Lunedì, 20 Maggio 2024 06:59

Pensiero moderno e diritto naturale classico In evidenza

Scritto da Daniele Trabucco

Di Daniele Trabucco Belluno, 20 maggio 2024 - Il pensiero filosofico moderno, che inizia con Cartesio (1596–1650) ma é anticipato dall'antropologia del periodo umanistico e rinascimentale, è passato dal primato dell'essere al primato del soggetto inteso come sorgente creativa di valori e storia, come coscienza la quale non riconosce altri fini al di fuori di sé.

In questo modo, la modernità ha aperto le porte al relativismo teoretico, presupposto del conseguente relativismo morale e giuridico. Se, infatti, si nega l'esistenza di una verità assoluta, di conseguenza non esistono valori morali e giuridici assoluti. Pertanto, la proclamazione dei diritti umani nelle Costituzioni o nei Trattati internazionali, o meglio la loro positivizzazione, lungi dall'attribuire loro qualunque concretizzazione e universalità, evidenzia solamente il loro fondamento contingente ed arbitrario.

La modernità, detto diversamente, ha accolto il principio di libertà in luogo del principio di verità. Il ritorno, allora, al diritto naturale classico ed al realismo di matrice aristotelico e tomista consente di recuperare la verità del bene e del giusto. É bene ciò che corrisponde alla natura dell'ente uomo, alla piena realizzazione di ciò che lo rende quello che è.

Negare che vi siano inclinazioni naturali che sono funzionali a conseguire alcuni fini connaturati nell'essere (ad esempio, la ricerca della Verità, vivere in una comunità organizzata, mettere a frutto i propri talenti nell'ambito dell'esercizio dell'attività lavorativa, l'apertura alla vita etc.) significa cadere nell'indifferentismo, per cui è indifferente per l'uomo perseguire alcuni fini piuttosto che altri.

Eppure, questa impostazione mostra tutta la sua debolezza argomentativa: se per l'uomo fosse indifferente l'apertura alla vita, si metterebbe in discussione la continuazione della specie e, quindi, la sua stessa sopravvivenza, se per l'uomo fosse indifferente vivere in modo isolato dagli altri o in comunità, perché il linguaggio, la parola, il pensiero che favoriscono il confronto dialettico e l'aiuto in caso di necessità (essere curati in ipotesi di patologia) etc.?

Tutto questo non significa affatto non riconoscere la dimensione storica in cui l'uomo si viene a trovare: essa costituisce un vantaggio per il diritto naturale il quale, nel divenire della storia, si lascia sempre più studiare in quanto la storia stessa ne amplia le applicazioni.

La legge naturale, dunque, non è avulsa dalla realtà, ma è in contatto con essa.

Questo richiede un'antropologia realistica alimentata dall'apporto positivo di tutte le scienze umane. Un’antropologia oggi sostituita dal funzionalismo della persona, dall'essere la stessa un progetto continuamente in fieri ...

 

(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.
 
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
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