruppo di lavoro: sono questi i punti chiave del nuovo Protocollo d'intesa triennale firmato oggi da Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza, Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e Ifel (Istituto per la finanza e l'economia locale) con l'obiettivo condiviso di dare una nuova spinta alla partecipazione degli Enti locali all'accertamento dei tributi erariali, consolidando i risultati già raggiunti fino a oggi e implementando strumenti e azioni che possano favorirla e accelerarla nei prossimi anni.
Qualità delle segnalazioni - Qualità è una delle parole chiave del nuovo patto a quattro antievasione.
Un obiettivo che dovrà essere raggiunto in primis con un adeguato piano formativo che interesserà tutti gli attori del processo, con la definizione di una check list di fatti, elementi e informazioni che aiutino a predisporre segnalazioni qualificate direttamente utilizzabili e, soprattutto, con la diffusione e l'implementazione delle best practice, cioè delle buone pratiche individuate sul territorio, al fine di migliorare le procedure di selezione e di analisi per una corretta elaborazione dei profili e dei comportamenti a rischio, ovvero, potenzialmente elusivi o evasivi.
Altra leva fondamentale sarà costituita dal rafforzamento del team antievasione, un gruppo di lavoro costituito da esperti di tutti gli Enti firmatari, specializzati nei processi di verifica e accertamento comunale ed erariale, di banche dati e informatica, che contribuirà, con incontri periodici dedicati, a definire le linee guida e le strategie operative per realizzare gli obiettivi dell'intesa. Sinergia tra gli attori - La seconda parola chiave è sinergia: al centro della nuova intesa un posto di rilievo spetta sicuramente alla rete dei referenti, fondamentale per il coordinamento delle attività a livello territoriale, per la conoscenza e il corretto utilizzo del patrimonio informativo a disposizione degli Enti locali, per la conduzione dei piani specifici di formazione, per lo sviluppo di processi di analisi del rischio mediante l'incrocio delle banche dati a disposizione nonché per un costante confronto sullo stato di lavorazione delle segnalazioni al fine di migliorarne, progressivamente, la qualità.
I militari del Gruppo della Guardia di Finanza di Monza hanno dato esecuzione, questa mattina, ad un'ordinanza di custodia cautelare in carcere e ai domiciliari emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Monza, nei confronti di 18 persone – residenti in alcuni comuni brianzoli e in provincia di Milano – indagate per associazione a delinquere finalizzata alla truffa, riciclaggio, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.
Le indagini sono scaturite da una denuncia per truffa presentata, a novembre 2015, alla Guardia di Finanza di Ivrea (TO) da un sessantasettenne che era stato indotto, attraverso numerose e pressanti telefonate ricevute da un sedicente avvocato, a pagare con bonifici circa 8.000 euro per saldare dei presunti debiti – in realtà inesistenti – relativi ad abbonamenti a riviste.
Dopo i primi accertamenti condotti dai Finanzieri piemontesi, in collaborazione con i colleghi di Monza, si scopriva che le basi operative dei truffatori erano già da tempo attive a Brugherio (MB) e a Cologno Monzese (MI) e quindi il fascicolo penale veniva trasferito dalla Procura di Ivrea a quella di Monza, che delegava le ulteriori indagini al locale Gruppo della Guardia di Finanza.
Il Nucleo Mobile delle Fiamme Gialle monzesi proseguiva così l'attività investigativa, che si è articolata in intercettazioni telefoniche ed ambientali, servizi di osservazione e pedinamento, nonché indagini finanziarie ed ha consentito di ricostruire una vera e propria associazione a delinquere finalizzata alla commissione sistematica di truffe in danno di persone che in passato avevano effettivamente sottoscritto abbonamenti a riviste apparentemente riconducibili alle Forze dell'ordine.
I militari hanno infatti accertato come alcuni membri del gruppo criminale, spacciandosi per avvocati, giudici, ufficiali giudiziari, funzionari dell'Agenzia delle entrate ed appartenenti alla Guardia di Finanza, contattavano telefonicamente in tutta Italia ex abbonati alle predette riviste, ai quali comunicavano debiti – in realtà inesistenti – derivanti dai pregressi abbonamenti, con conseguenti atti di pignoramento già emessi nei loro confronti, e proponevano una transazione bonaria mediante il pagamento tramite bonifico di somme di denaro per svariate migliaia di euro. Qualora le vittime non avessero accettato – questa la minaccia dei truffatori – sarebbe proseguita la procedura di recupero forzoso del credito.
Tra i casi più eclatanti, si può citare il raggiro commesso nei confronti di una donna ultra ottantenne, residente a Milano, che ha effettuato in un anno bonifici a favore dei truffatori per circa 150.000 euro.
I numeri telefonici delle vittime, per lo più persone anziane e talvolta anche disabili, venivano "comprati" illecitamente da dipendenti di imprese operanti nel settore dell'editoria e della distribuzione di riviste.
Le vittime delle truffe versavano con bonifici le somme richieste dai criminali "telefonisti" su conti correnti e carte prepagate, intestati ad altri membri dell'associazione o a dei "prestanome", i cui codici IBAN erano forniti nel corso delle telefonate. Il denaro bonificato – provento delle truffe – veniva poi prelevato, con cadenza quotidiana, presso i vari sportelli bancari e postali dagli intestatari delle carte prepagate, accompagnati dagli associati che di fatto ne avevano la disponibilità detenendo i relativi P.I.N.
A due dei promotori del sistema criminale è stato, inoltre, contestato il reato di autoriciclaggio, avendo utilizzato una parte del profitto derivante dall'attività truffaldina (225.000 euro) per acquistare un immobile intestato ad una società dagli stessi amministrata.
Secondo la ricostruzione dei flussi finanziari riconducibili agli indagati eseguita dai Finanzieri, i proventi illeciti complessivamente conseguiti dall'associazione criminale tra il 2015 e il 2016 ammontano a circa 2.000.000 di euro.
Le risultanze investigative acquisite dalla Guardia di Finanza, coordinate dalla Procura della Repubblica di Monza, hanno portato all'emissione da parte del G.I.P. di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per 8 indagati e ai domiciliari per altri 10.
Nei giorni scorsi i Finanzieri del Comando Provinciale di Bologna, nell'ambito delle ordinarie attività di controllo economico del territorio, hanno scoperto 24 lavoratori "in nero", impiegati all'interno di un'associazione sportiva dilettantistica di Imola che si occupa dell'organizzazione di eventi sportivi e del noleggio degli impianti.
In particolare, in sede di accesso, le fiamme gialle della locale Compagnia hanno rilevato come tale personale (molti dei quali in posizione irregolare da anni) venisse utilizzato con diverse mansioni quali barista, addetto alla manutenzione dei campi sportivi o ai servizi di pulizia.
Ai responsabili dell'associazione sono state contestate le sanzioni previste in materia giuslavoristica tra cui l'applicazione della c.d. "Maxi-sanzione per lavoro nero" che viene comminata "a scaglioni", in relazione alla durata del rapporto irregolare di lavoro.
Nello specifico, complessivamente, le sanzioni irrogabili dal competente Ispettorato del Lavoro potranno andare da un minimo di 127 mila euro ad un massimo di 765 mila.
Tenuto conto della grave situazione di irregolarità constatata i finanzieri imolesi effettueranno altresì i necessari approfondimenti per verificare che l'associazione sportiva dilettantistica disponga, in concreto, dei requisiti previsti dalla legge per poter usufruire dei benefici di carattere fiscale riservati dalla specifica normativa di settore.
L'operazione costituisce un'ulteriore testimonianza del costante presidio del Corpo a tutela della Legalità socio-economica ed, in particolare, del lavoro la cui difesa passa anche dalla lotta dei fenomeni di sfruttamento della manodopera.
Operazione "Mister James": in corso di esecuzione 8 custodie cautelari nei confronti di un'associazione a delinquere finalizzata all'abusivismo finanziario, alla commissione di bancarotte, truffe, ricettazione e appropriazione indebita. Identificate false fidejussioni per oltre 200 milioni di euro.
I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Forlì, sotto la direzione della locale Procura della Repubblica, stanno eseguendo n. 8 ordinanze di custodia cautelare (2 in carcere e 6 nella misura degli arresti domiciliari) nell'ambito di un'indagine condotta nei confronti di un'associazione a delinquere, operante in Italia ed all'estero, dedita alla commissione di una pluralità di reati quali: l'abusivismo finanziario, la bancarotta fraudolenta, truffe, anche aggravate, realizzate mediante emissioni di garanzie fideiussorie false, ricettazione ed appropriazione indebita.
Gli accertamenti esperiti, avviati nel decorso 2016, hanno consentito di poter deferire all'A.G. inquirente n. 34 soggetti, delineando – al contempo – le ramificazioni e la struttura dell'associazione a delinquere che, pur avendo sede nel territorio forlivese operava anche in Lombardia, Lazio, Campania e Sicilia attraverso più società.
Importante, al fine della ricostruzione delle movimentazioni finanziarie, l'apporto fornito dalle segnalazioni per operazioni sospette generate dai presidi antiriciclaggio che hanno consentito d'individuare ingenti flussi finanziari dirottati anche su banche estere site nel Principato di Monaco e Malta.
Nello specifico, il modus operandi dell'associazione prevedeva di:
- emettere false polizze fideiussorie a favore di terzi soggetti procurandosi illeciti guadagni;
- individuare società che versavano in grave crisi finanziaria, acquisendole attraverso società di comodo create ad hoc ed intestate a "teste di legno" prive di fonti reddito;
- stipulare contratti d'affitto d'azienda attraverso i quali garantirsi la gestione dell'azienda acquisita in ogni suo aspetto e quindi procedere alla definitiva "spoliazione" di tutti i beni finanziari e strumentali, anche mediante la contestuale rivendita a terzi soggetti;
- fornire alla platea dei creditori delle aziende acquisite, false garanzie fideiussorie, per altro dietro il pagamento di lauti corrispettivi, al fine di procrastinare nel tempo ogni attività volta al soddisfacimento dei propri crediti.
Con riferimento alle false garanzie fideiussorie, le stesse venivano immesse sul mercato a nome di uno "pseudo" istituto di credito con sede a Londra, di altro istituto di credito realmente operante ma totalmente all'oscuro di tali operazioni, con sede a Stoccolma, nonché attraverso società finanziarie italiane non abilitate e prive di qualsiasi copertura finanziaria atta a soddisfare i creditori.
Nel corso dell'articolata attività investigativa è stato già accertato il pagamento di premi per un capitale garantito pari a circa 50 milioni di euro mentre sono in corso ulteriori accertamenti su polizze che si ritiene possano essere state proposte / stipulate per ulteriori 150 milioni.
Tra i beneficiari delle false polizze fideiussorie, oltre a privati ed imprenditori, figurano anche istituti di credito ed enti pubblici; allo stato 150 risultano gli episodi di truffa ricostruiti.
Tra questi si segnala il tentato acquisto della OLIDATA Spa, storica azienda romagnola leader nazionale nel settore dell'ICT e primo produttore di PC in Europa. L'acquisizione, tentata attraverso il coinvolgimento di un investitore – già noto alle cronache giudiziarie per aver tentato la scalata della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio – che utilizzando un fondo del Qatar avrebbe acquisito quote della società cesenate, veniva bloccata dallo stesso management OLIDATA a seguito di riscontri effettuati sulla "consistenza" del fondo.
di LGC -
Modena, 30 Luglio 2013 -
Tre arresti e 20 denunce per associazione a delinquere finalizzata a truffa, ricettazione, riciclaggio, frode fiscale e commercio abusivo d'oro.
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