Di Matteo Pio Impagnatiello Pilastro di Langhirano, 23 novembre 2022 - Nel centocinquantesimo anniversario della morte di Giuseppe Mazzini, avvenuta il 10 marzo 1872, Elena Bianchini Braglia ha pubblicato il suo ultimo libro “Mazzini - All’origine della dissoluzione - Spunti di riflessione con il senno di poi” (edito da Centro Studi sul Risorgimento). Le abbiamo posto alcune domande, per meglio comprendere cosa ne pensa del celebre personaggio storico, a cui tutte o quasi le città d’Italia hanno dedicato almeno una piazza o via.
D. Sono stati scritti numerosi libri su Giuseppe Mazzini: il suo ha un titolo forte. Cosa significa e, soprattutto, chi era Mazzini?
R. Mi sono chiesta se avesse senso parlare ancora di Giuseppe Mazzini oggi, a 150 anni dalla sua morte. E ho ritenuto che sì, può avere senso, ma a una condizione. Che si abbandoni l’approccio agiografico che ha imperversato per decenni, che si lascino perdere le solite biografie, i racconti di fatti mitizzati, e lo si rilegga con il senno di poi. Alcune pagine di storia non appartengono alla storia, in ragione delle loro conseguenze vive e cogenti. Quella su Mazzini è una di queste pagine. Ripensare a Mazzini con il senno di poi significa conoscere un personaggio molto diverso da come lo si era immaginato leggendo il suo nome su strade e piazze, o da come lo si ricordava dagli studi scolastici. Mazzini è un personaggio indifendibile, forse il peggiore fra i cosiddetti padri della patria. E non si tratta, si badi, di un giudizio sulla persona. La cosa, oltre che incauta - giacché a nessuno di noi è dato di conoscere l’animo umano, prerogativa di Dio - sarebbe anche inutile, visto che il nostro è morto e sepolto ormai da un secolo e mezzo. Si tratta semplicemente di conoscere le sue idee, le sue azioni e le loro conseguenze per poterci difendere dai loro effetti nefasti.
D. Nel suo interessante saggio, sono molteplici i riferimenti al rapporto di Giuseppe Mazzini con la Massoneria. Può dirci qualcosa in merito?
R. Sappiamo con certezza che Mazzini ha fatto parte della carboneria e dell’Alta Vendita. Per quello che riguarda la massoneria invece ci sono dei dubbi. Il suo caso è abbastanza simile a quello di Cavour: grande simpatia per gli ambienti massonici, interessi e obiettivi comuni, ma affiliazione mai comprovata. Con qualche storico che dice di sì e qualche altro che dice di no. La Rivista della Massoneria italiana lo definisce con entusiasmo «l’apostolo più geniale della rivoluzione», anche se Ernesto Nathan dichiara che Mazzini non ha fatto parte della massoneria. Il gesuita Ermanno Gruber vede invece Mazzini come il probabile coordinatore di una rete massonica universale, concepita come direzione di tutte le società segrete verso scopi eversivi e anticattolici. L’ipotesi è estrema ma tutt’altro che assurda, soprattutto se si pensa al sodalizio con Albert Pike nel nuovo palladianesimo. Carlo Gentile ha dedicato uno studio approfondito a questo tema, ma le sue conclusioni lasciano ancora un grosso punto interrogativo. Possiamo in fondo, con animo leggero, tenerci questo punto interrogativo. Che Mazzini fosse o meno affiliato a una loggia massonica ha in realtà ben poca importanza: è chiaro che tutta la sua visione del mondo, la sua azione politica, i suoi contatti sono in linea con le finalità delle logge. Ed è chiaro che non ha disprezzato il sostegno della massoneria inglese e dell’Inghilterra per realizzare l’unità d’Italia.
D. Vogliamo ricordare i numerosi insuccessi delle insurrezioni in cui si sono sacrificati amici e seguaci di Mazzini? Quelle, per intenderci, che Marx ha condannato come «le rivoluzioni improvvisate»?
R. Il contributo di Mazzini al cosiddetto risorgimento è dal punto di vista strategico e militare assolutamente marginale. Il mito di Mazzini verrà costruito ad arte sul suo pensiero, o meglio sul suo non pensiero: quello spiritualismo vago e svuotato di ogni afflato soprannaturale che tanto comodo fa alla costruzione della mentalità moderna. Montanelli scrive che «a lui debbonsi lodi per alcun bene che fece, non come fuoruscito orditore dì cospirazioni impotenti e sacrificatrici, ma come letterato propugnatore di spiritualismo». Le insurrezioni da lui organizzate falliscono tutte miseramente, e provocano la morte inutile di molti suoi giovani discepoli. Lui sa che i popoli non insorgono, che non sono interessati alla rivoluzione, e se ne lamenta nei suoi scritti. Ma non demorde e da Londra continua a organizzare insurrezioni e attentati, regista di una rete di vero e proprio terrorismo. Anche i suoi a tratti lo criticano: Garibaldi lo accusa di voler fare la rivoluzione «per corrispondenza», Cattaneo gli rimprovera l’ostinazione con la quale sacrifica amici e discepoli «in progetti intempestivi e assurdi» e perfino Karl Marx, come sopra ricordato, in un articolo sul “New York Daily Tribune” dell’8 marzo 1853, condanna le sue «rivoluzioni improvvisate» che regolarmente terminano in inutili sacrifici umani.
D. Il quinto capitolo riporta le relazioni di Mazzini con il mondo anglosassone. Nella fattispecie, lei scrive «Mazzini e i suoi fedelissimi al servizio dell’Inghilterra». E’ corretto, quindi, dubitare del suo essere stato patriota?
R. Per giustificare il suo uso spregiudicato del pugnale Mazzini scrive che «per liberare la patria dallo straniero ogni arma è santa». Si riferisce però solo allo straniero che a lui personalmente non piace, cioè all’Austria. Mentre non si fa scrupolo nello spalancare le porte all’Inghilterra, che entrerà pesantemente nella politica italiana in quegli anni, sponsorizzando il risorgimento, non naturalmente per filantropia ma per seguire i propri interessi. L’Italia verrà fatta dunque non secondo la propria natura e il proprio interesse - cosa che avrebbe portato ad esempio a una Confederazione di Stati nel rispetto delle tradizioni e della Chiesa - ma secondo quelli dell’Inghilterra, che per ragioni economiche e religiose voleva la scomparsa degli antichi Stati. Il termine patriota è fuorviante: Mazzini non ha lavorato per l’Italia, la stessa unificazione era un accessorio, un semplice tassello di un progetto rivoluzionario molto più ampio, condotto peraltro contro la volontà dei popoli.
D. Mazzini, quando faceva riferimento al suo operare, parlava sempre di «apostolato». In cosa consisteva?
R. Mazzini ritiene di avere un ruolo messianico nella creazione di una nuova mentalità, di una nuova religione universale. Rigetta l’ateismo riconoscendone i limiti, si propone come uomo spirituale e propugna un pensiero travestito da religione, ma in realtà completamente svuotato di ogni significato religioso. È un grande nemico del Papa e della Chiesa, civetta coi protestanti a scopo politico, per assecondare l’Inghilterra, ma non apprezza nemmeno loro. Sogna una religione universale dove al posto di Dio c’è l’uomo. E si propone come santone, riempie i suoi scritti di affermazioni solenni, di nuovi dogmi, con un uso esasperato delle maiuscole a dare enfasi a ogni parola. Si fa chiamare l’apostolo, e il suo apostolato consiste nella diffusione di un pensiero confuso, vagamente spirituale e astratto che vada a sostituire la concreta e radicata fede bimillenaria dei popoli.
D. L’ultima domanda è inerente “all’eredità” di Mazzini: cosa si è realizzato del suo programma?
R. Come si è detto, dal punto di vista strettamente politico Mazzini muore da sconfitto. Pare che sul letto di morte lo abbiano sentito definire l’Italia «una parodia» di quella che lui avrebbe voluto. Ma poi arriva il suo trionfo: personaggi influenti come Adriano Lemmi e Ernesto Nathan cominciano fin dal giorno della sua morte e lavorare alla costruzione del mito di Mazzini, proprio allo scopo di lasciarci una precisa eredità. E se oggi ci troviamo di fronte al fatto apparentemente paradossale di vedere ad esempio cattolici che guardano a un Mazzini con simpatia - dimenticando il suo odio per la Chiesa - o politici “di destra” che lo celebrano - dimenticando che Mazzini era talmente “di sinistra” da mettere in imbarazzo la stessa sinistra - ciò avviene proprio grazie a questa eredità. Che è la confusione. La cancellazione progressiva e sistematica di ogni fede, di ogni ideale, di ogni tradizione. Sostituire a tutto il nulla, il caos. Portare l’Italia, e l’Europa, e il mondo intero verso la dissoluzione. È quello che stiamo vedendo sotto i nostri occhi, ogni giorno di più. È quello che Mazzini, i suoi ambienti, i personaggi che gli giravano intorno e che hanno acquisito sempre più importanza e potere nell’Italia laica postunitaria, volevano.