Sabato, 23 Settembre 2023 06:28

Inno del Giornalista: Cronista Tragico e Vocazione di Filosofo In evidenza

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Tra gli eroi della “verità” e i “pennivendoli”, chi è il Giornalista?

“L'obiettivo è la giustizia, il metodo è la trasparenza. È

 importante non confondere l'obiettivo con il metodo

Julian Assange

Di Giulia Bertotto Roma, 22 settembre 2023 (Quotidianoweb.it) - Eroi della verità o “pennivendoli”, anche la professione del giornalista è soggetta alla polarizzazione del discorso pubblico, amplificata dalla digitalizzazione in corso e dai social. Parecchi, ben contenti, sguazzano nella palude della polemica.

Nel 1455 l’invenzione della stampa (anno di pubblicazione della cosiddetta Bibbia di Gutenberg) voltò la pagina del mondo occidentale; ma in Cina, il tipografo Bi Sheng era già approdato alla terra di questa tecnica rivoluzionaria quattro secoli prima. Nella metà del Seicento i fogli di notizie furono chiamati "gazzette", nella Repubblica di Venezia venivano infatti venduti al prezzo di una moneta d'argento detta gazeta. Nel 1664 uscì la Gazzetta di Mantova, il primo quotidiano tra quelli le cui lettere ancora non sono state sbiadite dal tempo. La diffusione del quotidiano in Europa si fece largo nel Settecento a suon di caratteri mobili. La scrittura ha cambiato cognitivamente l’umanità e ora la rivoluzione passa dalla Rete e dalla cosiddetta Intelligenza Artificiale.

Il filosofo dell’idealismo assoluto, Georg W. F. Hegel, che lavorò anche come caporedattore in una testata per qualche anno, disse che il quotidiano è “la preghiera del mattino dell’uomo moderno”, perché “ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico”. Emblematico in questa affermazione il passaggio epocale oltre la metafisica: dalla religione, la quale tende verso la trascendenza, al dogma mediatico che sintonizza alla storia immanente. “Il logo giocoso e colorato di Google è impresso sulle retine umane poco meno di sei miliardi di volte al giorno, 2,1 trilioni di volte l'anno– un’opportunità di condizionamento non goduto da nessuna altra società nella storia” nota Julian Assange, ancora detenuto in isolamento, in condizioni di tortura psico-fisica nel civilissimo Regno Unito, presso la Prigione Belmarsh. Il giornalista, come un Giordano Bruno contemporaneo, è sospinto da un daimon socratico, e se non gli obbedisse tradirebbe la scintilla divina che lo abita. Per questo arriva fino al rogo; perché non venga bruciato il destino della sua anima.

Kierkegaard fu severo ma profetico, verso la categoria, artefice di tante calunnie e portatrice di tante sane rivendicazioni: “i giornali sono e saranno il principio del male nel mondo moderno: nella loro sofistica essi non conoscono limiti, perché possono scendere sempre più in basso nella scelta dei lettori. Con questo essi dragano la fanghiglia degli uomini che nessun governo potrà più dominare. Saranno sempre in pochi quelli che in verità vedono la falsità che c’è nell’esistenza dei giornali, e di questi pochi solo pochissimi avranno il coraggio di esprimerlo: perché per un uomo è addirittura un martirio il rompere con la maggioranza e la diffusione, che poi lo perseguiterà e lo maltratterà senza posa” (S. Kierkegaard, Diario 1847-1848, 4, Morcelliana, Brescia).

Pasolini insegna che “la società permissiva non ha bisogno che di consumatori”, ed ecco assistiamo alla notizia che diventa bene di consumo. Masticata in un lampo e restituita come rifiuto scrollato via. Può anche accadere, ma si deve stare attenti che non diventi una costante e non si perda di vista la missione.

PROFESSIONE GIORNALISTA, VOCAZIONE FILOSOFICA

Iniziamo col dire che il giornalista non deve illudersi di poter conoscere tutte le cose (per quanto debba tendere ad una informazione totale) ma deve saper individuare in ogni contesto qual è l'informazione più importante, che sia in una dichiarazione o evento, e saperla restituire nella maniera più efficace possibile. Deve saper riconoscere la notizia e inoltre saperla, eventualmente, mettere in dubbio. La notizia è sempre unica, perché non si scende mai due volte nello stesso fiume, dice Eraclito. Da notare che la parola cronista deriva etimologicamente dal greco Chronos, tempo, divinità dello scorrere del divenire, dell’accadere. Certo il giornalista deve avere anche il fiuto del Kairos, che per i greci indicava l’aspetto qualitativo del tempo, ovvero l'abilità di fare la cosa giusta al momento opportuno. Afferrare il momento cruciale, la situazione propizia, l’azione topica, il miracolo. Il giornalista è un cacciatore di sinistri certo, e di prodigi anche, se come il filosofo sa ancora recepire anche la Meraviglia di cui parlava Aristotele.

Il miglior giornalista (almeno se chiamato a occuparsi dei temi più disparati e non sia specializzato in politica interna, estera, ecc) -secondo chi scrive- è quello con una formazione filosofica. La filosofia è habitat universale dell’umano, organo della logica e interesse onnivoro. La filosofia non è costretta a scegliere di cosa occuparsi, e non perché il suo obiettivo sia vago, ma perché punta all’Infinito. La filosofia è pellegrina in terra e il giornalista è in cammino. Il nostro professionista della penna viene infatti chiamato anche “inviato” come una sorta di messaggero terreno.

IL GIORNALISTA, STORICO E MISTICO

Secondo lo storico Edward H. Carr -per svolgere al meglio il suo lavoro- lo storico deve essere consapevole di essere un individuo storicamente connotato, che interpreta i fatti con le lenti della propria epoca; non può essere così ingenuo da credere di analizzare la storia come se fosse posizionato fuori da essa. Anche il giornalista deve ricordarsi di essere coinvolto nella notizia e al contempo deve cercare di trascenderla. Come lo psicoterapeuta col suo assistito, sa che sta scambiando una prestazione, ma sa anche di non essere immune dalla dinamica del transfert e contro-transfert.

Il giornalista deve ammettere a sé stesso di partecipare emotivamente, e spesso ideologicamente, nella notizia. Il fisico dei quanti è consapevole che per il solo fatto di osservare la fenditura sta condizionando lo stato duale dell’onda-particella, così il giornalista deve tenere a mente che ponendo la sua attenzione su una notizia, la sta già alterando.

Il giornalista, come il mistico, sta su un crinale paradossale: osserva senza farsi coinvolgere negli affari del mondo, ma deve anche essere empatico per raccogliere il senso emotivo della sua inchiesta, e durante le interviste deve attivare l’ascolto attivo, la capacità di entrare in risonanza con la testimonianza che raccoglie.

IL GIORNALISTA FIGURA TRAGICA E TRIONFANTE

La condizione del giornalista è utopica in quanto la verità è irraggiungibile per due ragioni: a causa del dominio del Potere e dell’impossibilità ontologica di accedervi per via della natura finita e duale del mondo. Il giornalista, se non vuole corrompersi, deve detenere come unico potere quello della (o di quella che sembra essere la) verità.

Il giornalista deve saper reggere il peso sempre tragico della realtà perché il mondo è impossibile da sopportare; può cercare di cambiare le cose nella sua pagina di responsabilità, oppure deve solo contemplare e raccontare? Limitarsi a registrare o testimoniare? Come Gramsci (che fu anche giornalista), deve annotare ogni giorno negli appunti il suo stato lacerante tra “Pessimismo della ragione e ottimismo della volontà”. Il giornalista, davanti al dramma, deve stare composto, senza inscenare nenie da tv generalista, ma neppure può imitare una macchina priva di compassione. Deve sentirsi in diritto di domandare e sapere, per restituire dei contenuti ai lettori e cittadini, ma non legittimato a infierire sul dolore. Delicato con quella penna e sui tasti del soffrire degli altri.

Il compito del giornalista è rendere noto ciò che è utile alla collettività. Ma ciò che è utile alla collettività è quasi sempre dannoso per chi la governa. Il cronista riporta, il vero giornalista denuncia? Altrimenti, come asserito da Schopenhauer, si diventa “noleggiatori di opinioni”. La sua responsabilità deontologica, sociale, etica e spirituale è dura e immensa.

Il giornalista dovrebbe mirare ad un dialogo socratico, non commettere un’estorsione da sofista. Ma quando può smascherare un prepotente protetto dal “sistema”, la sua coscienza deve autorizzarlo a far emergere i sospetti fondati sulle fonti. Poi sarà la Legge a sanzionare e Qualcun Altro altrove a giudicare. Questo l’ideale, ma la realtà è come sempre più complessa. Il cronista allora non dovrebbe farsi “Iena”, tuttavia sempre meglio iena che coniglio?

Il ruolo del vero giornalista perciò è sempre sovversivo, ribelle al sistema che è inevitabilmente persecutorio; il suo mestiere è la ricerca della verità, e la verità non è compatibile con il potere, cioè con i persecutori. Come scrisse Pierre BayleI perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto”. Questo ruolo è sacro, infatti non è raro che certi reporter, alcuni dei quali consapevolmente e altri loro malgrado, diventino martiri per la verità. Il significato del termine “martire” è proprio testimone.

IL GIORNALISTA DELL’ETERNO

Il giornalista è il mestiere più bello del mondo perché aspira al mondo intero e alterna e unisce ricerca sul campo, studio delle fonti, apprendimento incessante, gusto dell’ascolto, piacere della scrittura solitaria, espressione della creatività, avventura della scoperta e interazione con gli altri.

Il giornalista è sempre libero perché attraversa tutte le discipline senza farsi catturare e monopolizzare da nessuna, come lo spirito che anima la materia senza morire mai con essa. Attraverso le interviste il giornalista si veste da botanico, oggi è psicoterapeuta junghiano, domani cardiologo, un giorno dispari esperto di fenomeni paranormali, quello successivo studioso di ragni. Il giornalista si trasforma come la sagoma fluttuante dell’acqua.

Uno nessuno e centomila” il giornalista; ha trovato una maschera che non mente per sentirsi sempre a suo agio e ha conquistato l’elisir della propria immortalità. Giorgio Mengarelli la chiamava «mostruosa vocazione mimetica». Nella sua immaginifica opera di sperimentazione scrisse “Le interviste impossibili” in cui ha fantasticato colloqui con Dickens, Nostradamus e Tutankamon, tra gli altri. Il faraone racconta il suo “trauma della regalità”, il dramma di un’infanzia rubata, seppellita già da vivo in una bara di oro e aspettative sovraumane per un bambino. Mito, arte, ironia, paradosso: alla medium Eusapia Paladino farà dire rivolta al suo intervistatore: «lei non sa che situazione imbarazzante sia, per una medium, essere morta»!

Cioran scrisse ne La tentazione di esistere: “La mia aspirazione è essere un giornalista dell'eternità”.  

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