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di Mario Vacca Parma 1 luglio 2018 - L'individuazione della residenza fiscale della persona fisica è disciplinata dal nostro ordinamento giuridico con specifiche disposizioni contenute nell'art. 2, comma 2, Tuir.
Al riguardo occorre presentare la dichiarazione dei redditi in Italia se per la maggior parte del periodo di imposta ci si trova nei seguenti casi:
• La persona è iscritta nell'anagrafe della popolazione residente;
• Pur residente all'estero ha il domicilio nel territorio dello Stato, definito come sede principale degli affari e degli interessi di cui all'art. 43, comma 1, c.c.;
• Mantiene la residenza nel territorio dello Stato, identificata come dimora abituale dell'individuo , di cui all'art. 43, comma 2, c.c.
Qualora la persona fisica si trasferisca in un paradiso fiscale, l'onere di dimostrare di essere realmente stabili all'estero viene posto in capo al contribuente grazie ad una presunzione legale relativa che il legislatore ha introdotto con l'art. 1 comma 83, lettera a) l. 244/2008 del Testo Unico sulle Imposte.
In ordine all'art. 2, comma 2-bis Tuir, si considerano residenti in Italia, a meno di prova contraria, i cittadini cancellati dall'anagrafe della popolazione residente e trasferiti in Stati a fiscalità privilegiata.
Il cittadino che vuole emigrare e stabilire la propria residenza fiscale all'estero deve cancellarsi dall'anagrafe della popolazione residente del suo comune ed iscriversi all'Aire (anagrafe italiani residente all'estero). Bisogna considerare però, che quest'ultima, non basta a dimostrare l'effettivo trasferimento in altro Paese giacché Vi sono altri elementi sostanziali che l'Agenzia delle Entrate considera grazie alla circolare 304/1997 del Min.Fin., ed una tra tutte è la dimora dei propri affetti (residenza e domicilio di moglie e figli).
Precise istruzione in tema di residenza fiscale sono riportate anche nel Manuale operativo in materia di contrasto all'evasione e alle frodi fiscali del C.do generale della Guardia di Finanza. Il documento chiarisce che la cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente e l'iscrizione all'Aire non costituiscono elementi determinanti per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, giacché questi ultimo possono essere desunti con ogni mezzo di prova, anche in contrasto con quanto iscritto nei registri.
Sul tema si sono espressi gli ermellini con la sentenza n. 13114 del 21 marzo 2018 e n. 16634 depositato il 25 giugno, con la quale è stato confermato che la mera iscrizione all'Aire non è condizione sufficiente ad escludere la residenza fiscale del soggetto sul territorio italiano. Si considerano in ogni caso residenti in Italia le persone iscritte alle anagrafi della popolazione residente, in applicazione del criterio formale di cui all'art.2 del TUIR, e il trasferimento all'estero non rileva finchè non risulti la cancellazione dall'Anagrafe di un Comune italiano.
di Mario Vacca Parma 30 aprile 2018 - L'ente esattore può agire nei confronti dei soci di società di persone cancellate dal registro delle imprese per ottenere il pagamento dei debiti fiscali della società solo se emette una nuova cartella di pagamento specificamente intestata a loro.
A deciderlo i giudici con una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (n.672/03/17 passata in giudicato), riconosciuta dal concessionario alla riscossione che non è ricorso in appello e pertanto sono annullabili le richieste notificate ai soci ma intestate alla società estinte.
Ben più importante il cambio di rotta della Suprema corte circa la riscossione delle imposte di società di capitali estinte.
E' con la sentenza n. 9672 del 19 aprile 2018 che gli ermellini affermano il "nuovo" principio secondo il quale gli ex soci di una srl sono responsabili della cartella di pagamento emessa prima della cancellazione dal registro delle imprese anche se non hanno percepito nulla in fase di liquidazione.
Nel ricorso, l'agenzia delle entrate ha posto l'evidenza la decisione delle Sezioni unite civili (n. 6070 del 2013) che precisa l'articolo 2495 del codice civile secondo il quale "nell'intento di impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, espropriare quest'ultimo dal suo diritto. Questo risultato si realizza appieno solo se si riconosce che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati" al quale si aggiunge che "il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a risponderne i soci della società cancellata dal registro delle imprese non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma si identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica". Quindi "il successore che risponde solo dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il limite di responsabilità dovesse rendere evidente l'inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sui requisito dell'interesse ad agire ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo".
In pratica, il cambio di rotta riguarda particolarmente il fatto che non è rilevante che i soci abbiano beneficiato di redditi provenienti dalla liquidazione.
A parere del sottoscritto l'attuale interpretazione, anche se a tutela del creditore ed anzi a tutela unicamente del fisco, urta la libera impresa nella scelta della limitata responsabilità delle società di capitali e crea una tutela a due vie distinguendo il credito del fisco dagli altri creditori.
di Mario Vacca Parma 26 febbraio 2018 - Per la prima volta il codice di condotta di un'azienda nella sua gestione ordinaria normata dagli articoli del codice civile viene investito dagli articoli della nuova legge fallimentare, infatti l'imminente introduzione delle procedure di allerta descritte nell'art. 4 della L. 155/2017, che ha delegato il Governo a modificare significativamente l'attuale impalcatura della legge fallimentare sarà accompagnata anche da modifiche al codice civile.
L'articolo 14 del testo della legge delega contiene, alla lettera b), la modifica che prevede "il dovere dell'imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale".
Nelle more della redazione del testo si può senz'altro osservare che l'effetto sostanziale di questa modifica sarà il bisogno per ciascuna impresa di dotarsi in maniera strutturata di metodi di rilevazione del mantenimento della continuità aziendale. E tali metodi non possono che essere basati sul controllo di gestione.
Attraverso il controllo di gestione l'impresa analizza continuamente la propria attività in senso finanziario, strutturale ed amministrativo, ma anche commerciale e industriale. L'analisi consuntiva di norma relegata al bilancio d'esercizio lascia terreno alle analisi preventive (budget economici e finanziari) con cui misurare le performance aziendali in un futuro ragionevolmente prossimo da cui trarre conoscenza dei flussi di cassa necessari al sostegno della continuità aziendale.
Per calcolare correttamente i flussi di cassa futuri, l'azienda dovrà acquisire la capacità di costruire e mantenere adeguata informativa non solo sulla propria capacità industriale, commerciale e finanziaria, ma anche sulle dinamiche del settore merceologico di riferimento e sui principali competitor.
E' necessario diffondere la consapevolezza dell' importanza del controllo di gestione quale strumento ordinario di best practice, strumento che diviene oggi parte integrante dei doveri civilistici posti in capo al "buon imprenditore" e che diviene pane quotidiano per ogni organo di controllo.
I benefici derivanti dall'adozione di tale programma miglioreranno il rapporto con il sistema finanziario e si rileveranno ottimi alleati nel ridurre i rischi di default.
L'esperienza dimostra che le PMI italiane, caratterizzate da un tessuto composto più da piccole che medie imprese, sono normalmente o poco inclini o poco strutturate sul controllo di gestione.
Rendere sistematico questo vitale esercizio di buona conduzione aziendale può essere compito della professione del dottore commercialista ma ancor più di un manager che viva l'azienda dal suo interno ed apprenda i segreti, le routine ed i programmi di tutti i reparti. In quest'ottica – soprattutto per le PMI - si inserisce il Temporary Management che sempre più interessa le aziende siano esse grandi o piccole.
Questo è quanto emerge da una recente indagine promossa da Leading Network in collaborazione con IIM – Istitute of Management Italy.
Il Temporary Manager vende esperienza, ha un bagaglio culturale utile ad affrontare le più disparate esigenze aziendali, organizzative, finanziarie, amministrative ed in parte legali, possiede le competenze per raggiungere gli obiettivi comprendendo i propri limiti e facendo ben ricorso all'istituto della delega, circondandosi di professionisti alla propria altezza.
L'indagine appena promossa identifica l'adozione del Temporary Manager prevalentemente nelle situazioni di ristrutturazione aziendale (soprattutto nei casi di concordati in continuità), nei progetti di internazionalizzazione e delocalizzazione oltre che a tematiche relative ai passaggi generazionali.
In Italia il grado di soddisfazione delle aziende utilizzatrici è molto alto, con un picco assoluto del 100% nelle micro aziende; per questo tipo di realtà, al fai da te spesso praticato, sarebbe forse preferibile l'accompagnamento da parte di un professionista specializzato proprio per organizzare un sistema di gestione basato sull'attuale norma.
Il rapporto tra l'imprenditore italiano e la banca è stato per decenni immune da frizioni che non fossero prodotte da comportamenti censurabili o da difficoltà intrinseche al business aziendale. Per l'imprenditore con un'azienda sana e con una rispettabile storia familiare, le porte degli istituti di credito erano sempre aperte. Anche dal lato della banca, il modello "relazionale" di gestione del credito, prevalente in Italia fino alla fine degli anni Novanta, conferiva alle unità locali (il direttore, il capo area) un ruolo di intelligence sul territorio che veniva quasi consacrato da facoltà decisionali molto estese. Bastava una telefonata, o un caffè, col direttore per ottenere un ampliamento del fido.
La rivoluzione scatenata dalle regolamentazioni internazionali e dalla crisi finanziaria internazionale (dalla quale è scaturita una progressiva restrizione della disponibilità di credito bancario) ha finito per accantonare definitivamente un sistema che aveva consentito alle PMI italiane di sopperire alla strutturale carenza di mezzi finanziari propri.
Per l'imprenditore italiano è cambiato letteralmente il mondo. Il meccanismo che aveva decretato per decenni il successo del piccolo capitalismo familiare della provincia italiana, che spesso affondava le radici nell'artigianato o nel lavoro manuale, capace di far leva su competenze di prodotto molto spiccate (e in molti casi vincenti sui concorrenti internazionali) si trova costretto a fare i conti con una nuova realtà, molto difficile da governare. In un sistema imperniato sulle competenze, era possibile eccellere sapendo far bene il proprio lavoro, sapendo realizzare un prodotto migliore (o più economico) di quello dei concorrenti, e sapendolo vendere bene. La finanza veniva da sé, per quello c'erano le banche.
La banca diventa sempre più un interlocutore sintonizzato su una lunghezza d'onda che l'impresa italiana fatica a percepire. In pratica per l'imprenditore, spesso a digiuno di competenze finanziarie per non averle coltivate negli anni, è cambiato il linguaggio bancario. Anche in questo contesto è preziosa l'adozione di un Temporary Manager che traduca i risultati del controllo di gestione agli stakeholders esterni come banche e finanziatori.
Il vantaggio forse più importante ed apprezzato – e che connota e distingue la tipologia del servizio – è che il Temporary Manager ha un taglio molto operativo, al contrario dei classici servizi di consulenza, (il consulente consiglia il manager esegue) è sempre svolto da personale con una lunga esperienza diretta ed operativa in azienda e questo lo distingue sia dalle classiche società di consulenza, sia dai servizi offerti dal commercialista, con il quale per altro deve collaborare e confrontarsi per ottimizzare l'efficienza aziendale.
Concludendo è ipotizzabile che il Temporary Management sia un servizio che potrebbe diventare lo standard di fruizione per le piccole e medie aziende in quanto si pone come convergenza delle macro aree aziendali, quali amministrazione, finanza e controllo, organizzazione e legale. Un processo inarrestabile questo che avrà tuttavia un riscontro positivo come la progressiva managerializzazione del nostro tessuto imprenditoriale sicuramente propulsiva dello sviluppo.