La Corte di Cassazione, con l'importante e condivisibile ordinanza n. 1997 depositata in cancelleria il 26 gennaio 2018, ha confermato il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c..
Questo importante principio si applica con riguardo a tutti gli atti, in ogni modo denominati, di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extra tributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via.
Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione non consente di fare applicazione dell'art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo (Sez. Unite, sentenza n. 23397 del 17/11/2016).
Nel caso in esame, non vi è stato alcun accertamento giudiziale definitivo tra la notifica della cartella di pagamento e la relativa iscrizione a ruolo, avvenuta in data 23 novembre 1999, per crediti del 1996, e l'avviso di mora notificato il 18 marzo 2009 e oggetto del ricorso, con la conseguenza che è stato giustamente e correttamente ritenuto totalmente prescritto il diritto, azionato ben oltre i termini di prescrizione quinquennale per esso previsto.
L'importante ordinanza è diffusa dallo "Sportello dei Diritti" "Sportello dei diritti", presieduto da Giovanni D'Agata e dall'Avvocato tributarista Maurizio Villani.
Una società operante nel settore delle lavorazioni grafiche ed elaborazioni elettroniche di dati operante a Rubiera (RE) ha nascosto parte rilevante dei propri redditi conseguiti negli ultimi sette anni, presentando al fisco dichiarazioni dei redditi "infedeli", anche mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
E' questa la sintesi di quanto accertato dalla Tenenza della Guardia di Finanza di Correggio (RE) al termine di un'operazione avviata a seguito del rilevamento di numerosi indizi di pericolosità fiscale e condotta facendo ricorso massiccio alle banche dati in uso al Corpo, alle indagini bancarie ed a controlli incrociati con clienti e fornitori della società verificata.
I soci ed il legale rappresentante della società sono stati denunciati alla Procura della Repubblica di Reggio Emilia per dichiarazioni fiscali infedeli e frode fiscale, si tratta di tre persone tra i 41 ed i 46 anni, tutti reggiani, anche se uno di origini modenesi. Più in particolare è stato accertato che detta società, in questo lungo lasso di tempo, ha nascosto al fisco redditi per oltre 3 milioni di euro (dei quali quasi 500.000 euro relativi all'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti) e commesso violazioni all'IVA per circa 2 milioni di euro.
Le indagini dei Finanzieri proseguiranno per individuare eventuali contribuenti che hanno cooperato con la società verificata per consentirle di attuare l'ingente frode e per l'individuazione di eventuali patrimoni illeciti accumulati dai soci della medesima società.
Grazie al prezioso aiuto di un esperto in materia, l'Avv. Maurizio Villani, di seguito pubblichiamo un vademecum a sua firma, che elenca pratici consigli su come difendersi dagli studi di settore.
La Corte di Cassazione ha affermato, con orientamento consolidato, che i parametri o studi di settore, rappresentando la risultante dell'estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell'Ufficio dell'accertamento analitico-induttivo, ex art. 39, comma 1, lett. d, del DPR n. 600 del 1973.
Lo studio di settore deve essere necessariamente svolto in contraddittorio col contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l'onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza delle condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli "standards" o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato.
All'ente impositore fa carico, invece, dimostrare l'applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento, con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente (S.U. n. 26635 del 2009; n. 14288 del 2016; n. 3415 del 2015; n. 12631 del 2017).
L'esperimento del contraddittorio col contribuente e la puntuale valutazione delle relative risultanze costituiscono, dunque, elementi essenziali ed imprescindibili della validazione, da parte del giudice, dell'accertamento fiscale basato sugli studi di settore, in quanto l'elaborazione statistica dei parametri, di per sé soggetta alle approssimazioni proprie dello strumento statistico, deve essere adeguata alla realtà reddituale del singolo contribuente, solo così potendo emergere gli elementi idonei a commisurare la presunzione alla concreta realtà economica dell'impresa.
Con la conseguenza che la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dagli studi di settore, ma deve essere integrata, anche sotto il profilo probatorio, con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, soltanto così potendo emergere la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sugli studi di settore e la giustificabilità di un onere della prova contraria a carico del contribuente (Cass. n. 27822 del 2013).La giurisprudenza di merito, confermata dalla Corte di Cassazione con i principi sopra esposti, ha così ritenuto direttamente riconducibile all'accertamento presuntivo basato sugli studi di settore anche la determinazione della percentuale di ricarico, senza valutare le giustificazioni addotte dalla ricorrente e le circostanze ed elementi di fatto proposti per dimostrare l'eventuale allontanamento della sua attività dal modello normale, incorrendo così in un evidente vizio logico ed in un sostanziale travisamento degli oneri probatori gravanti ex lege sulle parti.
Ciò in quanto l'accertamento basato sugli studi di settore non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento del reddito dichiarato rispetto ad essi, ma deve essere integrato (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, solo così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti studi di settore e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente (Cass. n. 15633 del 2014; n. 27822/2013; n. 25929/2017).
La giurisprudenza di merito, confermata dalla Corte di Cassazione con i principi sopra esposti, ha così congruamente motivato, dando rilievo ad una serie di elementi forniti dal contribuente, idonei a superare le presunzioni dell'accertamento basato sugli studi di settore, quali: l'assenza di irregolarità contabili per quanto attiene alla fatturazione dell'attività espletata; il contesto economico-sociale degradato, con conseguente ridotta capacità di guadagno compatibile con il reddito dichiarato; la clientela con scarse capacità reddituali; la mancanza di indizi di evasione fiscale non enunciati nella parte motiva dell'accertamento.
I contribuenti, evidenzia Giovanni D'Agata presidente dello "Sportello dei Diritti", possono contestare gli studi di settore citando la suddetta giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Rivoluzione in casa Equitalia. Non verranno consegnate cartelle esattoriali sino all'epifania. Poi tutto tornerà come prima, compresi gli errori.
di Lamberto Colla Parma, 27 dicembre 2015.
Una tregua è il termine più utilizzato dai giornali nazionali per informare della sensazionale novità introdotta da Equitalia, prima volta dopo 10 anni di vita dell'azienda partecipata dall'Agenzia delle entrate e dall'INPS.
Non verranno consegnate le cartelle esattoriali dal 24 dicembre al 6 gennaio salvo i casi inderogabili.
Il nuovo corso di Equitalia voluto dall'ad Ernesto Maria Ruffini passa anche da queste grandi concessioni riconosciute al popolo più tartassato e vessato d'Europa.
Non importa se tra le circa 30 milioni di cartelle esattoriali, un gran numero non siano congrue, corrette e eque, bensì conta che lo Stato introiti. Che si introiti dall'evasore o dall'ingiustamente vessato e distratto non importa, perché del cittadino comune non importa nulla a nessuno, specie allo Stato.
Ed Equitalia altro non è che il braccio armato di uno Stato incapace di avere un rapporto sano con il proprio cittadino.
Lo si vorrebbe invece addirittura felice di essere vittima del proprio carnefice senza alcun impegno e spesa. Sottomessi e felici di esserli solo ascoltando le soavi parole delle sirene al soldo dei governi.
"Equitalia vuole essere dalla parte degli italiani, non contro". Così ha commentato l'Ad di Equitalia annunciando la "tregua di Natale" e proseguendo con "la sospensione è un atto di attenzione verso imprese e famiglie con cui stringere un nuovo patto perché il recupero dei crediti e dell'evasione sono fondamentali, così come lo è poter avere gli italiani al proprio fianco".
Ma di quale patto sta parlando? Il patto l'avrà certamente sottoscritto con il Governo proponendosi di raccogliere, per suo conto, 8 miliardi di euro nel 2015 contro i 7,5 dell'anno precedente. Un mero obiettivo matematico realizzato con la strategia tipica della probabilità: Sparare nel mucchio.
E i fatti continuamente confermano questa ipotesi. Tant'è che, ancora nella prima quindicina di dicembre, le cartelle di Equitalia inviate, pur dando per certo che fossero corrette nei dati essenziali e che il credito fosse realmente da riscuotere, non contemplavano il tasso di interesse applicato né tantomeno le modalità di calcolo dell'interesse applicato, in barba alle norme e in barba al corretto rapporto che dovrebbe esistere tra cliente e consumatore e tra Stato (o suo strumenti delegato) e cittadino.
Il lupo si traveste d'agnello per catturarci utilizzando demagogia e fumo negli occhi. Concessioni offerte con la mano sinistra e al contempo la mano destra è già pronta a mungere con gli interessi.
L'attenzione, complici i "media nazionali", viene costantemente concentrata sulle tasse dirette; Imu si o imu no, e mai sulle tasse indirette, l'Iva che si somma alle accise sui carburanti ad esempio, un'imposta che tassa la tassa e che contribuisce a regalarci il prezzo del carburante più alto d'Europa, un primato che stanno architettando di mantenere e consolidare per garantirsi un gettito fiscale, questo sì, miliardario, altro che IMU sulla prima casa!
Ed ora ponete bene attenzione ai passaggi che seguono.
Oggi il Petrolio WTI costa circa 38 $/barile (aveva toccato anche i 34,40 $/barile all'inizio di settimana) contro i 140-150€/barile di pochi anni fa. Ciononostante il prezzo del carburante non si è abbattuto nella medesima proporzione.
La risposta che viene prontamente data è che è per effetto delle Accise (valore circa 6 centesimi e dall'Iva (ricordo che tra l'altro l'imposta sul valore aggiunto viene calcolata anche sul valore delle accise) e perciò il prezzo alla pompa non può diminuire con la proporzione sperata (la Cgia di Mestre ha verificato che rispetto al 2008, quando il petrolio costava 41$/bar., il prezzo alla pompa attuale è superiore del 30%.)
Vogliamo scommettere che quando il petrolio tornerà a salire (il tetto dei 100$/barile è la quota di valore che andrebbe bene a tutti gli operatori mondiali) il prezzo alla pompa si aggiornerà in tempo reale e senza alcun tentennamento?
E, dopo le solite richieste di chiarimenti da parte dei movimenti dei consumatori, la risposta sarà sempre la stessa: adeguamento indispensabile al prezzo della materia prima, il petrolio.
Saranno perciò nuovi record per i carburanti e salassi per gli automobilisti costretti ormai a fare uso dell'automobile per qualsiasi tipo di trasferta, lavoro, approvvigionamenti e diletto.
E così via in questa spirale senza fine che vede il cittadino al centro delle attenzioni di ...
... INC.COOL.8
(In galleria immagini i grafici di: Pression fiscale UE, Prezzo petrolio 5 anni e scomposizione prezo gasolio tra costi industriali, accise e iva e infine prezzo alla pompa)
Colpo di scena, siamo ancora in stato di crisi. Dalla fiducia alle stelle, come non si registrava dal 2007, al tonfo dell'export che su base annua cala del 4,5%. Nell'arco di trenta giorni tutto è cambiato?
di Lamberto Colla - Parma, 29 novembre 2015 -
Dalle stelle alle stalle o meglio dalla realtà virtuale alla cruda realtà. La positività dei dati fatti segnare dall'Italia hanno concesso giusto il tempo di approvare la manovra finanziaria del Governo, messo alle strette dalla faccenda romana di mafia capitale oltre che dal contenzioso , tutto interno al PD, innescata dall'ex Sindaco Marino.
Una manovra edulcorata dunque, quasi propagandistica, e sostenuta dall'enfatizzazione, quasi imbarazzante, dei lievi segnali di ripresa economica.
Ma da lì a cantare vittoria di acqua sotto i ponti ce ne deve passare.
"L'ITALIA CI CREDE", gridava Renzi soltanto lo scorso 28 ottobre dopo la pubblicazione dei dati sulla fiducia dei consumatori e delle imprese resi noti dall'Istat
«Se avete le notizie di oggi dall'Italia - spiegava Renzi parlando a Cuba -, stiamo registrando per la prima volta dopo molti anni un cambiamento di clima profondo». Per il premier dunque «siamo tornati ai livelli pre-crisi. L'Italia ci crede».
Addirittura, uno dei tre carnefici istituzionali (Troika), il FMI (Fondo Monetario Internazionale), ai primi giorni di novembre venne in soccorso della politica economica renziana .
"Fmi alza stime pil Italia: +1,3% nel 2016.
Il Fondo monetario internazionale ritocca al rialzo le stime per l'Italia che sperimenta una «crescita più forte del previsto», scriveva "Il Messaggero". Il pil crescerà quest'anno dello 0,8% (0,1 punti percentuali in più rispetto alle stime precedenti), per poi accelerare a +1,3% nel 2016 (+0,1 punti percentuali) dopo una contrazione dello 0,4% nel 2014. addirittura si arrivò a affermare che «L'Italia può fare di più e in termini di crescita è di sicuro possibile che possa fare come o meglio della Germania», come auspicato dal premier Matteo Renzi, afferma Thomas Helbling del dipartimento economico del Fmi.
A leggere i giornali sembrava di vivere il secondo miracolo italiano dopo quello degli anni '60 del secolo scorso.
Roba da non credere. Eppure erano ben poche le voci fuori dal coro. E' difficile pensare a una ripresa economica con dati, per quanto positivi fossero, pur sempre inconsistenti in termini assoluti (si parla dello 0,1%, dell'1,3% ottimistico). Incrementi pressoché inutili a contrastare 8 anni di crisi che hanno schiacciato e alienato migliaia di imprese manifatturiere, la spina dorsale della nostra economia, ma lasciato intatto l'apparato burocratico - amministrativo statale.
Noi, da subito, ci eravamo esposti a sostenere, sin dai primi momenti in cui i toni trionfalistici correvano in ogni dove, dalla carta stampata al soldo del regime, ai social media che cinguettavano come pappagalli i più ottimistici titoli, l'inconsistenza della ripresa.
"La ripresa per i fondelli" titolavamo il 13 settembre scorso. Non un atto di opposizione, per partito preso, a Renzi ma solo il tentativo di attenuare il processo di affrancamento di una realtà distorta. Una cura palliativa, prevalentemente determinata da fattori esterni all'Italia, spacciata per effetto di un programma e di una azione governativa.
Con gli ultimi dati diffusi sull'export, molto probabilmente, qualche correttivo verrà introdotto e il clima del terrore verrà in sostegno a giustificare delle operazioni straordinarie.
L'emergenza terrorismo, cade perciò a fagiolo. E' da scommettere che sarà la causa principale per l'aggiustamento della manovra finanziaria e causa prima della ripresa economica mancata. Niente ripresa, niente risorse. Ma da qualche parte, per fare "mal funzionare" questo apparato borbonico, occorrerà pur tirarle fuori da qualche parte.
Certamente, l'effetto terrorismo, influirà sui dati economici, non sarà determinante ma pur sempre una giustificazione assai appetibile per introdurre le solite manovre di "emergenza", quelle che rastrellano nel breve periodo rimandando nuovamente quelle operazioni controproducenti al consenso politico.
Così sarà più facile tornare a ripristinare l'aumento dell'Iva, momentaneamente traslato di un anno, piuttosto che intervenire seriamente sulla "Spending Review", sui privilegi dei parlamentari e dell'esercito dei consiglieri regionali nonché dei consiglieri di amministrazione di centinaia e centinaia di Enti Inutili e così via.
No, su costoro non si riesce a intervenire perché sono i gangli nevralgici sui quali si impernia la raccolta del consenso elettorale, i portatori certi d'acqua al mulino del partito.
I dati diffusi in questi giorni indicano che le vendite dei prodotti italiani fuori dai confini dell'Unione sono in fortissimo calo. Secondo l'Istat negli ultimi tre mesi la dinamica è stata "ampiamente negativa": -5,8% per effetto del rallentamento dei Paesi emergenti e in particolare della Cina.
Ma se non tira l'export come potrà esserci ripresa se dal mercato interno non si muove nulla?
Un nuovo allarme lo lancia lo stesso Presidente di Confindustria, come riportato dal Sole 24 ore del 25 novembre, il quale conferma la difficoltà ad agganciare la ripresa e che occorre fare le riforme. "Perché mancano i consumi interni", rimarca Squinzi e comunque "dato che quel poco di ripresa che abbiamo è dovuto anche a fattori esterni come cambio, prezzo del petrolio e quantitative easing, quello di cui abbiamo bisogno per agganciare una ripresa forte - spiega Squinzi - sono le riforme interne, bisogna assolutamente mettere mano con determinazione alle riforme interne, non solo annunciarle ma anche realizzarle compiutamente".
La crisi del lavoro e dei consumi non possono che peggiorare se gli ordinativi industriali diminuiranno e sarà ancor peggio se dovesse tornare la voglia irrefrenabile di alzare l'aliquota iva.
Il canto delle sirene. Quei 3,5 punti in più che furono promessi alla Commissione Europea e che Renzi, grazie a fattori esterni positivi, è riuscito a spostare nel tempo potrebbero ben presto tornare di moda. Una spada di "Damocle", sempre pendente sulle nostre teste.
Se così sarà, i consumi subiranno una nuova frenata, il lavoro diminuirà e conseguentemente la disoccupazione tornerà a crescere. Un cane che si morde la coda, una spirale dalla quale sarà sempre più difficile uscire.
Caro Matteo Renzi, se tieni veramente all'Italia entra a piè pari sulle riforme e sulla spesa dello Stato, sugli Enti inutili e sui privilegi diffusi.
Riporta la Politica a dialogare con la società e che dalla società, dalle piccole o grandi aspettative di ciascuno prenda spunto per adeguare le azioni a breve e a lungo periodo.
Giusto, per carità, trasmettere ottimismo ma altrettanto giusto avviare un processo di equità.
Non si pretende la perfezione ma almeno segnali concreti che una nuova stagione, quella renziana della concretezza e non dell'annuncio, si è affacciata finalmente sulla bell'Italia.
Forza e coraggio, sei giovane e puoi azzardare!
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Cibus Agenzia Stampa Agroalimentare: SOMMARIO Anno 14 - n° 39 27 settembre 2015 - Cereali, la quiete prima della tempesta? Fiscalità agricola, quanto costerà alle impresa il regalo del Governo? I prezzi agricoli hanno rialzato la cresta in agosto scorso. Mais e soia, le previsioni di settembre. Tedeschi rivisti e (s)corretti.
(in allegato il formato pdf scaricabile)
1.1 editoriale DAS(H) AUTO
3.1 cereali Mercati agricoli. La quiete prima della "tempesta"?
4.1 Lattiero caseario Lieve recupero del burro
5.1 mais e soia mais e soia: previsioni settembre 2015
6.1 Mercati agricoli Ismea. "AgrOsserva" - Speciale secondo trimestre 2015.
7.1 vino Gran finale frizzante a Pianello per il Valtidone Wine Fest
7.2 parmigiano reggiano Quali prospettive per Parmigiano Reggiano
7.3 pomodoro Il Festival del Pomodoro si presenta a Expo 2015
8.1 expo 2015 Expo. Il "World Food Research and Innovation Forum" oltre l'esposizione universale
8.2 fiscalità agricola IMU e Irap, i costi del loro funerale.
9.1 prezzi agricoli Ismea, prezzi agricoli rialzano la testa ad agosto
10.1 promozioni "vino" e partners
Dalla terra promessa alla terra dei fuochi. Quello che il Governo con una mano regala con l'altra toglie con gli interessi. L'assessore all'agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, fa i conti e se si confermasse l'ipotesi sarebbe un bilancio in forte perdita per gli agricoltori.
di Virgilio - Parma, 27 settembre 2015 -
C'era entusiasmo alle stelle quando il Presidente del Consiglio, all'interno dell'arena "Coldiretti" allestita a Expo 2015, lanciava l'ennesima promessa di tagli e agevolazioni.
Una ventata di ottimismo contagiosa che subito ha rimbalzato su milioni di tubi catodici.
Le perplessità sulla fattibilità di una operazione di tale portata le avevamo espresse in più occasioni e i primi sospetti che "qui gatta ci cova" erano venuti durante l'intervista del premier a "Porta a Porta" quando si lasciò sfuggire che ai comuni sarebbero andate le risorse di copertura alle imposte alienate.
Certamente la nuova boutade di Renzi gli ha fatto risalire la china della popolarità ma che ora mette sotto la lente di ingrandimento ogni piccola operazione o tentativo di recuperare i regali tanto sbandierati.
A opporre un attacco frontale con tanto di numeri ci ha pensato l'Assessore Regionale All'agricoltura della Lombarda, Gianni Fava, il quale, senza peli sulla lingua, dichiara che "Il taglio a Imu e Irap in agricoltura, annunciato da Renzi e Martina, é una fregatura colossale, che, per dare un beneficio agli agricoltori di 460 milioni di euro,
toglie al comparto un miliardo e 20 milioni". L'Assessore sembra essere ben informato tant'è che entra nel dettaglio di quelli che potrebbero essere i le voci coinvolte in questa operazione di rastrellamento compensativo e qualcosa in più.
"In base alle dichiarazioni - prosegue l'Assessore lombardo - del ministro Martina delle scorse settimane, il gettito Imu in agricoltura è di 260 milioni, mentre l'Irap ammonta a 200 milioni – ricorda Fava -. Ma, anche ammesso e non concesso di azzerare le due poste con questa norma, la copertura va fatta in altro modo e, dalle schede che girano informalmente, la penalizzazione ammonta a un miliardo.
Viene infatti azzerata l'agevolazione sul gasolio agricolo, che da sola vale 700 milioni, viene ammortizzato il vantaggio sull'imposta di registro, vengono cioè portate le transazioni di registro dall'1 per cento a 9 per cento, che vale, secondo le stime del Tesoro, 100 milioni di euro.
In più viene eliminato il vantaggio della forfettizzazione alle aziende che fatturano più di 2 milioni di euro e questa operazione vale, secondo i calcoli che circolano informalmente, 220 milioni di euro. In totale fa 1 miliardo e 20 milioni, alla faccia del saldo invariato".
In pratica, secondo l'assessore Fava, "si tratta di una presa in giro galattica e mi stupisce che il mondo agricolo abbia applaudito in modo entusiastico; temo che qualcuno non glielo abbia spiegato bene".
"Mi preoccupa il silenzio delle organizzazioni sindacali – ammette Fava -, soprattutto perché l'annunciato decreto colpisce gravemente l'agricoltura del Nord. Oltre il 50 per cento del gettito arriverà dal sistema agricolo della Lombardia, ma, nondimeno, a farne le spese saranno gli agricoltori del Centro e del Sud, perchè il taglio del gasolio agricolo colpirà l'ortofrutta in primis e le produzioni di cereali".
In attesa di riscontro varrebbe la pena che le Organizzazioni Agricole si mobilitassero per verificare, approfondire e soprattutto prevenire ogni fattore di rischio di recitare il definitivo de profundis dell'agricoltura nazionale.
La terra promessa. All'assemblea Coldiretti Renzi interviene promettendo il taglio dell'IMU e dell'IRAP agricola a partire dal 2016. Martina: un impegno senza precedenti per il sostegno al reddito agricolo.
d Virgilio. Parma, settembre 2015 -
Entusiasmo alle stelle dopo l'annuncio del premier Matteo Renzi che dal prossimo anno anche l'agricoltura italiana verrà premiata dal programma di riduzione delle imposte. IMU e IRAP agricola verranno cancellate dalle lavagnette degli agricoltori.
Un'operazione di tagli, per il solo comparto agricolo, della portata di un miliardo di euro che dovrebbero, almeno secondo il Renzi pensiero, ridare fiducia agli italiani e mettere a tacere i "rosiconi" che ancora non credono alla ripresa economica.
Il "giallo" ha portato buoni consiglio a Renzi che, da Milano, si è lanciato nelle nuove promesse di fronte ai 30.000 della Coldiretti intervenuti a Expo2015 per celebrare la loro assemblea annuale.
"Il prossimo anno l'Imu agricola sarà cancellata: dal primo gennaio 2016 non si pagherà più. E anche sull'Irap agricola avete ragione: dal prossimo anno non si pagherà più. Abbiamo trovato le coperture ieri, sarà in legge di stabilità".
Perché non si corresse il rischio di male interpretazioni il Premier ha confermato che saranno abolite l'IMU sulla prima casa e la Tasi sottolineando anche che i Comuni (beneficiari di tali ricavi) riceveranno compensazioni di pari importo da parte statale.
Insomma un Matteo Renzi ancor più galvanizzato di quando, in fretta e furia, non si fece sfuggire l'occasione di portare i saluti e l'affetto di tutti alle regine degli USA Open di tennis - Flavia Pennetta e Roberta Vinci.
Tanto a cuore gli sta l'agricoltura che ha accettato di prendere in affido i formaggi italiani, per difenderli, s'intende, dal rischio che debbano confrontarsi con i formaggi realizzati senza latte come invece pretenderebbe l'Unione Europea.
Il Ministro Maurizio Martina, che accompagnava il premier nella fossa dei leoni gialli della Coldiretti, ha confermato che "Si va verso il taglio di 1 miliardo di euro di tasse per il mondo agricolo tra eliminazione di Imu e Irap agricola. Un impegno senza precedenti per il sostegno al reddito degli agricoltori italiani, per favorire gli investimenti e l'occupazione".
E parlando di occupazione non ci si poteva non soffermare sulla piaga del caporalato che tante vittime ha mietuto in questa calda estate giungendo a intimare che "non possiamo stare a guardare - ha detto il premier - vorremmo evitare un decreto legge, ma se sarà necessario lo faremo".
Dalla parte del consumatore, mai. Dal tentativo di aggirare la norma che vieta l'anatocismo ai controlli fiscali che colpiscono le piccole e micro-imprese mentre dimenticano le grandi.
di LGC Parma 27 agosto 2015 -
Mentre chi può cerca di ritemprarsi all'ombra dell'ombrellone o passeggiando sulle dolomiti piuttosto che in qualcuno dei tanti patrimoni dell'Unesco sparsi qua e là nella penisola, il Governo tenta, in tutta sordina, di aggirare le norme che vietano l'anatocismo (calcolo degli interessi sugli interessi capitalizzati. Interessi su interessi). Una pratica già dichiarata illegale ma che fa tanto comodo alle banche.
Secondo la proposta del Cicr (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) trascorsi 60 giorni dall'avvio del rosso sul conto corrente, gli interessi perdono la loro natura e diventano capitale. La misura consentirà pertanto l'applicazione di interessi su altri interessi "vecchi" di appena due mesi.
Nulla che ci sorprenda considerando l'abitudine decennale, contestata ma mai presa in considerazione, di applicare l'IVA dei carburanti anche sulla quota delle Accise (tasse temporanee che da noi rimangono definitive. Dalla finanziamento della guerra in Etiopia del 1935, piuttosto che per il rinnovo del contratto dei ferrotranvieri del 2004, sino alle ultime alluvioni per un totale di 17 causali).
Una proposta che il Presidente di Unimprese Longobardi non ha preso bene commentando che "Il Tesoro e la Banca d'Italia vogliono salvare l'anatocismo, cioè la pratica vietata degli interessi bancari sugli interessi, con una norma bluff: prima dichiarano di volerlo abolire definitivamente e poi lo dichiarano pienamente legale trascorsi appena due mesi dallo sconfinamento in rosso sul conto corrente. Si tratta di un intervento vergognoso: non solo perché viene clamorosamente aggirata una legge dello Stato oltre che calpestate numerose pronunce giurisprudenziali, ma soprattutto perché la misura corre il rischio di penalizzare fortemente le micro, piccole e medie imprese che si servono del conto corrente anche come forma alternativa al credito ordinario sempre più negato dalle banche".
Le operazioni interessate sono principalmente le aperture di credito in conto corrente e gli scoperti senza affidamento dove gli interessi medi vanno dal 11,64 al 15,95% e che dal 1° gennaio 2016, stando alla proposta Cicr andranno ad allargarsi ogni 2 mesi.
Una condizione insostenibile per le piccole, medie e micro imprese già in forte difetto di liquidità e un favore mostruoso agli istituti di credito per guadagnare senza nulla fare.
Ma la cosa che più sorprende è rappresentata dal fatto che, per quanto la nostra economia si sia sviluppata proprio sulla capacità delle piccole imprese manifatturiere di confrontarsi alla pari con compagnie internazionali grazie alla qualità e al genio italico rappresentato dai tanti piccoli imprenditori, è proprio verso questa categoria di imprese, che si riversa la pioggia di strali del governo e del fisco. Quasi che ci sia una volontà distruttiva della forza economica nazionale.
E' infatti sempre di questi giorni la notizia che gli accertamenti del fisco si sono concentrati, nel 2014, per il 90% su piccole imprese e partite iva lasciando le grandi e grandissime imprese dormire sonni tranquilli.
"L'amministrazione finanziaria si accanisce sui deboli e a nota o giudizio va cambiato drasticamente il rapporto tra Stato e contribuenti. Siamo amareggiati perché il governo di Matteo Renzi con la delega fiscale non ha fatto nulla in questa direzione" commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi.
Stando infatti alla mappa dell'attività dell'amministrazione finanziaria realizzata dal Centro studi di Unimpresa, emerge un certo "accanimento" sui piccoli con le briglie "fiscali" che appaiono meno strette sui soggetti di maggiori dimensioni.
Emerge in modo evidente infatti che oltre il 90% riguarda partite Iva e micro-piccole imprese. Le verifiche tributarie relative alle medie aziende, invece, corrispondono all'8% del totale. Mentre solo l'1,7% degli accertamenti si concentrano sui grandi gruppi.
Lo scorso anno sono stati individuati 47 evasori, per lo più grandi gruppi industriali (31), che avrebbero sottratto all'erario quasi 26 milioni di euro ciascuno.
Sembrerebbe perciò che l' "accanimento terapeutico" del fisco contro le piccole imprese sia un dispendio di energie quasi inutile mentre avrebbe molto più latte da portare in cascina invertendo le proporzioni dei controlli.
Ma, come si sa, sui grandi non si può!
(in copertina foto interna del Ministero delle Finanze di Groucho85)
La nostra città all'81° posto nella classifica delle città più esose dal punto di vista fiscale, ma sino ad agosto anche i nostri imprenditori
lavorano solo per pagare le tasse. -
Modena, 28 aprile 2015 -
Come sarà nel 2015 la tassazione complessiva sulle piccole e medie imprese? Che effetti avrà l'abolizione della componente lavoro dell'Irap? Come sono andate le cose, numeri alla mano, negli anni 2011, 2012, 2013 e 2014?
A rispondere a queste domande ci ha pensato il "Rapporto 2015 – Comune che vai fisco che trovi" dell'Osservatorio permanente della Cna Nazionale sulla tassazione delle Pmi, curato dal Centro Studi Cna e dal Dipartimento politiche fiscali.
Al centro dell'analisi, l'andamento della tassazione locale e nazionale tra il 2011 e il 2015, sulla base di una simulazione riferita a una impresa manifatturiera rappresentativa del tessuto economico italiano (nel caso specifico, un'azienda individuale con quattro operai e un impiegato, operante in un laboratorio artigiano di 250 metri quadrati, con un negozio destinato alla vendita di 175 mtq e relativi macchinari e arredamenti, oltre che di un automezzo).
A Modena scopriamo così che in cinque anni il peso dell'Imu più la Tasi è aumentato di oltre 80 punti percentuali, l'addizionale comunale Irpef di un decimo (più o meno l'aumento fatto registrare dall'addizionale regionale rispetto all'anno scorso).
Le buone notizie arrivano dal sensibile calo dell'Irap, che si è più che dimezzata. E' proprio grazie all'intervento sull'Irap se il reddito netto disponibile di questa impresa (di cui si ipotizzano ricavi per 431mila euro, costi del personale per 165mila, costo delle materie prime per 160.000, altri costi ed ammortamenti per 56mila con un reddito ante-imposte di 50mila euro), rispetto al 2014 sia in aumento del 5,5% (mentre su base quinquennale la perdita si attesta al 3,6%).
Numeri che consentono a Modena di collocarsi nelle zone di bassa classifica, per una volta quelle "migliori", visto che è lì che troviamo le città più virtuose.
La graduatoria stilata su 113 città, ci vede, infatti, all'81esimo posto, dietro, in termini di economicità, alle sole Ferrara (90esima) e Reggio Emilia (99esima).
L'Osservatorio fissa anche il tax free day, cioè il giorno dell'anno nel quale una piccola impresa smette di lavorare per pagare tasse, imposte e contributi, e comincia a produrre reddito disponibile per il titolare e per la sua famiglia. Data che, per quanto ci riguarda, cade il 5 agosto. Che poi sarebbe come dire che la nostra impresa modenese per il 63,5% del suo tempo lavora per pagare le tasse...
Ecco la classifica relativa alla tassazione 2015 nelle città emiliano-romagnole
A livello nazionale, nel 2015 la media del peso fiscale complessivo sulle piccole imprese si attesterà al 62,2%, in leggerissimo miglioramento rispetto al 2014: un calo dell'1,7% insufficiente a portare il valore della tassazione a quel 59,2% raggiunto nel 2011, l'anno zero del federalismo fiscale. Peraltro questa diminuzione va ascritta interamente all'abolizione della componente lavoro dell'Irap.
Tante, invece, le differenze tra le diverse città a causa dell'elevata variabilità dei valori catastali degli immobili di impresa, su cui vengono calcolate Imu e Tasi, e dalle forti differenze della tassazione sui rifiuti solidi urbani, la Tari.
A Reggio Calabria, la città prima nella classifica 2015 per fiscalità, il Total Tax Rate tocca il 74,9% (percentuale che costringere gli imprenditori calabresi a versare il fisco quanto prodotto sino al 29 settembre), Bologna è seconda posizione con il 72,9% davanti a Napoli (71,9%), Roma (che l'anno scorso deteneva il poco invidiabile primato), con il 71,7%. Quinta Firenze con il 70,9%. All'opposto, i comuni più virtuosi, si fa per dire, sono Cuneo (dove il Total Tax Rate si ferma al 54,5%, e dove le tasse si "mangiano" il lavoro dell'impresa sino al 17 luglio), Gorizia (55,2%), Sondrio e Belluno (55,3%), Udine (55,7%).
"Potremmo commentare questi numeri con una battuta: potrebbe andare peggio, potrebbe piovere – commenta Umberto Venturi, presidente della CNA di Modena – I numeri, infatti, confermano quanto ci sia da ancora fare per il rilancio. Se, infatti, rispetto al 2104 il peso delle imposte è diminuito, negli ultimi cinque anni, invece, le tasse sono comunque in aumento, incidendo per circa il 60% sui redditi d'impresa. Tutto questo nonostante una recessione devastante. Ciò significa meno risorse per gli investimenti e per i consumi. E non c'è bisogno di ricordare quanto questi siano importanti per alimentare questo momento positivo che pare stia coinvolgendo anche la nostra economia".
(fonte: Ufficio Stampa CNA MO)
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