Di Giulia Bertotto Roma, 25 ottobre 2023 (Quotidianoweb.it) - Pastore è autore e membro dell’esecutivo di Risorgimento Socialista, partito ispirato dai principi marxisti e della tradizione della sinistra socialista, il volume che Pastore ha curato si intitola “Il divorzio tra liberalismo e democrazia”, il quale raccoglie saggi di diversi giornalisti, docenti, studiosi, militanti.
Abbiamo attraversato due anni di emergenza sanitaria, DPCM illegittimi, proteste, “piazze piene e urne vuote” come cantano gli Offlaga Disco Pax, riprendendo la nota frase di Pietro Nenni; ma il cosiddetto mondo della dissidenza è ancora sparpagliato in manciate di movimenti e partitini. Sicuramente a causa dei rapporti di forza mediatici sproporzionati e anche narcisismi di alcuni leader. Quali sono secondo lei le principali contraddizioni, ambiguità o forse ingenuità di quello che chiamiamo mondo del dissenso?
Una premessa necessaria da fare è che io stesso in qualche modo mi riconosco in quella parte del mondo della dissidenza più ancora a principi costituzionali, e che essa è un grande movimento che contiene istanze genuine e persone in buona fede. Come si dice “non è il caso quindi di buttare il bambino con l’acqua sporca”.
Partiamo però da un assunto per così dire sociologico e psicologico: anche coloro che criticano il sistema in cui vivono ne sono inevitabilmente influenzati e ne assorbono linguaggio e strutture del pensiero. Il sistema neoliberista ha convinto l’individuo che la sua libertà e il suo successo è costruirsi come fosse un’impresa e purtroppo molti che additano il neoliberismo pretendono di abbatterlo senza abbandonare questo paradigma; anzi molti, in realtà, neppure sono consapevoli di incarnarlo.
Il neoliberalismo ha portato all’affermazione dell’individuo come se potesse determinarsi come soggetto sovrano senza alcun legame con la società, la comunità, partiti, sindacati, e il problema è che le persone ci hanno creduto, hanno pensato di poter essere “emancipate” senza radunarsi, organizzarsi. Lo Stato si è così ritirato dalla vita sociale non avendo né il dovere di aiutare chi è in difficoltà, né mettere limiti al mercato.
Gli slogan liberali ci invitano a sognare, non a lottare per avere: dobbiamo sognare in grande, mai organizzarci per avere ciò che ci spetta come cittadini.
Ce lo dicono anche le pubblicità delle automobili e dei profumi. Il neoliberismo ha così reso l’individuo vulnerabile, altro che sovrano.
Già. Questa carica onirica iniettata nell’individuo ha la funzione di depotenziare la lotta sociale. Questo paradigma ha fatto sì che i cittadini credessero a questa salvezza individualista senza cooperazione, come un’impresa di mercato appunto. Questa promessa si è in un primo tempo mostrata allettante ma poi la delusione è stata grande.
Tale delusione non ha aggregato le persone ma aumentato la frustrazione individuale, la quale però è rimasta tale, non si è convogliata in partiti di massa come ad esempio quelli degli anni ’70 del nostro paese. Il soggetto è diventato banchiere della propria ira, e questo modo di pensarsi e di fare, è perfettamente libertario. Ed ecco perché il movimento del dissenso non è attualmente in grado, nella sua filosofia, nel suo modo di pensare e quindi di agire, di strutturare partiti.
Inoltre non viene individuata una categoria di cittadini, una classe sociale da rappresentare, ma solo una generica massa di scontenti molto astratta.
Insomma non c’è una coscienza di classe marxista scientificamente identificata di riferimento.
Esatto, ed ecco perché l’area di chi oggi non è “allineato” è estremamente parcellizzata, i suoi movimenti sono fortemente leaderisti, cioè si poggiano quasi esclusivamente sull’immagine di un leader più o meno carismatico o personaggio conosciuto. Questo è molto simile alla politica dei grandi partiti a cui si vorrebbe creare un’alternativa.
Una facile obiezione potrebbe essere: questi criteri sono superati e le classi non esistono più.
Una facile risposta potrebbe essere: questo è ciò che rispondono i liberali.
Per i liberali il popolo è una sorta di mega classe media che si distingue per le opinioni e non per le condizioni reali. Invece sono le condizioni reali il dato a cui dobbiamo rifarci per avere un interlocutore politico concreto.
Quando ci sono state le chiusure e i lockdown le proteste rivendicavano il fatto che si dovesse “tornare alla vita di prima”, non vi era quindi una reale critica al modello di produzione, si diceva in qualche modo che “A noi la vita di prima andava benissimo” e questo non è vero, perché la vita di prima ha portato al crollo del Sistema Sanitario Nazionale e al lockdown. La critica della classe media odierna non è rivolta al modello capitalista e alla sua forma attuale -cioè il modello neoliberista- ma al fatto che il modello è ormai deludente, non porta più i benefici e vantaggi promessi dallo stesso. Non si è in disaccordo con il modello capitalista per via dei principi sui quali si tiene ma perché non ha esaudito le aspettative ventilate da chi lo ha imposto.
I nostri scontenti non sono anticapitalisti e dunque l’area del dissenso è interclassista, come è interclassista il Partito Democratico.
Quindi, riassumendo, l’area del dissenso ha per nemico sociale un bersaglio sbagliato e così non riesce ad unirsi e a centrare l’avversario. Qual è dunque il nemico fuorviante dei dissidenti oggi? E quale invece dovrebbe essere?
Un’ipotetica élite, capitalista sì, ma non il capitalismo. Così il nemico è un gruppo più o meno segreto e favolistico, e con ciò poco affrontabile. Le élite esistono ma sono prodotte dal capitalismo, la loro radice è il sistema economico-finanziario. Le riunioni di Davos sono incontri di dominio pubblico (anche se naturalmente non accessibili), la visione stregonesca è uno stratagemma utilizzato per spoliticizzare l’area del cosiddetto dissenso. Si contestano gli esponenti della struttura e non la struttura. E non si contesta l’impianto individualista da cui siamo partiti.
E così finiamo per fare un favore alla struttura stessa. In effetti dopo l’imposizione vaccinale e l’abominevole Green pass le piazze sono tornate vuote, una volta scampata la puntura, diciamo.
C’è sempre un argomento del mese o un tema del giorno per cui protestare ma non è mai il sistema che causa queste emergenze continue.
Si nota un paradosso: la dissidenza protesta per continue emergenze ma al contempo si accusa il sistema di creare ad hoc continue emergenze.
Sono reazioni spoliticizzate e quindi inefficaci. I cittadini avrebbero dovuto chiedere giustizia e non libertà. Avrebbero dovuto chiedere più Stato non meno Stato. Assunzione di medici, aumento posti letto, apertura degli ospedali. L’obbligo vaccinale è stato infatti solo l’ultima conseguenza di un SSN falcidiato come mostra magistralmente il documentario “C’era una volta in Italia- Giacarta sta arrivando” di Federico Greco.
E quindi ancora una volta torna la domanda di Lenin, e la domanda di sempre, “che fare”?
Occorre individuare una o più classi alleate che abbiano la volontà politica di conquistare lo Stato. Inasprire le lotte ma conducendole in maniera consapevole del blocco storico e sociale. Mi rispecchio nei concetti espressi da Alessandro Visalli nel suo “Classe e partito”, superando la frustrazione privata. Dobbiamo essere capaci di determinare il nostro valore e creare un blocco, ma questo è possibile solo se si torna a pensare in termini di materialismo storico.
È molto difficile perché i media sono dei giganti e i rapporti di forza, per restare nel registro di questa conversazione, sono drammaticamente sproporzionati.
Sì, è vero. E dobbiamo stare molto attenti: sono sorpreso che molte persone che afferiscono a quest’area considerino La verità un giornale attendibile e “libero” quando la sua pagina è palesemente di destra e asservita gli interessi USA come la maggior parte delle altre grandi testate.
Tuttavia la questione non è risolvibile, se non si cambia paradigma, neanche dall’ala dell’estrema sinistra del nostro paese, perché questa -mentre contesta i meccanismi economici del neoliberalismo- non ne contesta, ma anzi ne promuove, l’aspetto antropologico dell’evoluzione individuale che il neoliberalismo prevede.
Questa è stata per alcuni una doccia fredda a seguito dell’attentato di Hamas contro Israele. Nessuna parola sulla pulizia etnica della Palestina.
Non si è schierato in modo diverso e inaspettato, si è solo rivelato!
E intanto in queste ore il Ministro degli esteri israeliano rifiuta di incontrare il segretario generale dell'ONU perché non esistono soluzioni di mediazione. Hamas (quindi i palestinesi) va distrutta. Israele e con lui tutto l'Occidente, entra in una spirale opprimente. Scredita addirittura l'ONU e così disintegra quell'equilibrio, da anni certo molto fragile, sviluppatosi dopo la Seconda guerra mondiale. Si è accodata da subito la stampa italiana. Giannini su LA7 spiega che non dovrebbe più essere l'ONU a occuparsi delle controversie internazionali. Si va direttamente in guerra.