Di Matteo Impagnatiello Langhirano 10 gennaio 2021 - L’emergenza dovuta al covid ha evidenziato le ingiustificate scelte politiche che hanno determinato la fragilità di questo Servizio Sanitario Nazionale.
Sono state distrutte la medicina scolastica e la medicina di comunità, due importanti deterrenti sanitari, filtri della medicina ospedaliera. Dal dibattito sul Recovery fund e il conseguente previsto aumento della quota spettante al Servizio Sanitario Nazionale, non vi è traccia, della ricostituzione della medicina scolastica, con il suo attore principale, il medico scolastico.
Pian piano (ma neanche tanto), pezzo dopo pezzo, è stato smantellato il nostro stato sociale. E tra le “vittime” eccellenti della sua demolizione, vi è appunto il medico scolastico. Non che tale figura sia stata abolita, dal momento che è tuttora contemplata nella legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. Ma la sua temporanea soppressione ha contribuito all’ulteriore depotenziamento del sistema sanitario, già debole prima ancora della comparsa del coronavirus.
In passato, la medicina scolastica era gestita dagli enti locali, nello specifico dai Comuni: notevole era il contributo dato per la prevenzione delle patologie dello sviluppo nell’età evolutiva e delle malattie infettive. Del resto, l’articolo 14 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 (quella, per intenderci, che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale) è lì a ricordarcelo.
Ancora prima, due Decreti Presidenziali, il numero 264 dell’11 febbraio 1961 e il numero 1518 del 22 dicembre 1967, già richiamavano concetti quali la salute della popolazione scolastica, la vigilanza sull’igiene delle scuole e le prestazioni sanitarie di medicina preventiva e d’urgenza nell’ambito dei servizi di medicina scolastica, ricorrendo ad ambulatori realizzati usualmente nel medesimo edificio scolastico.
Contrariamente a ogni aspettativa o previsione, invece che attivarsi per il potenziamento di tali funzioni, esse sono state disattivate: nessun controllo dello sviluppo psico-fisico degli studenti, nessuna difesa dalle malattie infettive, nessun servizio medico-specialistico dedicato per problematiche varie insorgenti nel corso della crescita degli alunni.
E pensare che i medici scolastici svolgevano l’importante compito della redazione dei dati statistici, relazionando mensilmente all’Ufficiale Sanitario sulla sua preziosa attività.
E’ agevole comprendere quanto sarebbe stato importante il loro ruolo, al tempo della pandemia. Da quasi un anno, ci troviamo a fare i conti con lo stato d’emergenza infinita che, molto probabilmente, sarà prorogato. Il Governo naviga a vista con provvedimenti che rincorrono l’emergenza, optando per decisioni all’ultimo minuto. Nonostante il Ministro dell’Istruzione continui a ripetere come un mantra che “sulla scuola non possiamo arrenderci”, in realtà è da tempo che sventola la bandiera bianca su di essa: la riapertura delle scuole a rischio, il tasso di positività che vola e le criticità nei trasporti di linea urbani fanno da contraltare alla infruttuosa azione messa in atto dall’Esecutivo. Altro che banchi a rotelle!
Facciamo affidamento a Speranza, con questo riferendoci sia al Ministro della Salute sia alla personificazione del sentimento, per veder realizzato quanto l’articolo 14 ancora prevede.
Mettere seriamente le mani a quello che abbiamo sempre decantato come il miglior servizio sanitario del mondo diventa un imperativo categorico, perché, dopo vent’anni di continui tagli, pare non esserlo più. Risulta necessario, infatti, un forte piano di investimenti per ammodernare gli ospedali e le attrezzature più obsolete, rafforzare la medicina territoriale, l’assistenza territoriale, la telemedicina e la sanità digitale .
Quale occasione migliore per considerare la necessità della medicina scolastica? Anche se, per invertire la rotta, occorre una leadership politica coraggiosa e una governance all’altezza del compito.