Di Mita Valerio Roma, 19 gennaio 2023 (Quotidianoweb.it) Inutile negarlo, ciò che spesso predomina all’interno degli spot pubblicitari e che viene messo in evidenza sono gli stereotipi che hanno la tendenza a generare aspettative e idee davvero poco realistiche sia del mondo che delle stesse persone. La visione proposta risulta il più delle volte a dir poco semplicistica, limitata e fin troppo distante dalla realtà che ognuno di noi vive nella propria vita quotidiana, giorno dopo giorno.
Il mondo dell’advertising è stato nel tempo costellato da stereotipi di genere che in parte sono stati, giustamente, superati, eliminati, sia perché la società ha subito nel tempo un cambiamento importante, sia perché c’è stata una presa di coscienza da parte dei mass media. Ma se un passo a tal proposito è stato fatto, la strada avanti è ancora lunga e tortuosa.
Negli anni ‘60 diversi annunci pubblicitari mostravano la donna totalmente subordinata all’uomo, con compiti nettamente prestabiliti: restare a casa e aver cura della famiglia. Allo stesso tempo lo stereotipo forniva una visione fissa anche della figura maschile: marito e padre che doveva sostenere la famiglia, spesso poco presente e per nulla partecipe alle attività domestiche. Come dicevamo, queste immagini oggi sono state in gran parte superate, ma non possiamo affermare che gli stereotipi di genere siano stati del tutto eliminati. Per esempio, alla donna o all’uomo vengono, infatti, tutt’ora, attribuite specifiche professioni e non altre. La donna quindi non sarà capace di svolgere alcuni compiti come per esempio lavori meccanici o di bricolage e gli uomini saranno mostrati come gli unici capaci di diventare ingegneri o astronauti.
Ma lo stereotipo attualmente dilagante non riguarda certamente solo alcune particolari attitudini dettate dal genere.
Forse ancora peggio è il fatto che la pubblicità ci mostra “corpi ideali” che ognuno di noi dovrebbe avere, mettendo in risalto immagini eccessivamente perfette che ci portano a sentirci inadeguati, pieni di difetti.
Non dimentichiamo che anche i social media hanno la loro parte in questo, perché ci portano a confrontarci con gli influencer e con i loro stili di vita. C’è una sensazione diffusa che tale problematica potrebbe, purtroppo, solo tendere ad aumentare nei prossimi anni.
Ogni tanto e per fortuna ci sono anche delle notizie positive su questo fronte. Nel marzo 2019, infatti, si è finalmente imposto lo stop ai modelli estetici che negli spot pubblicitari mostravano un corpo che facilmente poteva essere associato ai problemi della bulimia ed anoressia, comportamenti alimentari estremamente dannosi per la salute. Una “conquista” certamente importante e doverosa soprattutto nei confronti dei più giovani.
Molto interessante su questo argomento e degno di essere preso in considerazione e valutato è il libro di Jason Hickel “Siamo ancora in tempo”, Il Saggiatore 2020 in cui si parla, tra l’altro, del tema della pubblicità. Hickel ritiene che, per provare a “rallentare la macchina” dei consumi, è di fondamentale importanza ridurre la pubblicità commerciale, che alimenta sia consumi e sprechi insostenibili, che una insoddisfazione sempre più diffusa. L’autore cita, inoltre, una ricerca pubblicata (anche) dalla Harvard Business Review nel 2020 che dimostra come “la pubblicità ci rende infelici”.
Un sondaggio sulla soddisfazione della vita effettuato su più di 900.000 cittadini di 27 paesi europei dal 1980 al 2011 con i dati sulla spesa pubblicitaria annuale in quelle nazioni nello stesso periodo. I ricercatori hanno scoperto in questo modo una connessione inversa tra i due. Più alta era la spesa pubblicitaria di un paese in un anno, meno soddisfatti erano i suoi cittadini un anno o due dopo. La loro conclusione: la pubblicità ci rende infelici.
Tornando al punto di partenza di questa nostra riflessione, non possiamo fare a meno di notare la quantità crescente di pubblicità da cui siamo bombardati. In quale modo la nostra felicità è plasmata da quello che vediamo, sentiamo e leggiamo?
Facile dedurre che molte pubblicità ci rendano meno felici e che il loro scopo è proprio quello di creare insoddisfazione, stimolando i nostri desideri in modo che ognuno di noi sia indotto a spendere di più in beni e servizi per alleviare quella sensazione di infelicità.